lunedì 29 maggio 2017

Pane per i Bastardi di Pizzofalcone (M. De Giovanni)

C'erano alcune situazioni in sospeso rispetto alle quali avevo una certa fretta di capire gli sviluppi: la storia dei suicidi-omicidi, la storia tra Lojacono e Laura Piras, le scelte di Alex, il futuro della piccola Giorgia. 
Quando si legge una serie, e ci si innamora dei personaggi, succede così: si ha una certa ansia di capire cosa ne sarà dell'uno e dell'altro personaggio. Pane per i Bastardi di Pizzofalcone è terminato in fretta, nonostante le 331 pagine che in qualsiasi altro libro mi avrebbero fatto pensare ad un classico mattone!
Con Lojacono non è così. Fino ad ora, con tutti i libri che l'hanno avuto per protagonista e che ho letto, non è mai stato così. Pane l'ho letto in due giorni, letteralmente divorato, proprio come se fosse una rosetta di pane fresca di forno.

La storia ha a che fare, come ben si può pensare, con un forno. Il proprietario del forno è la vittima e c'è chi pensa che si possa trattare di un delitto di mafia, visto che proprio quell'uomo era stato testimone di qualcosa che non avrebbe dovuto vedere. Aveva anche ritrattato, ma ormai il guaio era fatto.
Eppure... L'ispettore Lojacono si è trovato sul posto per pochi minuti - presto allontanato dai colleghi della DDA - ed ha capito che di mafioso quel delitto non aveva proprio nulla.
Ecco che due diverse squadre investigative si trovano a contendersi le indagini: gli uni guidati da chi ha intenzione di prendersi una rivincita su un clan mafioso con cui ha un conto aperto; gli altri guidati dall'intuito di che vuole solo che il colpevole paghi per quanto commesso, chiunque esso sia.

Senza dilungarmi sulla trama, che come al solito è ben costruita e che vede il caso principale alternarsi con un caso molto singolare di stalking, mi preme sottolineare alcuni aspetti.

Il caso dei suicidi-omicidi inizia ad innervosirmi. E non dico altro. 

La storia tra Lojacono e Laura Piras... anche qui posso dire che inizio ad innervosirmi. Laura dimostra di essere una donna di carattere, decisa, autoritaria quanto basta ma anche profondamente umana. Il suo personaggio mi piace molto: è una donna a cui mi piacerebbe assomigliare, lo ammetto. Anche se, e qui non voglio fare spam, una certa caduta di stile se la poteva risparmiare.

Alex finalmente si libera dei legami oppressivi della sua famiglia ma non è del tutto serena. Ha ancora molta strada da fare per raggiungere la vera libertà che ha solamente in parte ottenuto andandosene da casa.

La piccola Giorgia mi fa una tenerezza infinta, soprattutto se l'immagino tra le mani di colui che l'ha salvata, quelle stesse mani che sono state capaci di compiere gesti sconsiderati ma che, ora, sono fonte di immenso amore. 

Una parentesi va aperta su Serpico ops... Marco Aragona. Stavolta mi ha divertita più del solito per via del suo comportamento un po' da fumetto ma, soprattutto, per la relazione che si instaura con la vittima di stalker. Mi ha davvero divertita ed ha acquistato ulteriori punti in simpatia riuscendo a dimostrare, anche stavolta, di essere bravo nel suo mestiere, nonostante tutto.

Inutile dire che consiglio questo libro senza riserve ma che va letto in ordine, dopo gli altri: anche se l'autore offre costantemente spiegazioni su situazioni pregresse che vengono comunque accennate per permettere ad ogni lettore di comprendere ciò di cui sta parlando (anche se non avesse letto i libri precedenti) è indubbio che andando in ordine si avrebbero tutti i tasselli giusti, al posto giusto, per avere un'idea complessiva della storia.

