Appena ho iniziato a leggere il libro La sorella, di Sàndor Marài (mi scuso per l'accento sbagliato ma non riesco a fare altrimenti) non sono riuscita ad inquadrare di che tipo di lettura si trattasse. L'autore parlava di un soggiorno natalizio non troppo riuscito, di personaggi piuttosto eterogenei che si sono ritrovati nello stesso posto a vivere un'esperienza molto particolare... ma di qualche cosa che richiamasse il titolo - La sorella - nemmeno l'ombra. Non riuscivo proprio a capire dove volesse arrivare, cosa volesse raccontare, chi fosse il protagonista del libro.
Poi, la svolta.
Non è quella del soggiorno natalizio la storia. Quello è solo il prologo, solo la "rincorsa" che precede il salto, quello che porta al racconto "vero".
L'autore - che, lo ammetto, mi era sconosciuto prima di avere questo libro tra le mani - narra la storia di un musicista del quale non svela il nome ma che identifica con una lettera. Z è un famoso pianista che si trova, all'improvviso, a fare i conti con una misteriosa malattia che lo prova profondamente nell'animo, nel fisico e nella mente. Marài dà voce alla sua malattia, al suo dolore. Un compito non facile perchè non è semplice trasmettere in un lettore tutto ciò che una persona che soffre si trova a patire. Marài riesce a colpire nel segno. Almeno con me.
Da cosa l'ho capito? Bhè, ci che ho letto si è insinuato dentro di me tanto da spuntare tra i miei pensieri nei momenti più impensati: mi sembrava di rivivere, seppur in modo distaccato, quelle situazioni che Marài descriveva soprattutto in relazione a persone di mia conoscenza che hanno sofferto molto per via di malattie che, purtroppo, non hanno avuto lo stesso epilogo che, invece, è stato riservato a Z. L'autore ha avuto la capacità di scombussolarmi un bel po'.
Che tipo di malattia fosse, quella di Z, non l'ho proprio capito. Anche perchè nessuno gli dà un nome nemmeno dietro a precise sollecitazioni del pazienze. Quello che è certo è che si tratta di una malattia che lo riduce ad un automa e che lo lascia alla balìa di un dolore che solo lontanamente posso immaginare di quale intensità sia.
L'autore lascia che sia proprio Z a raccontare e a raccontarsi: Z parla della sua malattia ma anche di un amore da cui si è trovato a scappare. Un amore molto strano e che, ad un certo punto, collega a doppio filo con la malattia che lo ha ridotto in un letto di ospedale. Anche lei, la sua amata, non ha un nome ma un'iniziale: E. Sarà l'amore per E che lo aiuterà a venir fuori dalla sua situazione di malato. O, meglio, nella sua mente sarà E a salvarlo. In realtà non è proprio così perchè ha delle presenze femminili attorno ma sono presenze di altro tipo.
Ad accudirlo ci sono quattro suore e sarà proprio da una di queste che arriverà la scossa nel momento in cui Z sembra aver perso la voglia di lottare per la vita.
All'inizio, come accennavo, mi è sembrato un libro lento e confusionario... Poi è iniziato a scorrere... in alcuni punti mi è sembrato un po' ripetitivo ma, a ben pensare, la situazione che veniva raccontata richiedeva che si insistesse su alcuni aspetti per essere efficace.
Arrivata all'ultima pagine ammetto di aver tirato un sospiro di sollievo perchè, pur avendo letto il libro in vacanza, pensare ad una persona che soffre a quel modo mi aveva un po' angosciata... Non è stata una classica lettura da ombrellone, leggera e spensierata... quello no. Però è stata una lettura che mi ha toccata e che, ne sono certa, non dimenticherò.
Ps. ero a poco più della metà mentre i miei figli si divertivano in un parco divertimenti: per i grandi c'erano delle sdraio all'ombra ed ho approfittato molto volentieri per leggere!
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