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martedì 16 gennaio 2024

Gli adorabili. Miss Fallaci alla conquista del'America (O. Fallaci)

Pubblicato lo scorso anno, il libro è una raccolta di scritti della giornalista che osservava Hollywood come inviata de L'Europeo tra il 1954 e il 1959. Viaggiando tra Roma, New York e Los Angeles, la Fallaci ha raccontato le vite di coloro che sono diventati dei veri e propri miti: da Audrey Hepburn a James Dean, da Ava Gardner a Brigitte Bardot, da Ingrid Bergman a Sofia Loren a Brigitte Bardot

Nomi altisonanti dello spettacolo raccontati con piglio ironico e con quella schiettezza che hanno permesso di consegnare ai lettori de l'Espresso allora, così come ai lettori di oggi in un unico libro, persone normali, come tante altre, arrivate al grande pubblico in alcuni casi in modo improvviso e quasi violento ma, in ogni caso, persone con storie a volte anche difficili alle spalle. Persone normali che cercano il modo giusto per farsi notare e diventate, poi, quello che sono diventate.

La Fallaci racconta le storie di ognuno in modo diretto e sfuggendo a sensazionalismi di sorta. Lo fa in modo chiaro e scorrevole (ovviamente raccogliendo in un unico libro tante storie sono racconti che non si potrebbero configurare come biografie complete di ognuno) così come più si conviene ad una brava giornalista consapevole di dover arrivare ad un pubblico vario. 

I gossip, diciamo così, arrivano sempre al pubblico, è vero. 

Ma quelli narrati dalla Fallaci non mi sento di configurarli come gossip: i personaggi vengono resi a 360°, non identificati con le vicende amorose o scandalistiche che in più casi arrivavano prima di ogni altra cosa.

La Fallaci racconta i tormenti, le crisi, gli stessi pensieri che rendono ognuno di loro prima di tutto persone. Persone prima che divi. Qualcuno con grande talento, qualcun altro con grande bellezza e fascino, qualcun altro con grande fortuna. Tutti vengono raccontati sottolineando aspetti della loro vita a volte sconosciuti ai più ed arrivati alla Fallace grazie a testimonianze dirette, dei diretti interessati o di persone a loro vicine.

E' quello che - ad esempio - capita con Marylin che, di fatto, la Fallaci personalmente non incontrerà mai ma della quale riesce a tracciare un profilo inedito e profondamente diverso da quell'immagine di bionda svampita che veniva riflesso all'epoca... e lo fa grazie al lavoro d'indagine che riesce a portare avanti avvicinando persone a loro volta a lei vicine. 

Molto intenso il racconto che riguarda Anna Magnani e Sofia Loren. Sarà perchè sono dive di casa nostra ma sono i due personaggi di cui ho letto con maggiore interesse e delle quali sono riuscita ad immaginare  dettagli raccontati, situazioni, immagini. 

Efficace e toccante anche il racconto della vita di James Dean che, a dire il vero, si apre con la sua morte per poi toccare le tappe salienti della sua vita.

Un particolare effetto mi ha fatto il pensiero di Joan Collins (che sono abituata a vedere, conoscere e riconoscere con il suo attuale aspetto, quello di Alexis di Dynasty che guardavo da ragazzina con mia madre) che viene descritta come una diciassettenne pronta a scalare il successo da diva... Ho provato a fare mente locale ma di tutti i personaggi citati è l'unica che riesco ad immaginare solo con il suo aspetto attuale - o, per lo meno, con quello degli anni di Alexis - non da più giovane.  

Lettura non troppo impegnata, quella appena conclusa, ma comunque piacevole.
***
Gli adorabili
Oriana Fallaci
Rizzoli editore
pag. 352 pagine
18.50 copertina flessibile, 9.99 Audible

giovedì 19 gennaio 2023

La somma dei giorni (I. Allende)

 La vita di Isabel Allende è stata una grande, grandissima avventura e lo è ancora oggi, credo.

 

Oramai ne sono certa.

Lo avevo capito leggendo i suoi libri precedenti ma con La somma dei giorni ne ho avuto la prova definitiva.

