Elia racconta un periodo delicato della sua vita a distanza di trent’anni. Ora è un uomo, non più un adolescente, ed analizza da una diversa angolazione ciò che accadde a lui e alla sua famiglia quando era poco più che un ragazzino.
Perché, di fatto, era un ragazzino quando qualcosa ha scosso l’esistenza sua e dei suoi genitori.
Se, da un lato, dal punto di vista personale Elia scopre di non essere più un bambino grazie all’attrazione per la madre del suo amico Stefano, dall’altra le fondamenta della sua famiglia, del suo nido felice, vengono minate alla radice mostrando tutta la fragilità di equilibri che sono tali solo in modo apparente. Quelli che vanno salvaguardati sempre e comunque dall’interno, soprattutto quando si è parte di una piccola comunità avvezza al giudizio e alla condanna impietosa.
In quella comunità che viene scossa dall’uccisione di un bambino, la scomparsa di una ragazza arriva pesante come un macigno. Sarà proprio questo a sconvolgere quella famiglia ma solo ora, a distanza di anni, Elia riesce a dare una reale dimensione ed un reale peso a quanto accaduto. Perché all’epoca, anche per via di una madre che faceva finta di non vedere e non sentire per salvaguardare la reputazione del nucleo familiare, tutto è apparso ovattato e meno nitido di quanto non lo sia, invece, a posteriori.
Elena Varvello concede ad Elia di raccontare in prima persona ma lo fa prestandogli uno stile narrativo particolare: il racconto delle sue vicende personali di ragazzino in cerca di una dimensione si alternano ai ricordi (o, per lo meno, a quello che Elia immagina possano essere tali) di quanto accaduto a quella ragazza e a suo padre. Perché, di fatto, lui era coinvolto nell’accaduto anche se sua moglie ha tentato fino all’ultimo di non vedere.
Il racconto è un crescendo di tensione ed emozioni: il racconto della sfera personale del protagonista e quella della cronaca che riguarda suo padre si alternano lasciano il lettore sul filo di lana in entrambi i casi. In alcuni punti mi sono trovata catapultata all’improvviso nel racconto di qualche cosa di differente da ciò che stavo leggendo poco prima. Se, sulle prime, questa cosa mi ha un po’ spiazzata, poi mi ha conquistata lasciando accesa la mia attenzione su più fronti.
Dopo Solo un ragazzo, romanzo con il quale ho conosciuto (ed apprezzato) l’autrice, con La vita felice Elena Varvello torna a proporre come protagonista un giovane che, nella fase matura della sua vita, affronta quel passato che non gli si è mai del tutto scrostato di dosso. Se lo sente ancora appiccicoso, quel dubbio latente che cresceva in lui da bambino (anche se forse non se ne rendeva nemmeno conto) in merito alla figura di suo padre e quella verità alla quale, all’epoca, probabilmente non è riuscito a dare il giusto peso.
Vede, oggi, davanti ai suoi occhi l’uomo che suo padre è stato e i tanti segnali di un malessere che cresceva in lui ma che, allora, apparivano come poca cosa. O - dipende dai punti di vista - che all'epoca faceva più comodo considerare tali o addirittura non vedere .
Elia si scopre ferito nel profondo… ancora oggi.
È un romanzo di crescita e consapevolezza quello che ho avuto tra le mani e che consiglio.
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La vita felice
Elena Varvello
Einaudi editore
pag. 190
18.50 copertina flessibile, 9.99 Kindle
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