venerdì 26 giugno 2020

Vipera. Nessuna resurrezione per il Commissario Ricciardi (M. De Giovanni)

Questa volta Ricciardi si trova ad indagare su un caso molto particolare. Perchè l'ambiente in cui è stato consumato il delitto è particolare.
La vittima è Vipera, una delle signorine di punta del casino che si cela sotto il nome Paradiso.
Una donna, una giovane donna - venticinquenne - per la morte della quale, a quanto pare, si potrebbero alimentare sospetti su più persona. Ognuno potrebbe avere un movente diverso, ognuno un motivo per farla fuori, ognuno un'occasione propizia per restare solo con lei e usare quel cuscino che le ha tolto il respiro.
Eppure Ricciardi fa fatica a comprendere chi possa aver avuto il vero movente per uccidere quella donna per la quale in tanti avrebbero pagato cifre inimmaginabili pur di compare il suo tempo. Una donna per la quale qualcuno, in effetti, faceva proprio questo circoscrivendo così il numero dei potenziali clienti quotidiani che avrebbero potuto stare in stanza con lei.

Ma il Commissario Ricciardi non ha a che fare solo con un caso di omicidio.
No. Ricciardi deve vedersela anche con rapporti personali che si incrinano, con incomprensioni, con reazioni che rischiano di spezzare qualche importante equilibrio.
Ricciardi si trova anche a dover fare i conti con un episodio che rischia di costare caro ad un amico per il quale deve chiedere aiuto perchè, da solo, non ce la farebbe mai a risolvere la situazione.
Si trova a fare i conti con se stesso, con le sue scelte, con i suoi sentimenti ai quali riserva sempre troppo poco spazio.

Anche in questo volume della serie di De Giovanni il lettore trova un protagonista malinconico, fiaccato dal peso di un fardello che lo tormenta e che non gli permette di sentirsi libero al punto tale da avere una vita come tutti gli altri. Un Ricciardi riflessivo, silenzioso, un uomo che sa riconoscere l'amicizia quella vera ma fa fatica a comprendere i suoi sentimenti nei confronti di potrebbe condividere con lui (o vorrebbe farlo) un'esistenza fatta di famiglia con tutti i canoni che essa richiede. Non potrebbe essere altrimenti: questa sua caratteristica non lo abbandona e quel senso di malinconia che caratterizza il personaggi, sommato alle ambientazioni di un'altra epoca (è nato nel 1900, Ricciardi precisamente il primo giugno) mi hanno conquistata fin dal primo libro della serie.

In questa avventura torna ad emergere la figura di Maione: un collega per Ricciardi ma anche un amico. E strappa anche qualche risata quando è alle prese con quel femminiello che risponde al nome di Bambinella e con in quale si relaziona per avere informazioni utili per i casi che segue insieme al commissario. Tra Maione e Bambinella c'è un'amicizia grande, di quelle che cercano di non manifestarsi ma che si legge in ogni dialogo, in ogni atteggiamento, in ogni battuta scambiata tra i due. Ed è sempre bello sentire (o meglio, leggere) quei due parlare con le divagazioni di Bambinella e l'urgenza di andarsene via di Maione.

Torna, anche stavolta, l'attenzione alle singole storie. 
De Giovanni non focalizza le attenzioni solo sul protagonista principale ma rende tutti i personaggi importanti. 
Credo che ognuno avrebbe molto da dire, molto più di quando non dica un libro dopo l'altro della serie.

Nell'edizione che ho avuto tra le mani - Einaudi Stilelibero - viene proposta un'intervista molto particolare ai personaggi chiave della storia: l'autore incontra Livia, la vedova Vezzi, donna affascinante, di gran classe e perdutamente innamorata di Ricciardi. 
Come nei precedenti volumi ho molto apprezzato questa chicca finale e... mi sarebbe piaciuto essere al posto di De Giovanni ed incontrare davvero, un libro dopo l'altro, i vari personaggi per scambiare quattro chiacchiere con loro.
***
Vipera. Nessuna redezione per il Commissario Ricciardi
Maurizio De Giovanni
Einaudi Stilelibero
304 pagine
12.00 euro - 8.99 kindle

mercoledì 24 giugno 2020

Se la notte ha cuore (M. Corradini)

Se la notte ha cuore (letto in collaborazione con Thrillernord) non è un libro semplice da recensire.
Lo sarebbe se fosse un libro per ragazzi in cui si proponesse una storia di fantasia fuori da ogni realtà.
Lo sarebbe se fosse la storia di due adolescenti che decidono di affrontare il rischio di una fuga da un luogo sicuro verso luoghi meno sicuri.
Lo sarebbe se fosse una storia di vita in cui non mancano violenze e vengono messi in discussione equilibri familiari precari.

Non è semplice da recensire perché il libro di Matteo Corradini è tutto questo messo insieme: è una fuga, un’avventura fantastica, una storia di crescita ma anche un doloroso modo di fare i conti con i propri sospesi. E’ anche una storia di coraggio, di insicurezze, di speranza.
Lo stile di Corradini è molto particolare. Evoca immagini fantastiche lasciando largo spazio alla fantasia del lettore (…il fiocco sulla schiena è color dei capelli di chi vede il mare per la prima volta) ma è, allo stesso tempo, minuziosamente descrittivo soprattutto nelle scene più avventurose.

Codini Donna e la sua amica Andra scappano da un camposcuola estivo che li ha resi nostalgici. La loro non vuole essere una fuga definitiva, un abbandono… Scappano per arrivare alle rispettive case, riabbracciare i rispettivi genitori, riprendere la linea notturna del bus e poi ritornare al campo estivo come se niente fosse successo. Questa è l’intenzione. Nell’arco di una notte, invece, i due ragazzini saranno protagonisti di un’avventura strana, a tratti delirante, fuori dalle righe e della quale i due rischiano di perdere il controllo.

E’ un’avventura in cui i due ragazzini incontreranno personaggi molto singolari, faranno i conti con i pregiudizi, con le apparenze, con verità che si fa fatica a riconoscere come tali, conosceranno terribili leggende ed avranno anche un ruolo attivo nello spezzare alcuni legami inimmaginabili.
Ma i due ragazzini saranno anche protagonisti di una crescita personale che si legge tra le righe e che rende questo romanzo diverso da un semplice fantasy per ragazzi.