Mi sono goduta questa avventura di Lojacono, Palma e tutti gli altri in una belle domenica di sole: non potevo avere compagnia migliore!!!
Con questa lettura partecipo alla Challenge The Hunting Word Challenge. La parola utile per la gara è PANE che ho trovato nel titolo ed anche raffigurata in copertina.
Inoltre, partecipo anche alla challenge Leggendo SeriaLmente per l'obiettivo serie Thriller/Giallo
 

venerdì 26 maggio 2017

Troppa felicità (A. Munro) - Venerdì del libro

Lo so: non mi piace leggere libri che siano una raccolta di racconti. 
Eppure ogni tanto cerco un'eccezione. 
Cerco un autore che mi faccia ricredere. 
La Munro non mi ha fatto ricredere per niente.

Nel libro Troppa felicità propone una raccolta di racconti di persone che hanno commesso degli errori, che sono state vittime di errori altrui, che hanno fatto scelte sbagliate.

La prima cosa in assoluto che mi ha confusa è stata la mia difficoltà di memorizzare i tanti nomi che si susseguono nei vari racconti.

Ogni storia mi è sembrata lasciata appesa a metà: onestamente trovo che la storia di ognuno potesse essere una buona traccia per sviluppare un libro in modo completo e sono rimasta con quel senso di vuoto che mi ha lasciato l'amaro in bocca.

Non ci sono personaggi che mi sono piaciuti più di altri visto che non sono riuscita a metterli bene a fuoco. 

Posso dire, però, che il personaggio che meno mi è piaciuto è stato il protagonista del primo racconto: quella Doree che fa la cameriera per mestiere ma che ha un passato tragico tatuato nell'anima. Ha perso i suoi figli per mano di suo marito e lei, nonostante ciò... Non voglio svelare nulla ma devo dire che il suo modo di fare mi ha innervosita, disturbata. L'ho percepita come una donna incapace di dare il giusto valore alle cose. E questo, nel contesto della sua storia, mi ha dato un po' fastidio.

Così come mi ha disturbata la figura di Nita che fa entrare in casa sua uno sconosciuto e ne diventa vittima. Non tanto dal punto di vista fisico - non subisce violenza di nessun tipo - ma subisce la presenza di un uomo altamente disturbato e che ha, anche in questo caso, un passato tragico tatuato addosso. 

Doree e Nita sono due figure femminili che non mi sono piaciute. Secondo me l'autrice non ha reso al meglio al figura femminile rendendola vittima passiva. Ed ho proseguito la lettura con scarso interesse, lo ammetto.

Ogni racconto mi ha lasciato addosso un senso di tristezza di fondo. Se dovessi dare un colore agli otto racconti userei il grigio. Diverse tonalità ma sempre grigio, a differenza della brillantezza della copertina che, a dirla tutta, mi aveva trasmesso qualche cosa di diverso.

Probabilmente non sono riuscita ad entrare in sintonia con l'autrice o, probabilmente, ho iniziato a conoscerla leggendo il libro sbagliato. Non so dire con precisione. Resta il fatto che sono contenta di aver finito di leggere un libro che diventava pesante una pagina dopo l'altra, un racconto dopo l'altro. 
Sarò pure una voce fuori dal coro ma non posso farci niente: non ho trovato quei racconti dalla bellezza incandescente che promette l'ultima di copertina del libro. 
I gusti dei lettori sono vari, differenti, determinati da tante variabili. Questo libro della Munro non è nelle mie corde. Pazienza! 

Con questa lettura partecipo alla Challenge The Hunting Word Challenge. La parola utile per la gara è FELICITA', nel titolo.
Partecipo anche al Venerdì del libro di oggi con questa lettura. Personalmente non mi è piaciuto, magari c'è chi ha un'opinione diversa. Parliamone.

martedì 23 maggio 2017

Non è stagione (A. Manzini)

L'ho già detto che le edizioni Sellerio mi piacciono un sacco? Perchè di formato maneggevole, bella carta, grandezza dei caratteri giusta... Sì? Allora mi scuso della ripetizione. 
Certo è che il fatto di aver potuto portare sempre con me il libro Non è stagione, di Antonio Manzini, ha contribuito a farmelo leggere in fretta visto che ho potuto usare tutti i tempi morti della giornata per cercare di capire chi fosse il colpevole!
Cosa, questa, che non sempre è agevole quando il libro è grande, pesante e scomodo da portare dietro.
Posta tale premessa, Rocco Schiavone è tornato a catturare la mia attenzione con le caratteristiche che avevo già imparato a riconoscere in precedenza: bravo investigatore con modi alquanto discutibili, sempre pronto a fare di testa sua quando è convinto di essere sulla strada giusta, con una vita privata piuttosto indefinita e sempre più infreddolito in quelle scarpe che consuma come il pane. 
E poi il suo umore, sempre così variabile e perennemente nero. 
Così come quel malessere che lo attanaglia ogni volta che ha a che fare con il male, con ciò che di peggio la società offre e che, bene o male, qualche residuo lo lascia sempre addosso.