Tra quelle pagine, che l'autrice ha iniziato a scrivere nel 2006, ho trovato le memorie di una donna che non ha fatto, stavolta, un esercizio di fantasia ma che ha cercato di restare il più vicina possibile alla realtà parlando delle vicende che hanno riguardato la sua famiglia a cavallo tra la morte di sua figlia (in diverse pagine i ricordi la portano a prima della sua scomparsa) al 2006.

Mi sono trovata a vivere tante avventure anche stavolta con la consapevolezza che no, non erano fantasia. Quei personaggi erano persone, uomini e donne realmente esistiti e per la gran parte ancora viventi tanto che - come l'autrice stessa dichiara - hanno letto il libro prima che uscisse e qualcuno ha anche chiesto espressamente di non essere citato, rendendo necessaria una nuova stesura delle pagine in cui, invece, la sua presenza era prevista.

La Allende racconta ciò che ha vissuto in prima persona ma anche tutto ciò che ha conosciuto, che ha immaginato, che ha visto nei suoi viaggi, che ha toccato con mano e quel pizzico di magia che non manca mai nei suoi racconti come, ora lo so, nella sua vita.

Il racconto è strutturato a mo' di diario. Scrive a quella figlia perduta, a Paula. Non sono lettere ma vere e proprie pagine di diario. Paula è sempre presente proprio perché è a lei che l'autrice si rivolge quasi come se la volesse in qualche modo coinvolgere in ciò che non ha potuto vivere in prima persona ma che è vivido nei ricordi.

Il ritratto di Isabel è piuttosto chiaro. L'autrice non si fa sconti soprattutto per quanto riguarda i rapporti familiari quando ammette di essere stata una madre molto presente per i suoi figli e per la sua intera famiglia, tanto da sconfinare nell'invadenza in alcune circostanze.

Nel turbinio dei ricordi mi è sembrato di vedere davanti a me le persone citate, i loro sguardi, quasi di sentire le loro voci. I ricordi dell'autrice si sommano alle riflessioni sulla vita, sulla suo essere scrittrice e sul mondo contemporaneo: i riferimenti storici non mancano e sono, come di consueto, precisi e circostanziati.

La parte che riguarda le riflessione sulla scrittura mi hanno permesso anche di immaginare l'autrice al lavoro: il suo isolamento, i luoghi scelti per l'isolamento creativo, il diverso approccio che ha avuto con la scrittura nel tempo, il silenzio, la quiete... 

Ho letto queste memorie con molto interesse: posto che Isabel Allende è la mia autrice preferita, posto che la considero come capace di offrire storie ricche, ricchissime, non avevo ancora avuto l'occasione di approfondire dettagli riguardanti la sua vita. Ora posso dire di conoscerla meglio e di guardare alla donna, prima che alla scrittrice, con occhi diversi.

Bel libro.
***
La somma dei giorni
Isabel Allende
Feltrinelli
315 pagine
17.00 euro copertina flessibile, 7.99 Kindle

domenica 9 gennaio 2022

Il mio cielo. La mia lotta contro il dolore (D. Di Lazzaro)

Le storie dei personaggi famosi non mi attirano particolarmente ma ogni tanto mi capita tra le mani qualche biografia comprata (o, come in questo caso, avuta con uno scambio) su richiesta di mia madre che, invece, ama le storie vere e poi puntualmente le passa a me.

Ne Il mio cielo Dalila Di Lazzaro racconta la sua vita condividendo con i lettori il suo calvario dovuto non solo alla perdita prematura di suo figlio ma ad una serie di circostanze che l'hanno provata nel fisico facendola sprofondare in un dolore che ha trasformato la sua vita. 

 

Sapevo vagamente che la Di Lazzaro avesse avuto delle grandi prove da superare nella sua vita ma non avevo idea di quanto dolore stesse caratterizzando gli ultimi anni. 

Su questo devo fare una precisazione: il libro è stato pubblicato nel 2006 per cui la situazione è aggiornata a quell'epoca. Non so cosa e in che termini possa essere cambiato, per lei, di recente ma mi auguro e le auguro che sia stata trovata una terapia che possa averlo dato un minimo di sollievo.