L’autore è abile a dare una svolta definitiva al racconto in modo del tutto inaspettato e quell’avventura così strana alla quale si rischia di fare fatica a dare un perché, le tante vicende che si susseguono in un breve arco di tempo, passano in secondo piano rispetto alla svolta finale, a quella che rimescola le carte, che fornisce delle risposte importanti e che segna la crescita di entrambi i personaggi.
Alla svolta finale che è capace di dare un diverso taglio a tutto il racconto.

Consigliato a chi ama sperimentare, a chi non si lascia impaurire da uno stile che mette alla prova il lettore andando fuori dai soliti canoni del fantasy.
***
Se la notte ha cuore
Matteo Corradini
Bompiani Editore
352 pagine
9.99 Kindle - 15.00 euro copertina rigida

lunedì 22 giugno 2020

Dodici rose a Settembre (M. De Giovanni)

In queste ultime settimane sono spesso in compagnia delle storie di Maurizio De Giovanni
Con Dodici rose a Settembre, però, ho scoperto il suo lato più ironico, più giocoso grazie a dei personaggi che, pur nella tragicità delle situazioni, strappano un sorriso.

Dopo la malinconia del Commissario Ricciardi - che mi sono ripromessa di continuare a seguire prestissimo - Mina Settembre e i suoi strampalati compagni d'avventura mi hanno anche fatto sorridere e l'ho molto apprezzato.

In premessa: i libri di questa collana delle edizioni Sellerio mi piacciono molto. Sono maneggevoli e mi danno piacere già solamente nel tenerli in mano, nello sfogliarli.
Poi quando la storia funziona allora il gioco è fatto.
E la storia di Mina Settembre funziona. Sì che funziona.

In questo romanzo si intrecciano due storie, anzi tre.
La prima è quella di una donna - Mina - che di mestiere fa l'assistente sociale in un consultorio dei Quartieri Spagnoli di Napoli. Ha la vocazione di aiutare gli altri e lo fa prendendosi a cuore le situazioni che arrivano nel suo ufficio. 
Ha un'esistenza piuttosto piatta, senza grossi scossoni che non riconducano alle sue tre vulcaniche amiche le quali non riescono a concepire che lei, peraltro con un décolleté da far girare la testa, non abbia alcuna storia dopo la fine del suo matrimonio. Vive con sua madre in quella che è stata la sua cameretta dell'adolescenza e quella donna è un vero e proprio fumetto: il fatto di muoversi su una sedia a rotelle non le impedisce di essere costantemente sulla difensiva (o meglio, all'attacco), sempre pronta a rimproverare a sua figlia che il tempo passa e che inizia a perdere terreno, senza un uomo all'orizzonte! E' uno spasso assistere alle loro conversazioni telefoniche così come è uno spasso immaginare quei suoi improvvisi sermoni che le hanno permesso di ottenere l'appellativo di Problema Uno. Quella donna è il Problema Uno per Mina. Il Problema Due è di tutt'altra natura ma nessuna donna (e nessuna delle sue amiche) lo considererebbe mai tale.
La seconda storia è quella di una bambina, la piccola Flor, che si presenta al consultorio per chiedere aiuto a fronte di un padre violento che "...prima o poi ammazza mia madre". Da ciò prende le mosse un'avventura piuttosto strampalata ma motivata dalla volontà di Mina e dei quei pittoreschi aiutanti, di fare qualche cosa per scongiurare il peggio. 
La terza storia è quella di omicidi commessi a danno di persone che nei giorni precedenti alla loro morte ricevono 12 rose rosse. Nessuna impronta, niente di niente. Ma forse un legame tra quelle persone c'è e forse possono avere qualche cosa a che fare anche con lei, con Mina.

Ciò che più mi ha colpita piacevolmente del romanzo è stato quel tocco ironico e giocoso che ho trovato nei personaggi. Lo stile di De Giovanni mi piace e su questo non ero alla ricerca di conferme. 
Reduce dalla serie di Ricciardi, di Lojacono e più recentemente di Sara, ho scoperto un personaggio diverso, nuovo, fresco che - scopro solo al fine della lettura - è già stato protagonista di alcuni racconti ma approda per la prima volta (e non sarà l'ultima?) in un romanzo vero e proprio. 

E' facile affezionarsi ai personaggi nati dalla penna di De Giovanni ed anche con Mina c'è stato feeling fin da subito, malgrado i suoi modi un po' troppo scortesi nei confronti di quel ginecologo che ha sempre decine di donne in fila davanti al suo studio! 
 ***
Dodici rose a Settembre
Maurizio De Giovanni
Sellerio editore Palermo
271 pagine
14.00 euro

domenica 21 giugno 2020

Le avventure di Oliver Twist (C. Dickens)

Ho letto Le avventure di Oliver Twist con grande deferenza.
Ne ho avuta tra le mani un'edizione piuttosto vecchia (datata 1966), avuta in prestito in biblioteca: non avrei mai immaginato che prestassero libri così vecchi ma - forse anche per via del lock down e dell'impossibilità di consultare il testo nei locali della biblioteca - quando me lo hanno affidato mi sono sentita investita di una grande responsabilità.

E con questo animo l'ho letto: con estremo rispetto.

Non ho portato il libro in giro con me come sempre fatto, l'ho letto seduta alla scrivania o in cucina per non tenerlo in mano in posizioni che ne potessero pregiudicare la conservazione ed anche per questo la lettura è durata più del previsto.
Avevo in mente di leggere da tempo la storia del piccolo Oliver: dopo aver letto David Copperfield ed essermene innamorata mi ripromisi di arrivare anche a quest'altro personaggio nato dalla penna di Dickens.

Inutile dire che si tratta di un libro piuttosto datato: Dickens lo scrisse nel 1838 ed uscì alla fine di quell'anno.
Una trama solida, quella stratturata dall'autore, proponendo personaggi ben delineati ed efficaci con una rappresentazione tragica della realtà dell'epoca, in un nodo complesso di vicende e di personaggi ben definiti.