Ho apprezzato il fatto che l'autore abbia dato qualche elemento in più per mettere meglio a fuoco il personaggio di Schiavone. Pian piano si capisce che cosa è successo a Marina, sua moglie ed emergono altri elementi che permettono di inquadrare meglio il soggetto. 
Così come ho apprezzato che l'autore chiami Rocco per nome, non per cognome come invece spesso è capitato in altri romanzi dove il cognome sovrasta ogni cosa. Chiare il protagonista per nome me lo ha reso più familiare, più umano.

Questa volta è alle prese con due casi che inizialmente non sembrano avere elementi in comune: un incidente stradale in cui hanno perso la vita due persone e la scomparsa di una diciottenne. 
Chiara è il nome dalla ragazza attorno alla quale si concentrano le attenzioni del vicequestore Schiavone e dei suoi. Un rapimento, questioni di soldi e chissà cos'altro ci potrà essere sotto alla scomparsa... Ben presto sarà svelato.

Ad un certo punto, quando mancavano 100 pagine circa alla fine, ho pensato di aver capito tutto. E invece no. Gli sviluppi delle indagini si alternano con l'immagine di un uomo che si ritrova solo nella sua casa, solo assieme ai suoi ricordi e ad una presenza che fa fatica a lasciar andare via. Ed è anche un'immagine tenera quella che emerge. Un uomo che non ha paura di niente e di nessuno nella sua vita di tutti i giorni ma che, nel privato, ha un punto debole che lo rende vulnerabile. Non è il supereroe che sembra avere i super poteri. E' un uomo come tanti. Un bravo investigatore ma, prima di tutto, un uomo.

Il finale del libro mi ha presa in contropiede e lascia aperta una porta per il prosieguo.
Libro che consiglio, personaggio che cattura anche per via dei suoi modi e dei suoi comportamenti spesso particolari ma profondamente umani.

Con questa lettura partecipo la Challenge La ruota delle letture: un libro recensito nel 2016 da Laura del blog La Libridinosa.
 
Inoltre, questa lettura mi permette di partecipare anche alla Challenge The Hunting Word Challenge. La parola STAGIONE è stata assegnata come parola bonus.

venerdì 19 maggio 2017

Pietra è il mio nome (L. Beccati) - Venerdì del libro

Preso a cinque euro ad un mercatino dell'usato, il libro di Lorenzo Beccati Pietra è il mio nome mi ha attirata per lo sguardo magnetico della donna in copertina ed anche per via del titolo. 
Una donna che si chiama Pietra e che vanta in modo così diretto tale nome - questo ho pensato - dev'essere una donna particolare. E non mi sbagliavo affatto!

Pere essere particolare, Pietra particolare lo è.
Ha un passatto che si porta cucito addosso anche ora che non è più una bambina.
Ha un presente che la marchia a fuoco come rabdomante rinchiudendola in un'alea misteriosa e pericolosa.
Ha sempre un bastoncino addosso e lo usa: oramai è abituata a farlo, lo è da quando era piccina a dire la verità, quando ha scelto di diventare quella che è. Sa benissimo, però, di non avere alcun potere ma di essere una persona acuta, intuitiva. Tutto qui.
All'epoca, siamo negli inizi del 1600, era più semplice credere alle arti magiche che non nell'intelligenza di una donna. Pietra lo capisce fin da bambina e ne approfitta creandosi un'identità che la renderà una donna temuta dai più..