Ma andiamo con ordine. Dalila parte dalla sua infanzia difficile, da rapporti familiari molto freddi (soprattutto con sua madre) per arrivare poi, piano piano, a rendere il lettore partecipe dei suoi successi nel mondo della moda e del cinema. Tanti gli amori che hanno fatto capolino nella sua vita (a partire dal primo, dal più acerbo, quello per il padre di suo figlio Christian) per arrivare poi all'amore attuale all'epoca della pubblicazione del libro ma che - l'ho verificato facendo qualche ricerca - ad oggi attuale non è più. Nell'arco di tempo che va dal padre di suo figlio all'ultimo amore che racconta si sono alternati momenti sfavillanti legati al suo lavoro ad un dolore fisico dovuto a diverse vicende che l'hanno cambiata definitivamente nell'anima e nel corpo.

Non intendo giudicare nessuno per cui non scenderò in dettagli riguardo la sua vita mondana. Ciò che mi ha toccato maggiormente è stata la parte in cui ha parlato della sua sofferenza fisica legata ad incidenti che l'hanno segnata profondamente ma anche la sofferenza di una madre che perde un figlio. Ammetto che il racconto degli aspetti più legati alla sua vita mondana mi hanno interessato meno.

Per quanto riguarda il grandissimo dolore legato alla perdita del figlio Christian ho notato una specie di buco... mi spiego. Dalila racconta (e motiva) di aver abbandonato suo figlio dai suoi genitori e che ho lo ha fatto per il suo bene (quegli stessi genitori da cui lei stessa è scappata) poco più che adolescente visto che ha avuto suo figlio molto giovane, per cercare la sua strada. Immagino che sia stata una scelta molto dolorosa ma ho proprio notato l'assenza di riferimenti temporali in merito al rapporto con suo figlio. Ho letto di lei appena diventata mamma, di lei che lascia suo figlio con i suoi genitori ed ho iniziato a leggere di cene, balli, regali, uomini... ma non sono riuscita ad avere un riferimento temporale: quanto tempo questo bambino è cresciuto con i nonni? Sarà mai tornato a vivere con lei che ad un certo punto si è divisa tra Italia e resto del mondo per motivi professionali? Poi, all'improvviso, mi sono trovata a leggere della morte di Christian, ventiduenne, al quale dice di essere legata da un legame profondo: ok, normale che sia... ma manca secondo me l'approfondimento di questo legame e ogni riferimento a come sono evolute le cose con lui prima di perderlo.

Questo nulla toglie al dolore di una donna che perde suo figlio, sia chiaro. Ma da lettrice di una biografia ho avuto la sensazione che mancasse qualche cosa di importante. Probabilmente troppo doloroso da raccontare ma quella parte mi è sembrata mancante.

Poi arriva la parte finale, quella in cui parla in modo approfondito della sua situazione fisica, peraltro già accennata in più passaggi precedenti. A seguito di un incidente motociclistico si è fratturata l'atlante, la prima vertebra del collo ed è stata a letto immobilizzata per molto tempo. Questo le ha provocato atroci dolori che mi hanno fatta rabbrividire. Non è stato l'unico incidente di cui è stata vittima: non è stata molto fortunata, a dire il vero, e mi auguro, di cuore, che la sua situazione negli anni successivi al libro, possa essere migliorata. 

Devo darle il merito di aver aperto una finestra su una questione, quella della terapia del dolore, che è tristemente attuale e della quale si parla troppo poco. Il dolore neuropatico, questo racconta Dalila, non è preso nella dovuta considerazione e chi ne soffre viene abbandonato a se stesso... e vive costantemente con il dolore che attanaglia corpo e anima.
***
Il mio cielo. La mia lotta contro il dolore
Dalila Di Lazzaro
Piemme editore
256 pagine
12.50 euro copertina flessibile

 

lunedì 31 maggio 2021

Una mamma lo sa (E. Santarelli)

Cosa può esserci di più brutto, per una madre (e per un padre) di venire sentirsi diagnosticare una grave malattia che colpisce il proprio figlio? Credo che sia una sofferenza alla quale non si riesca a dare un nome ed alla quale sia difficile dare una dimensione.

Quel bambino, quel ragazzino che è stato voluto con tanto amore, cresciuto con tanto amore, difeso da ogni insidia, protetto da ogni minima minaccia all'improvviso non solo è sofferente e vulnerabile per via di una malattia importante ma si trova a lottare, da solo, contro qualche cosa di più grande di lui. Dico da solo, perché se è vero come è vero che un padre ed una madre possono fare di tutto per stargli vicino e per alleviare le sue sofferenze è anche vero che a fare i conti con la paura, con il dolore fisico, con i mostri che una malattia si porta dietro è lui. 