Viene narrata la storia di un povero orfanello che viene allevato a spese della parrocchia in cui la giovane partoriente, sua madre, si era rifugiata e dove ha perso la vita (subito dopo aver sentito il primo vagito di suo figlio). Padre sconosciuto. 
Ad attenderlo, però, non c'è un'infanzia facile e spensierata, come dovrebbe esssere quella di ogni bambino.
Oliver si trova ad affrontare terribili prove ma la sua purezza, la sua trasparenza, il suo buon cuore - che in alcuni punti sono caratteristiche davvero disarmanti - non vengono fiaccati nemmeno dalle prove più dure e dai tentativi di spezzare la sua ingenua bontà.

Nella sua strada, nell'arco dei suoi pochi anni di vita, incontra personaggi piuttosto discutibili che, non solo lo maltrattano, ma hanno a cuore tutt'altro che la sua salute e la sua serenità: viene avviato lungo la strada del ladrocinio e si troverà anche a pagare per colpe non sue.
Per via di una serie di fortuiti incontri - in circostanze che, a dire il vero, appaiono un po' troppo fortuite - a quei personaggi abietti e sinistri che hanno segnato i primi anni della sua vita si frappongono persone di buon cuore che trattano Oliver con benevolenza. 

L'autore traccia una linea netta tra i buoni ed i cattivi: cambiano ovviamente le descrizioni ma anche il tono del racconto con l'uso di termini efficaci per fare capire fin da subito a quelle delle due categorie i vari personaggi appartengano. 

Oliver è un bambino a cui non ci si può non affezionare e di cui non si può non avere compassione: inserito in quell'ambiente in cui i ladri sono coloro che dettano legge, sembra un pesciolino fuor d'acqua ed ogni volta il suo carattere remissivo, la sua ingenuità e la sua bontà lo portano a subire maltrattamenti continui quasi senza fiatare, come se fosse quello ciò che il destino ha da sempre avuto in serbo per lui. 

L'autore calca molto la mano sugli ambienti malfamati in cui la storia si dipana. 
Quegli ambienti cupi e misteriosi, quel dedalo di viuzze contorte e tenebrose, quei quartieri poverissimi di Londra, quelle osterie malfamate in cui si muovono, avvolte in una densa e cupa atmosfera, figure strane e quasi allucinanti sono dei punti fissi del racconto. Situazioni che sembrano sempre uguali a loro stesse così come sempre uguali a loro stessi e sempre pronti a commettere i loro errori sono coloro che li frequentano. Eppure non mancano situazioni bizzarre, quasi comiche, con personaggi che strappano una risata pur nelle tragiche situazioni in cui vengono inseriti.
In questo contesto emerge la figura di Nancy: una ragazza costretta fin da giovanissima al marciapiede, compagna di malaffare di loschi figuri, legata da uno strano sentimento ad uno di essi ma ragazza di gran cuore e spiccata sensibilità. Sarà questa una figura chiave nella vita di Oliver. E' un personaggio che cambia durante il racconto: una povera infelice che accetta rassegnata la sua sorte ma che non riesce a restare indifferente davanti all'evolversi delle vicende.

Vengono descritti ambienti realmente esistiti all'epoca, come gli ospizi di carità. Ed anche congetture dell'epoca: in alcuni discorsi emerge la scarsa considerazione che gli uomini hanno delle donne, si parla d'impiccagione come la fine naturale dei malfattori ed altro ancora. 

Dickens, ancora una volta, ha saputo descrivere con maestria i costumi e le tare della sua epoca restando, soprattuto, un meraviglioso, efficace e delicatissimo poeta.
Me lo aveva dimostrato con Un canto di Natale, con David Copperfield e - non che fosse necessario - lo ha confermato con il piccolo, dolcissimo Oliver.
***
Le avventure di Oliver Twist
Charles Dickens
Unione Tipografico-editrice Torinese
359 pagine
edizione del 1966

domenica 14 giugno 2020

Il figlio dell'italiano (R. Nadal)

Ammetto di aver letto la prima parte di questo libro (letto in virtù della collaborazione in piedi con Thrillernord) con una certa fatica. La narrazione mi è sembrata faticosa, quasi come se i personaggi stessero arrancando con difficoltà. 
Poi il cambiamento. 
Ad un certo punto ho avuto la sensazione che la parte iniziale fosse stata scritta da una penna diversa rispetto alla seconda. Pian piano ho compreso che si è trattato di una scelta precisa da parte dell’autore. Almeno così io l’ho interpretata.

Quanto Mateu, in età matura, decide di fare chiarezza attorno alle proprie origini la situazione che gli si crea attorno sembra caotica, quasi come se procedesse a tentoni (nella prima parte del libro): quel ragazzino cresciuto in un ambiente familiare considerato ai margini, con un padre assente (sia fisicamente visto che spesso lontano ma anche moralmente visto il suo atteggiamento freddo nei confronti della moglie e dei figli quando si trova in casa) ed una madre costretta a fare i conti con la vita durante la guerra, senza un uomo in casa e dei figli da crescere, solo in età adulta, dopo la morte della madre, sente la necessità di sapere la verità. 
Erano fondate le voci che hanno sempre circolato in paese circa le sue origini italiane?
Chi è quel ragazzo ritratto in una foto assieme ad altri marinai e che gli somiglia tanto?
E’ suo padre? 
Non era il boscaiolo, suo padre? 
Nelle sue vene non scorre il sangue di quell’uomo che sembrava non esistere, tanto era lontano dal ragazzino e dai suoi fratelli?
Questa ricerca in qualche modo gli cambia la vita. Non nel modo in cui vorrebbe, ma comunque lo cambia.

Ha inizio qui la parte che più mi è piaciuta del libro: il tuffo nel passato che il lettore fa grazie al racconto delle vicende degli italiani scampati alla tragedia della nave corazzata Roma, affondata da un aereo tedesco a nord della Sardegna il 9 settembre del 1943 a poche miglia dal Golfo dell’Asinara. Più di mille giovani marinai persero la vita a seguito di quell’attacco aereo ma tra quanti si salvarono c’era un giovane di nome Ciro che vede morire alcuni dei suoi amici più cari ma ne ritrova altri, sulla terraferma. Dagli episodi legati alla sorte della Roma e dei suoi marinai, legate dunque ad un episodio storico realmente accaduto, prende le mosse un romanzo che somma la storia di una famiglia – quella di Mateu – alle vicende di quei giovani che, lontani da casa, hanno dovuto affrontare la guerra e tutto ciò che per loro ha voluto dire essere arruolati in quell’epoca.

