La vita non è una fiaba e non sempre c’è il lieto fine. Lo ricorda l’autore nelle sue note finali e mai come stavolta mi sono sentita di leggerle tutte, quelle note.
Tra 1938 e 1939 il quartiere Sassello fu raso al suolo a picconate. Tutti consenzienti, compresi politici (sia di destra che di sinistra) che gli scrittori, gli architetti ed altri intellettuali. Poche voci fuori dal coro. La demolizione del Sassello offriva vantaggi a molti. Era uno dei quattro rioni storici dell'antico borgo di Lugano, la contrada nei pressi dell'odierna Via San Lorenzo e di Via G. Motta. Il luogo in cui, all’inizio del romanzo di Galimberti, viene rinvenuto il cadavere di una giovane donna. Nuda. Bellissima. Dal volto sereno. Come se dormisse. Tutto ha inizio in un modo che non fa assolutamente presagire a tale tragedia.
E’ una mattinata d’autunno del 1935. C’è da raggiungere un ladruncolo che sta sgattaiolando via dei banchetti del mercato di Lugano, dove ha rubato delle ciambelle. Un poveraccio, probabilmente, mosso dalla fame e Albino Frappolli, giovane gendarme in servizio, si mette all’inseguimento fino ad arrivare proprio alle porte di quel quartiere, il Sassello. Mentre il ladro riesce a seminare il suo inseguitore e a prendere per il naso tutti coloro che l’hanno visto scappare vie, il giovane gendarme viene condotto in un punto preciso di quel quartiere malfamato dove non trova il ladruncolo. No. Trova il cadavere di una giovane donna attorno al quale in molti hanno fatto capannello.
Il ragazzo non può fare altro che mobilitare il suo capo, il delegato di polizia Ezechiele Beretta.
Si aprono così le indagini attorno ad una morte sulla quale appare subito difficile fare luce. L’identificazione della ragazza – Eleonora, una delle due figlie di uno degli uomini più ricchi di Lugano – le indagini sul povero cadavere, le ricerche del colpevole: tutto mostra di essere più difficile del previsto.
La narrazione è scorrevole e l’ambientazione ben resa. Usi e costumi dell’epoca, descrizioni efficaci degli ambienti, personaggi credibili: tutto rende la lettura piacevole (per quanto possa essere piacere leggere dell’assassinio di una giovane donna). L’autore utilizza due piani narrativi che aiutano la comprensione degli eventi: quello presente, con ciò che sta accadendo, e quello che riporta a quanto accaduto in precedenza che, poi, altro non è se non ciò che si sta cercando di far venire alla luce.
Quando si è arrivati al colpevole (o ai colpevoli?) ho pensato che fosse stato tutto così facile da risultare troppo banale… e in effetti andando avanti ci si rende conto che, se il libro fosse finito lì, sarebbe stato proprio così. Invece c’è il colpo di scena…
La storia gravita attorno ad equilibri fondati sull’opportunismo, a rapporti familiari non del tutto sani, al caro, vecchio dio denaro che motiva, a quanto pare, anche le scelte più abiette e vili.
Un giallo senza infamia e senza lode che ho letto con piacere e di cui ho visto che sono stati pubblicati altri due volumi tanto da dare vita ad una serie.
Non svelo oltre per non togliere il gusto della lettura ma
mi rifaccio all’introduzione di queste mie considerazioni, alle note dell’autore:
un grande protagonista è proprio il quartiere. Quel quartiere che resta
protagonista fino alla fine anche se in un modo diverso da quello che, invece,
gli è stato riservato nella realtà.
E concludo riprendendo proprio quanto detto sopra: la vita non è una fiaba e non sempre c’è il lieto fine.
***
L’angelo del lago
Dario Galimberti
Pag. 250
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