domenica 9 febbraio 2014

Caduto fuori dal tempo (D. Grossman)



Il libro di David Grossman dal titolo Caduto fuori dal tempo è stata una delle ultime scoperte fatte in biblioteca nell’andare alla ricerca di libri adatti per la gara di lettura a cui sto partecipando. Quando ho visto la copertina e letto il titolo non mi sono nemmeno soffermata a leggere un abstract o una presentazione del libro.
L’ho preso e basta.
Appena l’ho avuto tra le mani ho apprezzato la bella copertina ma, sfogliandolo in modo distratto, mi sono subito sentita smarrita.
Poesie? Erano poesie quelle che vedevo stampate sulle pagine? Io non vado forte con la poesia e preferisco romanzi lineari e semplici da capire… Non sono una lettrice dalle grosse pretese e non mi sento a mio agio con prodotti letterari “di nicchia”. Anche questa volta, come avvenuto più volte negli ultimi tempi, mi sono dovuta ricredere.

Caduto fuori dal tempo è un libro che usa la poesia per dare voce al dolore e all’amore allo stesso tempo. L’amore che i personaggi provano per la perdita di un figlio o di una figlia ed il profondo dolore che a ciò consegue.
Grossman non inventa un romanzo come tanti, non struttura personaggi a caso. 
No. Grossmann racconta dell’amore e del dolore di diversi personaggi dando loro voce attraverso la poesia.
Grossman è egli stesso protagonista in prima persona di questo libro: lui, che prese un figlio – il suo secondogenito Uri – ucciso in missione da un missile anticarro sul fronte libanese nel 2006. L’autore non compare in prima persona ma la sua figura si ritrova in un personaggio molto singolare: un Centauro, dal corpo di uomo trasformatosi in scrivania nei suoi arti inferiori… un personaggio che simboleggia l’incapacità dell’autore di tornare a scrivere come un tempo, come prima che avvenisse la tragedia. Lui che non ha più la forza di alzarsi dalla sua scrivania, divenuta quasi una parte di se, del suo corpo, del suo essere.
Ebbene, il Centauro è una delle figure che compaiono nel libro assieme all’uomo che cammina, al Duca, alla levatrice, alla donna delle reti, al maestro di matematica e allo scriba delle cronache cittadine. Sono tutti personaggi accomunati dalla perdita di un figlio, tutti incapaci di rassegnarsi ad una perdita così profonda, tutti sul punto di perdere la ragione a prescindere dal tempo trascorso dalla morte del loro congiunto.
Il libro prende avvio da un uomo che, improvvisamente, decide di mettersi in cammino verso “laggiù”. Un luogo non meglio identificato dove crede di poter trovare la pace, ritrovando suo figlio morto cinque anni prima. Inizia a camminare attorno alla città… cammina e cammina in balìa di una disperazione che non gli permette di fermarsi. Ben presto il suo diventerà un cammino di gruppo visto che altri personaggi si uniscono a lui alla ricerca dei confini del mondo dove sperano di trovare quelle risposte che nessuno può dare loro. 

Dall’iniziale scetticismo (o forse paura?) nel dovermi misurare con un testo poetico, sono passata all’emozione allo stato puro, fin dalle prime pagine. L’autore riesce a trasmettere emozioni profonde, a coinvolgere il lettore in quel dolore lancinante che è alla base dei comportamenti dei suoi personaggi. E’ una storia… o, meglio, un insieme di storie profondamente dolorose che rendono appieno ciò che può provare un uomo o una donna che si trovano ad essere impotenti davanti alla morte di un figlio o di una figlia.

Mi sono talmente emozionata nel leggere il libro che il pensiero è andato a tutti coloro che conosco e che hanno vissuto una situazione analoga. In primis a mia nonna, che ha perso una figlia adolescente e della quale non parla mai. Quante volte mi sono chiesta come avesse potuto affrontare quel dolore, dove abbia trovato la forza di andare avanti, quale ricordo serbasse di lei, quali progetti avesse fatto per la sua primogenita morta ormai da più di sessant'anni. Non l’ho mai sentita parlare di lei, della zia Nadia morta poco più che bambina ma molte volte sono stata sul punto di chiederle qualche cosa… Non l’ho mai fatto ma nei suoi occhi oramai appannati dall’età (ha 92 anni) vedo ancora la tristezza per quella figlia tanto amata e perduta adolescente. E soffro anche io… per lei e con lei…
Mi chiedo se avrà voglia di parlarne… se ne avrà mai parlato con qualcuno in tutti questi anni e nonostante sia passato tanto tempo... se parlare di lei possa aiutarla ad accettare la sua perdita che - questo è un mio pensiero - credo non si accetti mai fino in fondo, anche dopo sessant'anni e più.

L'autore lascia intendere di essere lui il Centauro quando conclude con una delle frasi più belle e toccanti del libro:

È solo che il cuore
mi si spezza, 
tesoro mio,
al pensiero 
che io...
che abbia potuto...
trovare
per tutto questo
parole.

5 commenti:

  1. Forse solo la poesia riesce ad esprimere in pienezza il dolore e l'amore. E anche il silenzio: quello di tua nonna, quello di mia madre.
    Grazie per la segnalazione

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    1. Chissà se avrà avuto qualcuno con cui dividere il suo dolore? Me lo sono chiesta spesso, lo sai? E dopo aver letto questo libro me lo chiedo ancora di più...

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    2. Un dolore del genere secondo me non si può "dividere" con qualcuno, perché non riesci a parlarne.È il silenzio la sua voce, appunto, e ci vuole lo stesso silenzio x ascoltarlo

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