La parte più bella, ed anche scritta meglio secondo il mio parere, è proprio quella meno romanzata… le vicende storiche dominano su tutto il resto. Ed il vero protagonista non è Mateu – che è alla ricerca delle sue origini – ma quel soldato che fischiettava allegramente ogni volta che portava la biancheria sporca a lavare al fiume. Questa è l’impressione che ho avuto io.
Mateu è lo strumento per mezzo del quale l’autore offre al lettore le emozioni legate a quel periodo storico che ha segnato la vita di tanti. Non è la storia d’amore a catturare l’attenzione, tanto è trattata con delicatezza, con i guanti bianchi, senza eccessi e senza sbavature. Sono i marinai i protagonisti così come lo è la guerra vista da una prospettiva diversa dal solito, dando voce a coloro che furono costretti a vivere l’esperienza della Roma.

L’epilogo mi è piaciuto? 
In parte. 
Perché se avessi potuto avrei dato a Mateu un finale diverso… ma mi è piaciuta la forza del legame che comunque viene a crearsi tra i protagonisti.

Un solo dubbio mi ha seguita per tutta la lettura: ogni volta che la madre di Mateu passava del tempo con l’italiano… dove stavano i suoi figli? Perché ne aveva già due e, onestamente, questo aspetto mi è sembrato un po’ trascurato ma, probabilmente, sono io ad essere perfezionista…

Mi è mancata una parte della storia, a dire il vero, ma anche questo credo faccia parte della tecnica narrativa scelta dall’autore che, per far funzionare la scelta di dare comunque rilievo alla ricerca da parte di Mateu, nel portare i lettori indietro nel tempo dice e non dice, descrive e lascia immaginare, in modo da lasciare una certa aspettativa rispetto alla ricerca.

Ammetto di essermi anche incuriosita sulla vicenda storica della Roma e di essermi andata a documentare. O sono stata una studentessa distratta, o nessuno mi aveva mai parlato di questa cosa.

Un’ultima osservazione: copertina azzeccatissima, una volta tanto, pertinente con la storia. 
Non sempre è così.
***
Il figlio dell'italiano
Rafel Nadal
Dea Planeta editore
362 pagine
9.99 kindle - 17.00 copertinta flessibile

sabato 13 giugno 2020

Per mano mia. Il Natale del commissario Ricciardi (M. De Giovanni)

Il commissario Ricciardi mi emoziona sempre. Mi emoziona la sua figura, il suo modo di essere, il peso che si porta addosso. Mi emozionano i personaggi che gli gravitano attorno e che, ogni volta, hanno qualche cosa da dire.

Questa volta il personaggio che mi ha emozionata più di tutti è il brigadiere Raffaele Maione. Ed a prescindere dal caso che i due si trovano ad affrontare. Sono le sue vicende personali che arrivano al cuore.
Credo che sia proprio questa la caratteristica di De Giovanni: la capacità di non focalizzare le attenzioni esclusivamente sui casi di cui, di volta in volta, il commissario Ricciardi si occupa con il suo fedele collaboratore Maione ma di dare vita a personaggi che restano nel cuore del lettore ed ai quali si affeziona. In ogni episodio della serie vengono aggiunti tasselli non solo nella vita del protagonista principale, Ricciardi appunto, ma anche di tutti gli altri che gli gravitano attorno. 
Il risultato?
Il lettore viene fidelizzato al punto tale da avere la necessità di scoprire cosa accadrà non solo nei casi di omicidio che di volta in volta si susseguono ma, soprattutto, nelle vite delle persone.
Persone che diventano familiari.
Diventano madri e padri come fossero i nostri.
Diventano amici come fossero i nostri.
Figli come fossero i nostri.
Questo è ciò che ho pensato arrivata all'ultima pagina.

Questa volta ad essere rinvenuti in un bagno di sangue sono due coniugi.
Siamo nei giorni che precedono il Natale e Ricciardi è ancora in via di ripresa dopo le vicende che lo hanno avuto per protagonista qualche mese prima, quando indagava sulla morte di un bambino.
Si tratta di un funzionario della Milizia, Emanuele Garofalo, e di sua moglie Costanza.
Le indagini porteranno Ricciardi e Maione a contatto con un ambiente, quello della Milizia, molto particolare. Ma li porterà anche a contatto con la povertà, con la disperazione e con la dignità: con la dignità di chi deve fare i conti con un presente che non ha voluto, che non ha cercato ma che ne attanaglia il fisico e l'anima.

Per mano mia è, soprattutto, una storia di vendetta: vendetta cercata, agognata, desiderata... 
Vendetta che arriva a portata di mano e che arriva così vicina da mettere paura.
Vendetta che, però, vuol dire ancora dolore, ancora morte, ancora sofferenza, ancora allontanamenti...
Vendetta che riesce a lasciare spazio alla speranza e alla fiducia, in nome di chi si vorrebbe vendicare.
 
Lo stile di De Giovanni è impeccabile, secondo il mio punto di vista. Il suo modo di rendere vivi i personaggi e di porli accanto al lettore come se avessero una reale corporalità si somma alla sua capacità di evocare luoghi, situazioni, ambienti, attimi di vita rendendoli veri. La sua narrazione ha sempre qualcosa di nostalgico che è in linea con il signorino Ricciardi.
 
Le donne che gli gravitano attorno hanno sempre un ruolo importante anche se non sembra. Tanto più in questo capitolo in cui emergono fragilità, smarrimenti, determinazione in quelle donne che hanno - o vorrebbero avere - un ruolo nella vita di quel commissario così triste e solitario che sembra portare sulle sue spalle il peso del mondo.
 
Chi conosce Ricciardi sà che, in effetti, è proprio così: Ricciardi si trova anche stavolta a fare i conti con i vivi e con i morti. Anche se è Natale. Soprattutto se è Natale. Perchè si rende conto di vivere all'interno di un grande presepe, che è il suo mondo, fatto di lucine, di personaggi che hanno un ruolo, di situazioni che hanno un significato... sia esso un presepe di legno che un presepe fatto di esistenze reali, di luoghi di vita quotidiana.
 
