Non ho molta familiarità con la letteratura orientale. O meglio, ogni volta che ho tra le mani un libri di autori orientali ho la sensazione di avere tra le mani qualche cosa di molto fragile.
Ed anche questa volta, con Quel che affidiamo al vento, ho avuto la stessa sensazione con una storia che è stata anche dolorosa, per me. Lo sarebbe per chiunque abbia perso qualcuno.
E' un libro delicato che mette a nudo le fragilità dei protagonisti in un contesto di condivisione molto particolare: quella del lutto, in un modo molto particolare.
Esiste un posto, sul fianco della Montagna della Balena, in cui si recano persone che hanno una caratteristica comune, quella di aver perso qualcuno. Giovani, anziani, donne, uomini, ragazzi, mariti, figli, mogli... sono una massa eterogenea di persone che si recano nel giardino di Bell Gardia per affidare al vento le loro parole indirizzate a qualcuno che non c'è più. Sono come una massa di giocattoli rotti che cercano un modo per poter tornare a funzionare. E non necessariamente perchè morto ma anche perchè lontano o fisicamente vicino ma lontano con la mente e con l'anima.
In quel giardino c'è una cabina telefonica la cui cornetta non mette in collegamento con altri se non con il vento.
Un rito, un'abitudine, un tentativo, l'ultima speranza o la chiave per superare il senso di vuoto che un'assenza ha causato: per ognuno l'esperienza a Bell Gardia è differente ma il minimo comune denominatore resta lo stesso.
La gestione del lutto diventava in quell'occasione manutenzione della felicità di intere comunità.
Ecco quel che accade nel giardino.
In questo contesto si inseriscono le figure di Yui e Takeshi: entrambi hanno perso qualcuno, entrambi portano nel cuore un dolore grande, entrambi vanno in quel giardino e, anche se Yui solitamente non parla, le parole di Takeshi si sommano a tutte quelle che vengono affidate al vento da migliaia di altre persone. E a Yui va bene così.
A Yui lo tsunami dell'11 marzo 2011 ha portato via madre e figlia.
Takeshi ha una bambina che non parla più da quando è morta sua madre.
Due solitudini che si incontrano, due anime ferite che cercano... che cosa? Forse cercano di rimarginare ferite che li tengono ancorati a terra come una zavorra di cui fanno fatica a liberarsi. Forse cercano solo un modo per non sentirsi soli, nella condivisione di un'esperienza che li porta a conoscere altre persone legate al suolo come loro ma cariche di speranza e di quella luce che, con la cornetta in mano, illumina i loro occhi.
Nessuno potrà restituire loro le persone perdute ma tutti possono avere accesso al miracolo dell'amore, soprattutto quando non lo si cerca.
La storia di Yui e Takeshi è una storia di perdita e ritrovamenti, di piccoli miracoli inaspettati, di fiducia ma anche di fragilità, di paura, di senso di inadeguatezza. I personaggi sono così umani che sembra di sentire i battiti dei loro cuori e la prosa così delicata e soave che tocca l'anima.
E' stato doloroso, per me, leggere un libro di questo tipo - sono reduce anche da un'altra lettura, quella recensita ieri, in cui si parlava di perdita, di morte, di allontanamenti - perchè ha riportato alla memoria una delle più grande tragedie legate agli eventi naturali degli ultimi anni ma anche perchè mi ha toccata nel profondo facendomi pensare alle cose non dette alle persone care che ho perduto, alla loro mancanza, al dolore che essa provoca ancora oggi in me.
E' un libro che consiglio a chi sappia leggere con positività una storia dolorosa ma anche carica di speranza, a chi sia disposto a lasciarsi frugare nell'anima da personaggi che sembra vogliano guardarti dentro con occhi carichi di stupore e meraviglia. Lo consiglio a chi ama la cultura giapponese ma anche a chi, come me, la teme un po'.
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Quel che affidiamo al vento
Laura Imai Messina
Piemme
256 pagine
17.50 euro copertina rigida, 9.99 Kindle
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