Non volava una mosca in sala. Sala gremita, piena per lo più di giovani e non volava una mosca.
Ieri sera ho partecipato ad un incontro con il campione di pallavolo Giacomo (Jack) Sintini che ha raccontato la sua storia a sua volta narrata nel libro Forza e coraggio.
E' stato uno degli incontri più belli a cui io abbia sino ad ora partecipato - organizzato dal Centro di Aggregazione Giovanile di Casette d'Ete con la collaborazione della libreria Il Gatto con gli stivali - sia per la particolarità della storia che, soprattutto, per la positività che quest'uomo mi ha trasmesso.
L'incontro non è stato moderato da nessuno. C'era lui, un microfono ed il pubblico. Introdotto inizialmente da alcune ragazze di un liceo sportivo che, dopo aver analizzato diverse biografie di sportivi, hanno scelto la sua come più significativa, tanto da volerlo incontrare, Jack ha preso la parola lasciando la sala in un silenzio mai sentito prima in una sala tanto grande e tanto piena di gente.
In alcuni passaggi il silenzio, durante le sue pause, era assordante e lasciava davvero palpare l'emozione che una testimonianza di questo tipo stava trasmettendo ai presenti.
Emozione. Questo è quello che mi è rimasto addosso dopo essermi alzata dal mio posto, aver ottenuto la mia copia autografata ed aver rubato uno scatto assieme.
Ho anche pianto, posso dirlo? Perchè il suo racconto mi ha fatto pensare a persone che non ce l'hanno fatta come, invece, ce l'hanno fatta lui.
La sua è una storia di vittorie, su più fronti.
Vittorie dal punto di vista della sua carriera sportiva, vittorie nella vita privata, vittorie contro il male per eccellenza, il cancro. E vittorie ancora più grandi dopo essere stato messo in ginocchio dalla malattia ed essersi rialzato, con più grinta che mai.
Non intendo svelare il contenuto del libro che credo di poter consigliare fin da subito, pur non avendolo ancora letto. Qualche passaggio, però, va fatto.
Jack è un ragazzino di 14 anni che cerca la sua strada: vuole diventare un campione dello sport. Inizia con il calcio ma, quando si ritrova cresciuto un bel po' e con dei piedoni che gli sono più che altro d'intralcio, il calcio non fa più per lui.
Si innamora della pallavolo e gli viene offerta un'opportunità da parte di chi vede in lui un grande potenziale, pur non avendo mai giocato una partita e pur conoscendo poco quello sport. Da questo momento, con grinta e convinzione, forza di volontà e gioco di squadra, la sua carriera è tutta in salita. Arriva a diventare un campione, a guadagnare bene, a mantenersi da solo a 21 anni e a fare una tranquilla vita da single quando conosce la donna che poi diventerà sua moglie. Un matrimonio felice, una bambina. Quando si stanno per spalancare le porte di un futuro ancora di maggiore successo inizia a sentirsi poco bene. Cancro. Deve smettere di giocare.
La malattia, la sofferenza, la voglia di farcela soprattutto per le persone che ama "...perchè se fosse stato per me non avrei certo lottato come ho fatto. L'ho fatto principalmente per mia figlia e, tutto sommato, mi sono detto che nella disgrazia il mio male era una fortuna perchè mi ero ammalato io e non lei, non mia moglie. Non volevo che mia figlia crescesse pensando che suo padre si fosse lasciato andare, che non avesse lottato".
Il cancro. Mai avrebbe potuto immaginare che quei dolori che aveva iniziato ad avvertire portassero quel nome. Chemio, sofferenza, trapianto. Ripresa.
La ripresa arriva, il male viene sconfitto. Jack può tornare ad essere il grande campione che è sempre stato. Ed arriva un'altra occasione...
Ho già detto molto, forse troppo. Queste sono le tappe più salienti di un racconto fatto con la voglia di trasmettere fiducia a chi possa trovarsi nella sofferenza, con la volontà di portare un messaggio positivo a chi prova solo dolore come quello che ha provato lui.
Non sono riuscita a trattenere l'emozione davanti a quell'uomo che parlava della sua sofferenza che mi ha richiamato alla mente la sofferenza di tanti altri. Qualcuno, come lui, ce l'ha fatta. Qualcuno no.
Jack ha reagito con forza e coraggio, proprio come dice il titolo del suo libro, ed ha avuto un atteggiamento molto particolare nei confronti della malattia.
"Ogni volta che si compete con un avversario si pensa che possa essere invincibile - ha detto - ma poi si studiano le sue mosse e ci si rende conto che anche lui sbaglia, anche lui può perdere. Io ho affrontato la malattia come sono sempre stato abituato ad affrontare l'avversario: l'ho studiata, ne ho compresi i punti deboli e mi sono reso conto che poteva essere sconfitta. Sono anche stato fortunato, è vero, ma mai mi sono lasciato andare anche se ho avuto tante volte la tentazione di farlo. Il messaggio che voglio lanciare non è certo quello secondo cui se si reagisce con grinta si sconfigge il cancro. Non è così. La grinta non basta. Ma quello che voglio dire che un atteggiamento positivo può aiutare. Mi auguro che quello che è capitato a me, alla mia famiglia, possa aiutare chi sta combattendo contro il cancro ma anche in qualsiasi altra battaglia importante".
Non smettere mai di sperare, lottare con tutte le proprie forze per affrontare nemici che possono anche essere più grandi di noi ma che possono non essere invincibili.
Ed ora, in conclusione, mi permetto una riflessione personale.
Mentre sentivo parlare Jack ho pensato tanto alla mia amica Maria Luisa.
Ha lasciato una bambina di due anni. E' morta prima di raggiungere i 40 anni di età. Cancro.
Sono certa che anche lei abbia avuto un unico pensiero in mente durante il suo calvario.
La sua bambina.
Sono certa che avrà lottato con tutte le sue forze per non lasciarla, per non andarsene così prematuramente.
Sono certa che avrà sopportato a testa alta le tante sofferenze che il cancro le hanno prodotto.
Non ce l'ha fatta, però.
Ma sono certa che abbia comunque stretto i denti fino alla fine e che sua figlia possa essere orgogliosa di lei.
Ed ho pianto.
Quando mi sono avvicinata a Jack per farmi autografare la mia copia avrei voluto dirgli tutto questo ma dalla mia bocca sono usciti solo pochi suoni. "Ci hai emozionato", ho detto. Ho parlato al plurale perchè credo che sia stata la stessa cosa anche per altri. Avrei davvero voluto dire di più ma i miei pensieri erano aggrovigliati l'uno all'altro e mi sono limitata a sorridere.
E sorrido anche ora, ripensando al gran sorriso che aveva stampato in viso Maria Luisa nel giorno del suo matrimonio, quando aveva una vita felice davanti.
E' questo che voglio ricordare di lei.
Il suo sorriso.
Questo il cancro non potrà mai portarlo via nei miei ricordi.
Lui ha emozionato te, il tuo post ha fatto piangere me. Non posso che pensare alla mia amica F., anche lei morta di cancro, anzi mesiotelioma, a 37 anni, dopo aver lottato con tutte le sue forze. Per fortuna, qualcuno vince la sua battaglia ed ha il coraggio di raccontarla.
RispondiEliminaTi abbraccio, pensando insieme a te anche alla tua amica ed a sua figlia.
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