Pietra si trova alle prese con delle misteriose e cruente morti. 
Morti di persone che, se ne renderà conto ben presto, non sono poi così lontane dalla sua persona, dal suo passato. Morti per le quali sa bene che non è ancora arrivata la fine visto che ci sono altre donne designate come vittime della misteriosa mano omicida.
La trama è originale ma un tantino scontata, devo dirlo. E lei è un personaggio senza dubbio intrigante ma concecipito a mo' di supereroe. Una donna così è meglio averla per amica che per nemica, non ci sono dubbi!
Viene colpita  violentemente e si rialza come se non avesse subito più di una folata di vento tra i capelli ed è questo che la rende poco credibile. Soprattutto nel finale, quando viene aggredita e sembra che nessuno si renda conto di ciò che ha subito visto che nessun riferimento si fa ai segni che, invece, durante la colluttazione, sono chiari.
Un dettaglio di poco conto? 
Bhè, nei thriller in cui si sono i commissari supereroi si è molto spesso disposti a passare sopra a descrizioni inverosimili e ci si affeziona all’eroe invincibile. Stavolta... forse perché si tratta di una donna, non so... Non che io voglia fare delle discriminazioni, ci mancherebbe, ma il suo essere una persona sopra le righe emerge con particolare violenza.

Violenza, ecco un altro punto: scorre sangue a fiumi sia attorno a Pietra per via delle misteriose morti che nel racconto parallelo, quello che introduce un personaggio che sembra una specie di mostro immortale e che, alla fine, se la vedrà con lei.

Non dico altro.

Il colpevole è piuttosto prevedibile, lo si intuisce chiaramente ed il finale non è una grande sorpresa se non per le modalità con cui tale colpevole viene portato alla luce, agli occhi della giustizia che - fino a quel momento - non ci ha capito un granché.

Non mancano riferimenti storici, vengono introdotti personaggi potenti dell'epoca e viene marcata la distinzione tra chi è schiavo e chi non lo.

Nonostante il suo personaggio mi sia sembrato poco verosimile, devo dire che Pietra mi piace: mi piace la sua consapevolezza di dover ingannare il prossimo perché  convinta che una donna non dovesse dimostrarsi intelligente davanti ad un uomo. Meglio mostrarsi inerme, sottomessa e, perché no, un po’ maga con quella bacchetta in mano piuttosto che ammettere di essere una persona dotata di acume ed intelletto. Valutazione molto intelligente, per quell’epoca, e sfruttata al meglio.
Ho ammirato il suo sangue freddo in diverse circostanze (per poi dover fare anche i conti con le esagerazioni, però!) ed ho anche provato tanta tenerezza per Pietra bambina, quella che non ha mai ricevuto una carezza che la sua memoria sia in grado di ricordare.

Nonostante i difetti, la lettura è risultata scorrevole: di recente mi è capitato di abbandonare la lettura di un libro dopo un centinaio di pagine... non riuscivo proprio ad andare avanti, annoiata e del tutto disinteressata alla storia. Pietra, se non altro, mi ha incuriosita.
Propongo questa lettura per il Venerdì del libro di oggi e resto in attesa di eventuali pareri, anche discordanti, su questa figura femminile e sulla sua storia.

Con questo libro partecipo al la Challenge La ruota delle letture : per questa tappa mi è stata assegnata la lettura di un libro con la copertina nera.

mercoledì 17 maggio 2017

Il messaggio segreto delle farfalle (L. al-Uthmnan)

Le donne sono come farfalle che un giorno, nonostante tutto, spiccheranno il volo.
Questo viene detto nella bandella del libro Il messaggio segreto delle farfalle e ci si aspetta un romanzo intenso, con una figura femminile che emerge in modo netto e riscatta l'intero genere femminile. In particolare, si è portati a pensare ciò se si tiene conto di ciò che si dice nel presentare romanzo e personaggio: Nadia, figlia di un kuwaitiano e di una siriana, 17 anni, pronta a vivere la propria vita. Ma la sua famiglia ha deciso per lei...

Una presentazione che lascia spazio a parecchie aspettative. Tutte deluse, secondo il mio punto di vista.

Deluse per i contenuti ma anche per lo stile di scrittura che diventa ampolloso, ridondante, eccessivamente ricercato pagina dopo l'altra.