Mi sono già procurata il volume successivo ma non credo che ne inizierò subito la lettura perchè non vorrei che... finisse subito! Il rischio è quello. 
***
Per mano mia. Il Natale del commissario Ricciardi
Maurizio De Giovanni
Einaudi editore
299 pagine
14.00 euro copertina flessibile - 9.99 kindle

giovedì 11 giugno 2020

Baci da Polignano (L. Bianchini)

Ninella ha sempre dato poco peso al giudizio degli altri in quella Polignano a Mare dove il pettegolezzo è all’ordine del giorno. Anche ora che tenta di rifarsi una vita con un nuovo amore, non le interessa il chiacchiericcio di coloro che vedono in quell’uomo tanto più giovane di lei una persona poco adatta per una madre di famiglia, per una donna come lei.
Non le interessa e segue il suo cuore.
Un cuore che, però, non ha mai smesso di battere per quell’uomo che ama da sempre: il suo consuocero, ecco cos’è per lei oggi don Mimì, quell’uomo che ha sempre amato e da cui è stata divisa, anni prima, da questioni d’onore.
Un amore grande, di quelli che non si possono dimenticare, che fanno vibrare le corde dell’anima ancora oggi, dopo tanto tempo. Perché se è vero come è vero che quell’uomo molto più giovane di lei ha portato una ventata di freschezza, di passione e di leggerezza nella vita di Ninella, è anche vero che il vero amore non si dimentica mai.

La storia di Ninella e don Mimì vive, in Baci da Polignano (che ho letto in virtù della collaborazione in essere con Thrillernord), un altro capitolo e tornano all’attenzione del lettore le storie di tanti protagonisti, di due famiglie, in particolare, legate a doppio filo ma ognuna con delle questioni sospese da risolvere.
Famiglie che si rispettano perché devono, legami familiari che tendono a sfilacciarsi e amori che si allontanano per via di errori che ognuno di noi potrebbe commettere.

Ecco dove sta, secondo il mio parere, il successo della storia delle famiglie di don Mimì e di Ninella: nella normalità nonostante il paradosso di alcune situazioni.

Le due famiglie offrono un bel carnet di personaggi, ognuno con una storia da raccontare, ognuno con un sospeso da risolvere. Ma sono, appunto, situazioni in cui ci si può ritrovare: la fanatica dei social, la vicina chiacchierona ed invidiosa, la moglie che non è mai stata amata e che si trova un nuovo compagno tanto da lasciare il marito su due piedi, il figlio gay che ha sbagliato in passato ma che è ancora legato a quel vecchio amore. E poi Ninella e don Mimì, ancora stretti nella morsa di un amore mai dimenticato, che hanno tentato di tenersi a distanza, di evitarsi, di salvaguardare gli equilibri familiari ma che mai si sono dimenticati davvero.

Ciò che è alla base della vita di ognuno dei personaggi che tornano ad animare la vita a Polignano è fondamentalmente l’amore. Declinato in modi diversi ma è pur sempre l’amore. Quello che porta a chiudere un occhio davanti ad un tradimento, quello che teme di uscire allo scoperto, quello che si manifesta con una comprensione dell’altro, con la gelosia, con il senso di protezione ma, soprattutto, quello che vuole essere vissuto intensamente, a tutti i costi.

La figura di Ninella domina così come aveva fatto nelle due precedenti puntate della storia delle due famiglie ma anche gli altri personaggi sono fondamentali per dipingere il quadro di due famiglie vive, vere, reali, molto vicine alle famiglie di ognuno di noi.
Anche stavolta il racconto scorre via velocemente lasciando nel lettore, almeno per me è stato così, quel senso di serenità che avevo auspicato in precedenza ma che era rimasto in sospeso.
***
Baci da Polignano
Luca Bianchini
Mondadori Editore
240 pagine
9.99 euro kindle - 18.00 euro copertina flessibile

mercoledì 10 giugno 2020

Mi chiamo Nako (G. Risari - P. D'Altan)

E' un libro consigliato dagli 8 agli 11 anni ma ammetto che ha affascinato anche me, che sono decisamente più avanti con l'età. 
Nell'ultimo albo illustrato (edizioni Paoline) Guia Risari propone una storia che porta il lettore per mano verso la conoscenza del mondo dei Rom.

E' Nako che parla al lettre. Che si racconta e racconta la sua cultura in un testo intenso e carico di significato.
Nako è un bambino come tutti gli altri eppure viene apostrofato dagli altri in modo particolare per via del suo odore e della sua pelle.
Nako vive in una casa con le ruote che per lui è una villa capace di spostarlo da un luogo all'altro con estrema facilità. Riesce, così, a vedere molti luoghi e tante meraviglie ma spesso, assieme alla sua famiglia, incontra delle difficoltà nei luoghi in cui fermarsi perchè non è possibile sostare ovunque si voglia.
Nako trova nella saggezza di suo nonno mille motivi per amare la sua vita e per sognare un mondo in cui tutti gli uomini possano riunirsi in un unico branco e ballare sotto lo stesso sole.

Guia Risari riesce, con delicatezza ma allo stesso tempo in modo incisivo, ad avvicinare il lettore alla cultura Rom aggiungendo, in coda all'albo, una canzone adottata come loro inno e anche dei proverbi Rom. 

E' un testo di semplice comprensione e di facile lettura ma non per questo superficiale. Tutt'altro.

Io l'ho visto come un invito a non temere chi ha delle caratteristiche diverse dalle nostre, a chi ha una cultura diversa - peraltro millenaria, in questo caso, e dalle radici profonde. E' un invito a guardare l'altro pensando ai punti di contatto, non alle differenze. 
Ed è un messaggio di speranza quello di Nako, che mi auguro non cada nel vuoto.

Il testo è completato dalle splendide illustrazioni di Paolo D'Altan che con le sue forme e i suoi colori riesce ad aggiungere ancora più poesia di quanta non si trovi nel testo. 
Un gioco di luci ed ombre che catturano!  Sembrano quasi dei ritratti, delle fotografie capaci di coinvolgere il lettore con la semplice vista. Ne propongo un dettaglio per rendere l'idea, senza togliere il gusto della scoperta.