Se poi è un ragazzino di otto/nove anni, per cui non un bambino piccolo che non riesce a rendersi conto di ciò che gli capita, la situazione è ancora più dolorosa.

 E la capisco la mamma, Elena Santarelli in questo caso, che ha voluto lasciare la sua testimonianza di questo grandissimo dolore. 

La capisco perché quando anche a me è capitato di fare i conti con una brutto virus che rischiava di strapparmi via mio figlio di soli sette mesi anche io ho sentito l'impulso di lasciare la mia testimonianza quando, per fortuna, tutto si è risolto e lui è tornato ad essere un bambino sereno. Avrei voluto trasmettere forza e speranza a tutte quelle mamme che si fossero sentite sole davanti ad un così grande dolore. Credo che sia ciò che ha mosso mamma Elena nel voler raccontare la sua esperienza in una biografia che dà poco spazio alla sua persona quanto personaggio pubblico per dare spazio a quella di mamma e, in particolare, di una mamma che fa i conti con una terribile malattia che colpisce suo figlio. 

Elena racconta il percorso che l'ha portata ad essere la persona che è, con il marito che ha: una coppia famosa, felice, realizzata. Poi, all'improvviso, entrambi sono sprofondati in una voragine che appariva senza fine davanti alla diagnosi di un tumore cerebrale che aveva colpito il loro figlio più grande. 

Da qui il racconto di un percorso che non ha fatto sconti a nessuno, tantomeno a due personaggi dello spettacolo, perché quando si soffre e si affrontano prove di questo tipo non ci sono telecamere che possano fare la differenza o cognomi che possano cambiare le cose. Anzi, il fatto di essere personaggi famosi ha posto inevitabilmente la sofferenza sotto ai riflettori e nelle chiacchiere della gente, da quella più vicina a quella più lontana.

Il libro è scritto in modo scorrevole (testo raccolto da Gabriele Parpiglia), semplice, trasformando il dolore di quei momenti in forza per lasciare una testimonianza importante. Giacomo ce l'ha fatta a sconfiggere il mostro ma altri bambini, purtroppo, non possono gioire come lui.

Dopo questa terribile esperienza, dopo aver conosciuto bambini e bambine che se ne sono andati lasciando un grandissimo vuoto ed un immenso dolore, dopo aver archiviato le tante sofferenze che Giacomo ha dovuto sopportare per vincere la sua guerra, Elena ha voluto assumere un impegno ben preciso sostenendo il Progetto Heal che sostiene il lavoro di medici, infermieri e biologi che quotidianamente operano nella cura e nella ricerca nell'ambito della neurochirurgia pediatrica.

Non amo leggere biografie di personaggi famosi a meno che non abbiano realmente qualcosa da dire. Visto che una biografia era un obiettivo di una delle varie challenge di lettura che seguo e visto che avevo questo libro in casa (comprato per mia madre e da lei consigliato) ho voluto dargli la giusta attenzione e prenderlo per quello che è: non un'opera letteraria di chissà quale valore stilistico ma una testimonianza importante per chi, quella luce in fondo al tunnel, ancora non la vede.
***
Una mamma lo sa
Elena Santarelli
Piemme editore
176 pagine
16.90 copertina rigida, 9.90 copertina flessibile, 6.99 Kindle

lunedì 17 settembre 2018

Paula (I. Allende)

Isabel Allende è la mia autrice preferita. In tutti i suoi libri che ho letto ho trovato una narrazione ricca sotto ogni punto di vista: ricca di contenuti, di descrizioni, di riferimenti storici, di sentimenti. In Paula è soprattutto quest'ultimo aspetto che colpisce: il dolore per la situazione di sua figlia Paula, nata il 22 ottobre del 1963 e che a 28 anni si è ammalata di una gravissima malattia - la porfiria - che l'ha costretta in coma su un letto d'ospedale.