L'autrice parla di una cultura, prima che di un personaggio: una cultura che, però, viene poco approfondita e resa in modo secondo il mio punto di vista negativo.

Nadia viene venduta a 17 anni ad un vecchio che la prende in sposa e le riserva un trattamento da principessa all'apparenza, una vita di privazioni e di violenze dall'altro. Un vecchio che la fa violentare nella prima notte di nozze da un servo che avrà un ruolo fondamentale in tutta la storia. Un vecchio despota, tutt'altro che fedele a quella che non è una moglie ma un oggetto per lui.

Posto che non riesco proprio a concepire una famiglia che venda sua figlia in questo modo - perchè di una vendita per interesse si è trattato - ma come si può accettare che questa ragazza torni proprio da quella famiglia e intenda premiarla mettendo a disposizione tutti i suoi averi tanto da concedere a suo padre, sua madre e suo fratello, una vita agiata? Genitori che hanno venduto in questo modo una ragazza e che vengono da essa mantenuti dopo quattro anni di sofferenze! Inaccettabile. 
Sarà pure una cultura diversa ma non posso proprio immaginare tutto ciò.

Così come ogni volta che Nadia parla di matrimonio di godimento mi viene l'orticaria: anche questo farà parte di un'altra cultura ma io ammetto che riferimenti a ciò non solo non mi hanno aiutata a comprenderla, una cultura così, ma mi hanno solo innervosita.
"Certo... un matrimonio di godimento previsto dal diritto islamico, così non potremo essere accusati di adulterio!".
La figura del padre è stata quella che ho maggiormente odiato così come, però, ho odiato l'atteggiamento che la stessa Nadia ha avuo nei suoi confronti.

Mi sarei aspettata una donna che riesce a spiccare il volo - è questo che si dice, no? - invece non ho proprio incontrato un personaggio così. Anzi! Nadia è soggetta alle restrizioni culturali di un mondo che le va stretto ma rispetto al quale poco riesce a fare. 
Quando cerca di opporsi alla sua famiglia, ogni volta che nei suoi confronti vengono tenuti comportamenti che limitano la sua libertà, si sfoga a parole - dicendo cose sacrosante, a dire il vero - ma poi si pente amaramente. Non so, non ho trovato il personaggio che mi sarei aspettata e la storia non mi è affatto piaciuta.

Una ragazzina violata in quel modo, sfruttata in quel modo, che torna ad innamorarsi ma che - secondo il mio punto di vista - non mostra un minimo di maturità e che continua ad essere succube di una società che impone i suoi precetti senza eccezioni... 

Non che non possano capitare situazioni di questo tipo, non intendo dire questo. Secondo me, però, l'autrice ha sbagliato qualche cosa. Intanto mi auguro che abbia inventato parecchio, perchè se davvero si assiste a situazioni di questo tipo c'è poco di che stare allegri! E poi, dal punto di vista della scrittura... Bhè, posto che le vicende possano essere state ispirate da una qualche storia vera, la narrazione è ridondante, troppo costruita, con continui paragoni che, se bene dosati, possono anche rendere gradevole la lettura ma che alla fine stancano. 

A me piacciono, ogni tanto, frasi ad effetto ma quando si esagera l'effetto è l'esatto contrario di quello auspicato.

Sparsi le mie rose, scagliai tutti i miei tuoni e i miei lampi per poi ritrovare la quiete dopo la tempesta. 

Sprofondai sul suo petto, come un fiore senza petali, una farfalla senza ali, una candela senza luce, nella speranza che avrebbe ricostruito quel che l'amore avrebbe distrutto.

Il silenzio non mi pesava, anzi, era un mio ospite e l'ospite gentile e gradito non infastidisce mai. Lo accoglievo, mi rotolavo tra le sue pieghe di seta, mi coccolava con i suoi colori, mi parlava con voce bassa simile a fogli di carta sottili inumiditi dalla rugiada.

Potrei continuare con tante altre frasi di questo tipo che, onestamente, mi hanno stufata alla fine tanto da non vedere l'ora di arrivare alla fine di quello strazio. 