Mi sono trovata a andare avanti e indietro, da una pagina all'altra, per poi ricominciare di nuovo per ammirare ogni dettaglio e per assaporare ogni emozione che testo e illustrazioni mi hanno trasmesso.

E' un bellissimo albo anche nel formato ed in un'edizione molto curata, di cui essere gelosi. 
A me capita spesso di leggere a voce alta nelle scuole (purtroppo in questo periodo di lock down non è stato possibile... e chissà quanto potremo tornare a farlo) e di solito amo accompagnare la lettura del testo mostrando le immagini. Sono certa che se proponessi questa storia con queste illustrazioni non volerebbe una mosca!!

Bello, molto bello.
***
Mi chiamo Nako
Guia Risari - Paolo D'Altan
Edizioni Paoline
14.00 euro

lunedì 8 giugno 2020

Divorzio a Buda (S. Márai)

Ho sentito tanto parlare di Sándor Márai che alla fine mi sono decisa a leggere Divorzio a Buda: un libro nuovo che attendeva da tanto tempo nella libreria di casa di essere letto. Ammetto di averlo lasciato sempre in disparte e, onestamente, non sapevo cosa aspettarmi dalla sua lettura.
Una volta terminata, arrivata all'ultima pagina, ammetto di essere rimasta interdetta. 

Probabilmente non era una lettura per me, non ero in vena di letture profonde, da interpretare con spirito critico, forse troppo abituata romanzi che hanno una storia di fondo ben articolata, con un inizio ed una fine.

Mi sono trovata a fare la conoscenza di Kristóf Kómives: un giudice irreprensibile che si trova alla prese con una causa di divorzio come tante. A fare la differenza, questa volta, è il fatto che i coniugi che intendono divorziare sono Imre Greiner, un medico che è stato suo compagno di collegio e Anna Fazekas, che il giudice aveva incontrato qualche volta, molti anni prima, ma senza una conoscenza approfondita.

Nella prima parte del libro - che ho trovato piuttosto ripetitiva e pesante - l'autore presenta il giudice in ogni dettaglio della sua vita, dall'albero genealogico alla conoscenza con quella che è attualmente sua moglie. Tanti dettagli, descrizioni minuziose che, ad un certo punto, mi hanno dato l'impressione di non portare da nessuna parte.
Nella seconda parte il ritmo narrativo cambia. La sera che precede l'udienza il giudice, tornando a casa piuttosto tardi con sua moglie, trova senza alcun preavviso Greiner che lo aspetta. Non sa come interpretare questo suo improvviso a casa, tanto più se pensa che non ha mai voluto aver contatti con gli imputati dei processi in cui era chiamato ad esprimere un giudizio.

Stavolta, però, Kómives accetta di ascoltare quell'uomo soprattutto perchè gli lascia intendere che ciò che ha da dirgli ha a che fare anche con la sua persona. 

Nella seconda parte del libro molto spazio viene dato a Greiner che dà vita ad un lungo monologo, interrotto solo raramente da qualche parola del giudice, con il quale l'uomo ripercorre tutta la sua vita e la sua storia con quella donna, Anna, con la quale sostiene di aver vissuto una felicità ingannevole e ipocrita: è una specie di delirio a sangue freddo quello a cui assiste il giudice che viene reso partecipe di una terribile verità e di retroscena che mai avrebbe potuto immaginare. 


L'autore ha uno stile preciso e chiaro, scrive bene, ma secondo il mio parere si dilunga troppo su situazioni che rischiano di far perdere il lettore. A me è capitato di dire "...e allora?". Limite mio, sicuramente, che non ho capito, non sono riuscita a mettermi in ascolto come avrei dovuto. Greiner arriva a raccontare la fine di quello che aveva sempre considerato un idillio nella consapevolezza che qualche cosa si è spezzato fino ad arrivare a non riuscire più a sopportare ciò che si tacevano l'un l'altro. Il non detto ha iniziato a scavare dei solchi profondi che sono, alla fine, sfociati, in qualche cosa di irrimediabile. Non tanto la seprazione, non è questo il punto. Ma ciò che accadrà e di cui il dottore rende partecipe il giudice nel momento in cui gli chiede una precisa risposta (che non ho capito a che gli serva, a dire la verità!).

I personaggi sono resi in modo fin troppo approfondito ma... non sono riuscita ad apprezzare questa lettura e, probabilmente, la mia è una voce fuori dal coro. 
L'autore invita a riflettere sul valore dei rapporti umani, su quanto l'apparenza possa celare qualche cosa di diverso, su quanto possano essere delicati gli equilibri faticosamente raggiunti ma la lettura non mi ha appassionata e, onestamente, non credo di aver letto un libro che ricorderò.
***
Divorzio a Buda
Sándor Márai
Adelphi Edizioni
200 pagine
12.00 euro copertina flessibile - 6.99 kindle

sabato 6 giugno 2020

Il giorno dei morti. L'autunno del Commissario Ricciardi (M. De Giovanni)

Il Commissario Ricciardi è uno di quei personaggi che restano nel cuore. 
La penna di De Giovanni è una di quelle che riesce a creare personaggi di questo tipo. Non che ne avessi bisogno, ma Il giorno dei morti è la conferma di quanto l'autore sia capace di trasmettere sensazioni per mezzo dei suoi personaggi.

Ricciardi è uno di questi.
E' un uomo solo per scelta. Silenzioso, schivo, provato da ciò che gli è stato trasmesso come dono - ma non è forse una condanna? - quella capacità di sentire il dolore, vedere i morti di morte violenta e ascoltare le loro ultime parole. Un uomo che non ha intenzione di condividere con nessuno quella che considera più una condanna che non un dono, anche se questo vuol dire non confidarsi con nessuno con il rischio di apparire più schivo di quanto, invece, Ricciardi non sarebbe.
Una scelta, quella di portare da solo il peso di questa condanna, che lo penalizza anche sul lato affettivo: è restìo a legarsi a qualcuno perchè il spiccato senso dell'onestà comporterebbe, poi, anche la condivisione di questo peso. La condivisione di questa condanna.