Si tratta di uno scritto autobiografico con una donna, una madre che cerca di stare accanto a sua figlia sfruttando la magia della scrittura - una vera e propria magia sembra essere quella che guida la sua penna - in un racconto ricco di particolari, di emozioni, di vita. E' come se, raccontando la sua vita, la sua e della famiglia, Isabel volesse respingere la morte che allunga, di giorno in giorno, i suoi tentacoli su sua figlia.
Parlando a Paula dai fogli che riempie giorno dopo giorno la Allende guida il lettore in un viaggio lungo la storia della sua famiglia, dei suoi antenati, lungo la sua vita di bambina, di ragazza e di donna. 
Isabel resta accanto a sua figlia per lungo tempo, senza mai perdere la speranza e senza mai nascondere le emozioni che prova nei pochi minuti che le sono concessi accanto a sua figlia.

In questo periodo matura anche il rapporto con suo genero, appena diventato tale visto che si è sposato da poco con Paula e si scopre in intimità con lui, condividendo l'amore per quella donna che da quel letto di ospedale non può fare altro che ricevere amore senza avere la possibilità di ricambiare.

L'abilità della Allende nel dipingere un quadro a tinte nitide e vivaci non mi è nuova: anche questa  volta, come peraltro avvenuto in precedenti suoi libri, la storia è più ricca di quel che si potrebbe pensare. 

Chi si avvicina a questa lettura pensando ad un romanzo resterà deluso. Ed anche chi si aspettasse un racconto quotidiano di ciò che accade a Paula resterà deluso visto che accanto al racconto dell'evolversi della malattia della figlia, la Allende punta molto sulla parte autobiografica: chi volesse approfondire la storia dell'autrice, della sua famiglia, i suoi sogni, le sue aspettative, i suoi desideri verrà pienamente soddisfatto e conoscere anche la parte più dolorosa della vita di questa donna che riesce a sintetizzare un mondo con la sua scrittura. 

Emergono alcune figure, in particolare, come la madre di Isabel o suo nonno. Le loro vite, le loro scelte, il loro carattere vengono resi alla perfezione dall'autrice che, come al solito, riesce ad ammaliare il lettore anche quando parla di vicende storiche o di situazioni che potrebbero interessare meno ma che, ai fini del quadro generale, si rivelano fondamentali.

Ho trovato un po' limitanti i caratteri usati per la scrittura, molto piccoli e fitti fitti. Leggendo, poi, una edizione piuttosto vecchia trovata in biblioteca e dalle pagine ingiallite ho avuto una certa difficoltà nella lettura, soprattutto serale, e sono andata avanti più lentamente del previsto. 

Con questo libro partecipo alla Challenge Diche colore sei? utile per lo spicchio verde, autrice straniera. 
Inoltre, partecipo alla VisualChallenge in quanto in copertina compare un volatile con becco, utile per questo mese di gara.

mercoledì 14 marzo 2018

Forza e coraggio (G. Sintini con F. Parravicini)

Ho conosciuto Giacomo (Jack) Sintini un paio di anni fa, in occasione della presentazione della sua biografia dal titolo Forza e coraggio.
Per quasi due anni ho lasciato il libro a sedimentare tra tanti altri. L'ho prestato, me lo sono rigirato tra le mani più e più volte ma solo in questi giorni mi sono sentita pronta di leggere la sua testimonianza.

In occasione della presentazione mi sono emozionata parecchio: un ragazzone così alto ed atletico con un microfono in mano e con la sua anima a nudo davanti ad un pubblico attento, pronto a condividere il calvario che è stata la sua malattia. Quel cancro che lo ha aggredito con violenza quando era all'apice della sua carriera e che ha rischiato di mandare in frantumi la sua vita, il suo presente ed il suo futuro.
E ricordo di essermi ripromessa, in quel momento, che avrei affrontato la lettura al momento giusto.  Quel momento è arrivato, grazie anche alla Challenge Tutti a Hogwarts con le 3 ciambelle per l'obiettivo "biografia", nell'ambito della macro-categoria Tre manici di scopa.
  
Jack si racconta. E' un ragazzo fortunato: una bella famiglia alle spalle, una fortunata carriera nello sport che ama (la pallavolo) e nuove soddisfazioni all'orizzonte, una donna arrivata quasi per caso nella sua vita e diventata la sua compagna di vita, una figlia che ha consolidato il loro legame.
All'improvviso arriva il mostro con la sua buona dose di paura, sofferenze atroci, una battaglia da combattere ed una strada da percorrere tutta in salita.