Mi spiace. Questo libro non mi è proprio piaciuto ma mi permette comunque di partecipare alla gara di lettura The Hunting Word Challenge. La parola utile per la challenge è FARFALLA che compare nel titolo ed è anche raffigurata in copertina.

martedì 9 maggio 2017

Il senso del dolore (M. De Giovanni)

Finalmente ho fatto la conoscenza del Commissario Ricciardi, altra creazione della fantasia e della penna di Maurizio De Giovanni che ho amato con Lojacono e che mi incuriosiva da tempo con quest'altra serie. Serie precedente, dal punto di vista temporale, a quella dei Bastardi di Pizzofalcone ma che è arrivata tra le mie mani solo ora, quando dei Bastardi ho letto quasi tutto.

Ricciardi è diverso. 
Diverso da tutti i Commissari di cui io abbia mai letto fino ad ora.
Lui ha un dono - che poi, a ben guardare, è davvero un dono? O piuttosto una condanna? - che lo accompagna nel suo quotidiano, fin da quando era ragazzino.
Lui vede i morti. Li vede nel loro ultimo momento di vita e ne sente il dolore. Un dolore che lo attanaglia, che lo pervade e con il quale convive da sempre.
Come fa, tutto ciò, a non influenzare il suo modo di essere? Ricciardi non ride mai, si capisce che porta un peso sulle spalle ma nessuno sa cosa sia. Un peso che in alcune circostanze lo aiuta - nel suo lavoro - ma che peso è e peso resta. 

L'amore e la fame: questo secondo Ricciardi che porta ad armare mani assassine. Come quella che ha chiuso definitivamente la carriera di Arnaldo Vezzi, tenore di fama mondiale, trovato ucciso nel suo camerino in un lago di sangue. Ed è proprio il sangue che esce a fiotti dal suo collo ad accompagnare l'immagine della vittima che segue Ricciardi. Canta, Vezzi. Canta e piange nell'ultimo momento prima di morire. E Ricciardi lo sa. Perchè? E' morto per mano di chi? Sarà l'amore o sarà la fame alla base di questo caso sul quale il Commissario sta indagando.
E pensare che Ricciardi ha sangue blu nelle vene! Eppure, vive nel tormento, perennemente a contatto con un mondo fatto di morti viventi, che vivono solo per lui e non lo lasciano in pace. 
Potrebbe vivere di rendita, avvantaggiarsi della sua discendenza. Ma non è questo quello che vuole. Ricciardi persegue il suo senso di giustizia che lo porta a lavorare senza distrazioni fino a che non trova il colpevole. 
Stavolta cerca di districarsi nel mondo del Real Teatro di San Carlo: all'interno di un camerino come tanti, ma appartenuto al più grande tenore di tutti i tempi, vede quel pagliaccio con le lacrime agli occhi e la gola squarciata e sente il suo canto. Pagliacci: era quella l'opera che Vezzi avrebbe dovuto mettere in scena ma rispetto alla quale si è solo limitato a vestire gli abiti di scena ed a portarne il trucco nel volto. 
Una scena che non abbandona Ricciardi tranne che in alcuni, volatili momenti: quando si affaccia alla finestra di casa sua per osservare - convinto di non essere visto - una giovane dall'altra parte della strada. Elena è il suo nome. I due si scambiano furtivamente sguardi che vanno oltre le parole mai dette. 

Ricciardi non regge il confronto con Lojacono. Anzi, mi correggo. Ricciardi non può essere confrontato con Lojacono perchè sono diversi: diversa l'epoca in cui vivovo e indagano, diverso il contesto in ci lavorano (Lojacono in squadra, Riccardi in solitudine con un solo collaboratore accanto), diversa la storia personale ed anche l'estrazione sociale.
Eppure, hanno in comune l'essere nati da una penna sapiente che li fa restare nella mente del lettore.

In questo libro - e credo anche negli altri, proprio per via della caratteristica di Ricciardi - le continue immagini di spettri, di morti-viventi mi hanno fatto pensare al film Sesto senso: non sono forse, anche in questo caso, anime che lasciano qualche cosa di incompiuto e che lanciano messaggi ad una persona speciale? Non un bambino, come nel film, ma un commissario.