Questa volta Ricciardi è alle prese con la morte di un bambino. Uno scugnizzo di strada, con  piedi coperti dai geloni, gli abiti sgualcite, tutto pelle ed ossa. Nessun segno di violenza, nessun ematoma, nessuna ferita, nessun osso rotto su quel cadaverino così piccolo e composto. 
Quanto verrà scoperto dal medico, dott. Modo, a seguito dell'autopsia che verrà disposta a Ricciardi non lo soddisfa. C'è qualche cosa che non quadra ma nessuno può sapere cosa sia a mancare, al cospetto del Commissario.
Ricciardi non riesce a vedere da nessuna parte il piccolo Matteo - questo il suo nome - che pronuncia le sue ultime parole, come avviene per tutti gli altri e vuole vederci chiaro.

Nessuno ha intenzione di sostenerlo in questa ricerca (tranne il suo fidato amico e collega Maione) perchè, comunque, si è trattato della morte di un trovatello, di un bambino di strada come tanti e il referto del medico parla di tragico incidente. Ma Ricciardi non molla e, spinto dalla sua sensibilità e dalla sua voglia di avere risposte e, se possibile, di ottenere giustizia per quel corpicino inerme, fa la sua strada, mettendosi in gioco in prima persona. 

Il giorno dei morti è un libro tenero e violento allo stesso modo. 
Tettè - così tutti chiamavano la piccola vittima per via del suo balbettare - è il vero protagonista della storia. La sua breve esistenza viene raccontata con delicatezza ed estrema tenerezza pur essendo un'esistenza tormentata. Vittima delle angherie di compagni - come si chiamava nel 1931 quello che oggi noi chiamiamo bullismo? - e dell'indifferenza di una società che si lascia intenerire da quella creatura gracile ma non muove un dito per aiutarla, stretto nella morsa della sua diversità dovuto alla difficoltà di parlare bene come tutti gli altri, il ragazzino vive in estrema solitudine pur dividendo gli spazi con altri ragazzini. Non ha nessuno. Nessuno gli è amico tranne quel cane randagio che Ricciardi troverà accanto al cadavere e che lo seguirà fino alla fine, fino a che non si troveranno tutte le risposte alle domande rimaste sospese.

Solitudine che incontra solitudine: sono diversi i personaggi fondamentalmente soli che interagiscono con Ricciardi in questo episodio. 

E' sola Carmen, la donna che faceva parte delle Dame della Carità e che si occupava del ragazzino per tre volte alla settimana, sottraendolo alla routine della parrocchia che lo ospitava.

E' sola Enrica, la donna che Ricciardi guarda ogni sera ricamare nell'appartamento dirimpetto alla sua finestra. Vive con i genitori ma serba in cuore un amore che non riesce a confessare a nessuno e che fa fatica di ammettere anche con se stessa.

E' sola Livia, la vedova Vezzi che potrebbe avere ogni uomo della terra me che ne punta solo uno: quel Ricciardi che le si mostra indifferente. 

E' solo anche il dott. Modo con il quale, alla fine del libro, l'autore si intrattiene in un interessante incontro che permette al lettore di conoscere un po' di più quella figura che sembra secondaria ma che, per quello che fa - soprattutto in questo volume della serie - è fondamentale.
 
Ed è solo lui, quell'uomo che si dice in giro porti anche sfortuna: solo con il suo dono, con la sua condanna, con la sua sensibilità. O almeno così crede. 
A ben guardare, però, Ricciardi solo non lo è mai stato. Ha sempre avuto attorno gente che gli vuole bene. Ognuno a modo suo, ognuno con le proprie inclinazioni, ognuno con le proprie modalità.

Il finale è sorprendente. L'autore ha l'abilità - stavolta più marcata che mai - di depistare il lettore per poi metterlo davanti ad un epilogo che mozza il fiato.

Mi sono emozionata. Tanto. Ho pianto per quel bambino, ho pianto per quell'uomo ma anche per tutte quelle esistenze incomprese, solitarie, mute che sono sparse attorno a noi e che, spesso, non vediamo. Come nessuno ha mai visto veramente Tettè, pur guardandolo ogni volta.
***
Il giorno dei morti. L'autunno del Commissario Ricciardi
Einauti Stilelibero Editore
312 pagine
12.00 euro copertina flessibile - 5.99 Kindle

giovedì 4 giugno 2020

Giaguari invisibili (R. Civitarese)

Non è facile per me recensire il libro Giaguari invisibili. Sono piuttosto combattuta in merito al mio giudizio.
Perchè mi verrebbe da dire che non mi è piaciuta la descrizione dei protagonisti che viene fatta dall'autore perchè, onestamente, mi piace poco come si comportano ma poi mi rendo conto che è così che va la vita e che i miei diciotto anni - oramai passati da tempo - appartengono ad un'altra epoca, un'altra generazione e che non posso fare confronti in merito. 

Probabilmente mi influenza l'idea di avere dei figli adolescenti che tra qualche anno avranno l'età dei protagonisti e, onestamente, mi auguro che non si comportino allo stesso modo.

Lasciando da parte il mio coinvolgimento personale, però, devo dire che l'autore - anch'egli diciottenne - descrive in modo efficace il passaggio dalla scuola superiore all'università.
E' quella la fascia d'età di riferimento.

Le vicende di Pietro, Anna, Davide, Giustino e tutti gli altri ruotano attorno all'oggi segnato da conflitti e passioni quotidiane. alle prime pulsioni sessuali, ai progetti per il futuro dei quali sono più o meno convinti... il tutto vissuto senza filtri, affrontando le situazioni nella maggior parte dei casi per non essere considerati degli sfigati. Sembra non esserci spazio per la riflessione, per il ragionamento, per il buonsenso in certe circostanze.

Ciò che maggiormente mi ha colpito - al di là delle vicende su cui non mi esprimo perchè, come dicevo in apertura, rischierei di dare un giudizio poco oggettivo - è lo stile usato dall'autore che lascia tanti sospesi.
E' come se offrisse ai lettori la vita dei ragazzi solo per metà, lasciandogli il compito di immaginare il finale... è così per il test di medicina, per il futuro sportivo di Golia, per alcune storie amorose... Sulle prime ho avvertito delle mancanze, come se mancasse il finale. Ma poi ho realizzato che è proprio così: l'autore non chiude il cerchio lasciando in sospeso vicende rispetto alle quali il lettore è chiamato ad immaginare le strade percorse dai protagonisti o come si mettono le cose. 