Giacomo racconta i suoi pensieri più intimi, le sue paure, le sue sofferenze, il suo rapporto con Dio, quel Dio che in diversi momenti sembra essersi dimenticato di lui ma che Giacomo sente sempre al suo fianco. Racconta del suo rapporto con una donna, sua moglie, che si è fatta forza per tutti. Racconta il dolore fisico e il calvario che lo ha portato, poi, a fare la tragica scoperta: un linfoma non Hodgkin a grandi cellule b lo sta consumando. Paroloni che si sintetizzano con estrema semplicità: cancro e tutto ciò che comporta. Ospedali, mascherine, cure debilitanti e tanta, tanta sofferenza senza mai perdere, però, la voglia di combattere.

Giacomo non smette mai di lottare, nemmeno quando le sofferenze sembrano essere arrivate al di là di ogni limite: non combatte solo per se stesso ma anche per le persone che ama e in più passaggi sottolinea come la consapevolezza di dover lottare anche per loro lo abbia aiutato a non mollare.
Se è solo per me che lotto, so di poter arrivare fino ad un certo punto; se invece lo faccio per la mia famiglia, per la mia squadra, allora non c'è nessuno che possa fermarmi.
Combatte anche quando non si riconosce più: nel libro descrive i momenti più difficili senza voler strappare per forza compassione, senza voler impressionare il lettore, senza mai andare sopra le righe. E' come se si raccontasse ad un amico senza filtri ma anche senza voler spettacolizzare nulla. Ed ho apprezzato questa sua caratteristica: l'umiltà.

Il libro è scritto in modo chiaro e lineare. Leggere una riga dopo l'altra è stato come ascoltare la sua voce. E' stato capace di trasmettere tutte quelle sensazioni che ha vissuto sulla sua pelle (con le dovute proporzioni, è evidente) e mi ha fatto riflettere molto. E' lui stesso a rendere partecipe il lettore di una convinzione di fondo: nulla è importante quanto la salute, la vita. A tutto si può porre rimedio - ad un infortunio, ad una partita persa - ma quando c'è di mezzo la vita il discorso cambia e bisogna dare a tutto il giusto peso.

Credo di poter dire - non me ne vorrà - che è stato fortunato più di altri nella sua stessa situazione: non tutti riescono a dire di aver vinto la battaglia contro il cancro, anche se ce la mettono tutta. E' stato tenace, determinato è vero, ma gli è anche andata bene e credo che ci sia una componente che non possa essere riferita alla sua volontà e nemmeno alle cure. 
Era destino che per lui andasse bene, per altri non è stato così. Credo.
 
Giacomo non molla e il suo racconto vuole trasmettere fiducia a chi si trovasse in situazioni simili: lui lotta e vince. Non è spoiler, questo, perché già in copertina il sottotitolo dice "come ho sconfitto il cancro e sono tornato a vincere". Superata la fase più difficile, mi è sembrato di vivere sulla mia stessa pelle la difficoltà di rientrare in un ambiente, quello sportivo, che spesso non fa sconti. Anche in questo Jack è stato fortunato: l'ambiente della pallavolo non lo ha dimenticato e non lo considera come un malato ma come un atleta che, pur dovendo recuperare, ha ancora molto da dare. 
Ed ecco che arriva l'occasione del riscatto. 
 
Ho sofferto con lui, ho pianto con lui e per lui. Mi sono emozionata!
Ho ammirato quel Jack che non ha mai abbassato la testa nemmeno nei momenti più difficili e la sua forza, la sua determinazione.

Ho letto con piacere i riferimenti al mondo della pallavolo: un mondo che amo e che ora amo ancora di più dopo aver saputo il trattamento che ha riservato a lui.

venerdì 15 dicembre 2017

Con il vento nei capelli (S. Salem) - Venerdì del libro

Storia vera, verissima quella raccontata dall'autrice nel libro Con il vento nei capelli. Una palestinese racconta.
E' la sua storia ed è lei, Salwa Salem, a narrare in prima persona ciò che ha vissuto sulla sua pelle. E' la storia della Palestina che è rimasta a lungo sconosciuta o poco conosciuta, raccontata con voce ferma e decisa da una donna che è nata in quella terra e che ha sofferto con lei. Teatro di violenti conflitti, l'autrice dovrà allontanarsi dalla sua terra natìa, costretta ad un lungo e doloroso esilio.