Ricciardi viene descritto con la solita maestria di De Giovanni. Quel naso aquilino, quel ciuffo ribelle mi hanno dato degli elementi chiari sui cui far volare la mia immaginazione per dare un volto a quel personaggio così particolare e a suo modo magnetico.

Interessante il riferimento, anche se di passaggio, a Pizzofalcone.

Personaggio molto interessante per una serie che mi intriga un bel po'.
Con questa lettura partecipo alla gara di lettura The Hunting Word Challenge. La parola utile per la challenge è DOLORE che compare nel titolo.


Inoltre, propongo questa lettura per la nuova edizione della Challenge From Reader to Reader 2.0 e ringrazio chi ha suggerito questo titolo dandomi, così, l'occasione di conoscere Ricciardi.

Ps: nell'edizione che ho preso io in prestito in biblioteca, in copertina non compare il sottotitolo che, invece, è ben visibile in altre edizioni: L'inverno del commissario Ricciardi. A parte ciò, la copertina mi piace.

venerdì 5 maggio 2017

Riflessi di donne (M. P. Carella) - Venerdì del libro

Dieci anni esatti: per dieci anni il libro di Maria Pia Carella - Riflessi di donne. Guardarsi in uno specchio di carta - è rimasto silente tra tanti altri volumi ancora da leggere nella mia libreria.
Nel momento in cui per la Challenge  La ruota delle letture mi è stata assegnata la lettura di un libro con la copertina rossa l'ho presto tra le mani. Senza troppa convinzione, lo dico subito, perchè a suo tempo ricordo di aver letto qualche pagina e di aver abbandonato la lettura.


Riflessi di donne: un libro che raccoglie racconti di donne che hanno un'esistenza difficile e che arrivano ad un riscatto, ad una rivincita, ad una speranza per il futuro. Buone le intenzioni, scorrevole e semplice la scrittura ma sembra tutto troppo scolastico, troppo lineare e troppo semplice. Ecco, è questo il punto. Per i miei gusti, tutto troppo semplice. 

Sono storie che mi hanno lasciato poco. Non le ho trovate originali ma fin troppo comuni: probabilmente era questo che intendeva trasmettere l'autrice ma con me, mi spiace, non è stato efficace. Probabilmente ha voluto raccogliere storie normali nelle quali ogni donna potesse riflettersi. Io sono sincera: a me avrebbe fatto piacere riflettermi in una storia positiva, solare, di una donna che potrebbe essere un modello per tante altre... Nel leggere di Paola, Ilaria, Cristina e tutte le altre ho provato tanta tristezza e nemmeno il finale delle singole storie è riuscito a farmi scrollare di dosso questa tristezza.

Probabilmente l'ho letto in un periodo in cui avevo bisogno di altro, di storie più positive magari... non so. Fatto sta che quell'impressione che avevo avuto a suo tempo si è rinnovata oggi, dieci anni dopo, con ancora maggiore intensità visto che, malgrado tutto, l'ho letto fino alla fine.

La storia che mi ha intristito meno è stata quella di Luce ma non posso dire il perchè, altrimenti toglierei l'effetto sorpresa. Le altre non mi hanno lasciato nulla anche quando, per via della reazione agli eventi, qualche cosa avrebbero potuto lasciare nel lettore.

Ho notato anche alcuni dettagli - solita pignola - che non mi sono piaciuti molto come la mancanza del punto che chiude la frase dopo aver chiuso le virgolette in un discorso diretto. Alcune volte viene messo, altre no. Secondo quale criterio?

Un dettaglio, è vero, ma a me i dettagli saltano agli occhi, che ci posso fare? Ho anche notato scritto Natale delle volte in lettera grande e delle volte in lettera piccola. Dettagli... E vabbè!

In conclusione, un buon esercizio di scrittura da parte di un'autrice che sa scrivere ma che, secondo me, dovrebbe affinare il suo stile e inserire in tocco di originalità in più. Sempre che voglia riprovarci visto che si è trattato della sua opera prima.