Nel raccontare le vicende dei protagonisti l'autore tocca tematiche importanti come l'amicizia, gli equilibri faticosamente raggiunti che vengono minacciati alla base quando subentrano i sentimenti, i sogni, i primi amori, i primi richiami sessuali, le aspettative per il futuro.
Sono giovani incapaci di gestire ciò che provano, a ben guardare, se non dando retta all'impulso, senza pensare alle conseguenze.
Giovani che pensano al sesso con una disinibizione che mi spaventa. Per non parlare dell'uso dell'alcol... ma qui rischio di fare considerazioni di carattere personale che nulla hanno a che vedere con il romanzo.

Ed ecco che torno al punto di partenza, alla difficoltà.
Mi è piaciuto.
Sì? No? Non saprei dirlo.
Vi invito a leggerlo per farvi un'opinione e, magari, confrontarci.
Però io sono convinta che non siano tutti così, i giovani d'oggi.
Magari mi sbaglio. Spero di no.
***
Giaguari invisibili
Rocco Civitarese
Feltrinelli
288 pagine
16.00 euro copertina flessibile - 9.99 Kindle

martedì 2 giugno 2020

Il fu Mattia Pascal (L. Pirandello)

Se l'ho letto da ragazzina, per obblighi scolastici, non me lo ricordo.
Ora, quando l'idea degli obblighi scolastici è un bel po' lontana, ho scelto di leggere Il fu Mattia Pascal che è finito in casa mia in doppia copia.

Quella cartacea è frutto di un prestito bibliotecario a cui abbiamo attinto prima del lock down visto che la lettura era stata assegnata a mia figlia come compito mensile dall'insegnante di italiano. Il formato e-book l'ho scaricato io perchè eravamo a ridosso della data di scadenza del prestito e non ero ancora riuscita a leggerlo. Che non sia mai che un libro passa per casa mia senza che venga letto da me!! Così mi ero organizzata. Poi il virus, le biblioteche chiuse e... Mattia Pascal in versione cartacea è rimasto con noi ben più a lungo del mese di prestito.

Ecco perchè ho potuto disporre di tutti e due i formati.
Prediligo il cartaceo ma, visti i caratteri piccini piccini e visto che spesso mi trovo a leggere di sera, con tutta la stanchezza addosso della giornata lavorativa, ho approfittato volentieri dell'e-book che da questo punto di vista è di grande aiuto.

Ed è stata una scelta azzeccatissima. Mattia mi ha divertita, mi ha fatto riflettere, mi ha anche un pochino fatto compassione in alcuni tratti. E lo stile di Pirandello... che dire? Ho avuto voglia di declamare quelle pagine ad alta voce tanto mi sono sembrate musicali. Ovviamente si tratta di uno stile d'altri tempi, che in alcuni passaggi è anche un po' ridondante, ma molto piacevole.

Evidentemente era giunto il suo momento e credo che Mattia Pascal sarà uno dei personaggi che non dimenticherò. 
Non  ho ne' le competenze ne' l'ambizione per fare un'analisi critica del testo. Non è certo questa la mia intenzione. Mi permetto di fare delle riflessioni da semplice lettrice che non si pone 

Mattia è un simpatico perdigiorno che decide di raccontare, non senza ironia, la sua storia. E' sempre vissuto di rendita anche quando le cose per la sua famiglia, dopo la morte del padre, non si sono messe troppo bene. Anche il suo lavoro alla biblioteca cittadina, trovato per intercessioni a livello comunale, che pur gli permette di guadagnarsi qualcosina non lo affatica più di tanto...
Prende la vita con la dovuta leggerezza quasi subendo gli eventi: ne sono la prova le sue vicende amorose che sembrano piombargli tra capo e collo senza che sia capace di dare importanza alla conseguenze delle sue scelte.

Seppur vissuta con la dovuta leggerezza, quella vita stretta tra matrimonio e biblioteca inizia a togliergli il fiato tanto da indurlo a concedersi una pausa che gli frutterà un bel gruzzoletto al casinò. 
Pronto a tornare a casa dopo diversi giorni di assenza - senza ovviamente aver dato comunicazione ad alcuno del suo allontanamento - si imbatte in un articolo di giornale nel quale si comunica la sciagurata fine di Mattia Pascal, morto suicida e riconosciuto da sua moglie e da tutti i suoi concittadini in quel cadavere malamente ritrovato in paese.

Ecco l'occasione che cercava. 
Libertà. 
Nessuna moglie, nessun obbligo, nessuna suocera, nessun lavoro, nessuno a cui render conto, un bel gruzzoletto per viaggiare e mantenersi sotto mentite spoglie. E' davvero l'occasione per riconquistare la libertà perduta. 

In un continuo alternarsi tra realtà ed illusione, Mattia diventa Adriano Meis, uomo senza documento d'identità, con un passato tutto da inventare ed un futuro da uomo libero. Questo immagina il protagonista per rendersi ben presto conto che la realtà è un'altra cosa. La sua non identità è la vera schiavitù, costretto a vivere in un castello di menzogne giorno dopo giorno più grande, senza affetti, senza legami. La consapevolezza di questa situazione diventa tale che ad un certo punto la figura della moglie presunta vedova e del suo lavoro in quella biblioteca gli vengono in mente quasi come liberazione da questo status.

Ed ecco, al di là di ogni critica letteraria che lascio ad altri, la riflessione: quando si può dire di essere veramente liberi? Cosa limita davvero la nostra libertà? 

Non so dire se mi piaccia di più Mattia o Adriano. Seppur identici nell'aspetto sono due persone diverse o, almeno, questo è l'intento del protagonista che, alla fine, deve trovare il modo per venir fuori dalla situazione in cui si è infognato.

Si rende conto di aver fatto soffrire delle persone lungo il suo cammino ma deve recuperare quel minimo di normalità che gli permette di considerare la sua esistenza come tale. Il suo non essere non è vita. La libertà di un fantasma può essere tale solo all'inizio, sotto l'effetto dell'ebrezza del momento, ma nel lungo termine diventa schiavitù. 

Mattia lo scoprirà a sue spese.
E il lettore con lui.
***
Il fu Mattia Pascal
Luigi Pirandello
Feltrinelli
212 pagine
6.00 euro - Kindle Unlimited