Salwa ha otto anni quando è costretta, con la sua famiglia, a lasciare la propria terra: è un atto un esodo di massa eda parte di gran parte della popolazione palestinese, compresa la sua famiglia. 
Dopo il trasferimento a Nablus, la sua nuova terra, quella bambina crescerà in fretta e a 15 anni inizia un percorso di impegno politico che la porterà - all'interno del partito Ba'ath - a spendersi in prima persona per la causa palestinese passando dal volantinaggio all'impegno su più fronti. 

Con il passare del tempo l'autrice non racconta solo le vicende di una famiglia come tante altre ma racconta uno spaccato di storia: viene proposto un quadro storico molto articolato delle vicende di oltre un secolo per arrivare ai giorni nostri, passando per il '48 fino ad arrivare al '67 e, via via, verso gli anni Novanta. Nel libro si parla di conflitti, di scelte di politica internazionale e lo fa un testimone qualificato: lei stessa, protagonista assieme alla sua terra natale in questo romanzo autobiografico. Salwa racconta del suo impegno politico fino a diventare essa stessa un simbolo. Una testimone che, con la forza ed il tormento delle sue emozioni e delle sue esperienze, cattura l'attenzione del lettore portandolo per mano tra un preciso panorama storico e vicissitudini economiche, tra politica e religione, tradizioni e voglia di stare al passo con i tempi. Sempre, fin da bambina, la protagonista lotta per affermare la sua personalità, per essere protagonista della sua vita e non subire in modo passivo gli eventi.

Salwa è una bambina forte, una ragazza decisa, una donna coraggiosa: riuscirà a laurearsi, si sposerà per amore contro ogni tradizione della sua terra, avrà dei figli con i quali vivrà assieme al marito in una terra che non le appartiene e con la quale (inizialmente va a Vienna ma non si trova bene, nonostante le altissime aspettative serbate prima della partenza) non entra in sintonia. Poi arriverà in Italia e sarà un'altra cosa: qui la sua famiglia si sentirà accolta, riuscirà ad integrarsi, a vivere serenamente la distanza dalla vera casa.

Devo ammettere di non aver mai approfondito nulla che riguardasse la storia della Palestina, non ho mai sentito la necessità di farlo, convinta soprattutto di non riuscire a comprendere determinati meccanismi politici, economici e sociali. Guardare quel mondo con gli occhi dell'autrice mi ha permesso di avere una testimonianza viva e vera, mi ha aiutato a comprendere. 

Una particolarità del libro è il finale. Salwa si ammala e non riesce a concludere il lavoro letterario iniziato: per lei, lo concluderanno alcune persone che l'hanno conosciuta e con la quale hanno condiviso la fase finale della sua esistenza. Mentre gran parte del libro è proposto in prima persona quando è lei che racconta, nei capitoli finali si passa alla terza persona con il racconto altrui. Efficace anche questo visto che la figura della protagonista si completa grazie a testimonianze di chi l'ha avuta accanto.

In alcuni punti ammetto di non aver condiviso l'uso dei verbi: in diversi passaggi si passa  dal passato al presente, cosa che non mi è piaciuta.
Mio fratello riuscì a trovarmi un lavoro d'insegnante. Era l'unico lavoro permesso a una donna in Kuwàit. Venni assegnata a una scuola media chiamata al-merkab, da nome della zona. 
La preside mi convoca per un colloquio....
Un dettaglio nell'insieme, lo ammetto, ma l'ho notato. A parte questo dettaglio, ho annotato diversi passaggi interessanti. Ne propongo uno a mo' di esempio.
I ragazzi palestinesi, arabi, non sono mai riusciti a risolvere la loro contraddizione, la loro doppiezza. Sono conigli con la donna europea e padri-padroni con la donna del loro paese: con quella europea sono permissivi, accettano tutti, e in qualche modo sono aperti e ammirano la sua libertà; alla donna del loro paese invece chiedono di seguire le tradizioni, "perchè bisogna restare fedeli alla propria identità culturale". Mi ha sempre offeso questo ragionamento, l'ho sempre considerato una mancanza di maturità, una logica che ferma i tempi.
Ho voluto riportare questo passaggio per dare conto di quanto il giudizio dell'autrice sia schietto, diretto, chiaro, senza filtri.