Come mai, allora, lo segnalo per questo Venerdì del libro? Come lettura senza troppre pretese, per prendere confidenza con donne che potrebbero essere le nostre amiche, le nostre vicine di casa ma anche noi stesse con l'auspicio che il lettore non sia pervaso da quella stessa tristezza di fondo che ha attanagliato me.

martedì 2 maggio 2017

Hollow City. Il secondo libro di Miss Peregrine. La casa dei ragazzi speciali (R. Riggs)

Il lungo fine settimana che ha compreso anche la festa del primo maggio mi ha permesso di gustarmi il secondo volume delle avventura di Miss Peregrine e dei suoi ragazzi spaciali.

Hollow City è il secondo libro della trilogia di Miss Peregrine e non ricordavo che i caratteri usati per scrivere il testo fossero così piccini! Appena l'ho preso tra le mani ho pensato che ci avrei messo un'eternità a leggerlo ma mi sbagliavo di grosso. 
426 pagine sono volate via sulle ali dell'avventura perché è di questo che si tratta. Un'avventura fantasy che propone vicissitudini inimmaginabili per un ragazzo che ha di recente scoperto di avere dei poteri Speciali. E' uno Speciale anche lui, Jacob Portman, proprio come la bambina più leggera dell'aria che deve indossare scarpe zavorrate per non prendere il volo, come la ragazzina che può produrre fuoco con le mani, il ragazzino che può riportare in vita i morti per qualche istante e tutti gli altri.
Olive, Emma, Millard (il ragazzo invisibile), Bronwiyn, Horace, Enoch, Hug, Claire, Fiona: è davvero un bel gruppetto di speciali quello che abbiamo lasciato in mare, dopo aver abbandonato l'isola su cui per tanto tempo sono vissuti protetti sotto le ali di Miss Peregrine. Ali... una similitudine quanto mai azzeccata visto che ora la direttrice dell'anello di Cairnholm è bloccata nella forma di un uccello.

Ho particolarmente gradito l'album fotografico inserito all'inizio del libro dove sono riportati i ritratti dei protagonisti e un piccolo sunto delle loro caratteristiche, in modo da rammentare al lettore di chi stiamo parlando.
 
A parte Millard - che è invisibile pertanto viene proposto solo come un mucchietto di abiti senza testa - di tutti gli altri Speciali l'autore propone un volto con una foto d'epoca ma ciò non avviene per il protagonista. Jacob è una sagoma scura che non ha un volto mentre di tutti gli altri - già peraltro presentanti nel libro precedente - il lettore può farsi un'idea anche fisica.
Bisogna dare spazio all'immaginazione, dunque, per dare un volto al protagonista.

A parte questo dettaglio, le foto - così come nel primo volume - sono poi presenti tra i vari capitoli e la lettura è resa ancora più interessante quando l'occhio cade su immagini che danno perfetta forma a ciò che le parole descrivono.

Questa volta i ragazzi Speciali (che però vengono chiamati ragazzi solo nel titolo, perché poi diventano bambini nelle more del racconto) hanno una missione molto particolare da portare a termine: salvare Miss Peregrine che è caduta vittima di un incantesimo. La loro sarà una lotta contro il tempo ma anche una lotta fisica contro i Vacui e gli Spettri che sono costantemente sulle loro tracce, molto più vicini di quanto possano pensare.

Jacob viene messo davanti ad una scelta difficile e il gruppo si arricchirà di nuovi amici Speciali conosciuti durante il viaggio. La storia non ha un termine e bisogna per forza leggere il terzo ed ultimo libro della serie. 
Quello che posso dire, però, è che Jacob scoprirà qualcosa di nuovo sul suo essere Speciale e si troverà, assieme al gruppo, a fare i conti con una sgradevolissima sorpresa.

Un piccolo, piccolissimo appunto. Un po' mi è suonato male il fatto che l'autore non facesse per niente riferimento alla famiglia del ragazzo che, a ben guardare, se n'è andato senza lasciare tracce. Poi, alla fine, però, su questo fronte qualcosa accade.
Con questa lettura partecipo alla nuova tappa della challenge Leggendo SeriaLmente: si tratta del secondo libro di una delle tre serie proposte dalle organizzatrici.