Lettura molto interessante, quella che propongo per il Venerdì del libro di oggi: non è una lettura leggera, superficiale ma, magrado gli argomenti trattati, scorre e coinvolge il lettore, anche quello che (come me) degli argomenti trattati non sa molto soprattutto dal punto di vista storico e sociale.

Con questa lettura partecipo all'ultima fase della gara di lettura The Hunting Word Challenge. La parola utile per la challenge è CAPELLI che trovo nel titolo così come rappresentata in copertina.

mercoledì 28 settembre 2016

Quando il respiro si fa aria (P. Kalanithi)

Paul Kalanithi racconta, con intensità, la sua vita. La sua vita di brillante promettente neurochirurgo che è abituato ad avere a che fare ogni giorno con la vita e la morte. Degli altri.
Fino a che la morte non bussa alla sua porta, fino a che la sua ombra non arriva ad offuscare il suo oggi e a mettere in discussione il suo domani. 

Paul, nel libro Quando il respiro si fa aria, racconta la sua vita, le sue aspirazioni, la sua felicità ma anche la sua discesa verso gli inferi, la sua sofferenza, la sua malattia, il suo cammino verso la fine.

E lo fa con delicatezza ma con estrema lucidità consegnando nelle mani di sua moglie un'opera incompiuta. Ed è facile capire perchè.

Ha tutta la vita davanti, un futuro promettente e tante cose da fare come medico, come uomo, come marito e, perchè no, come padre. Ma questo non basta per impedire al cancro di cambiare i suoi piani. 

Paul si pone degli interrogativi sul senso della vita già prima della sua malattia. Nel suo essere medico si pone degli interrogativi importanti:
 Avevo ancora molto da apprendere nell'esercizio della medicina, ma la conoscenza da sola sarebbe bastata, quando c'erano in gioco la vita e la morte? Senz'altro l'intelletto non era sufficiente; serviva anche una chiarezza morale. Dovevo credere che in un modo o nell'altro avrei raggiunto non solo la conoscenza ma anche la saggezza.
Cercando le risposte a questi interrogativi Paul matura la convinzione che non basta essere dei medici e considerare i pazienti dei pazienti. I pazienti sono prima di tutto persone.
Immerso in tragedie e fallimenti, temevo di aver perso di vista la straordinaria importanza dei rapporti umani, non tra i pazienti e le loro famiglie ma tra medico e paziente. L'eccellenza tecnica non bastava.
Da medico Paul si pone l'obiettivo di comprendere l'uomo prima che di curare il paziente, accompagnandolo nel percorso che lo porta - in un modo o nell'altro - verso il suo futuro.
Poi, improvvisa, la malattia.
Ecco che il dottore si trova a vestire i panni del paziente. Ecco che il dottore guarda alla vita e alla morte da un punto di vista differente.
I medici hanno un'idea molto vaga di cosa significhi essere malati, ma non possono saperlo davvero finchè non lo vivono di persona.
Non è un augurio a stare male, il suo, assolutamente. E' piuttosto una constatazione. Nel momento in cui si trova a fare i conti con la sua malattia, Paul arriva a prendere una decisione importante. Una decisione che lo segnerà da quel momento in avanti.
Quella mattina presi una decisione: mi sarei imposto di tornare al mio lavoro in sala operatoria. Perchè? Perchè potevo. Perchè quello ero io. Perchè avrei dovuto imparare a vivere in un modo diverso, guardando alla morte come a una solenne visitatrice itinerante, senza dimenticare che sì, stavo morendo, ma finchè non fossi morto davvero avrei continuato a vivere.
Decide di reagire e di accettare la morte e, nel periodo della malattia, analizza ancor più profondamente il senso dell'essere medico. 
Il compito del medico non è respingere la morte o riconsegnare i pazienti alla loro vecchia vita, ma prendere tra le braccia i pazienti e i loro familiari, le cui vite si sono disintegrate, e lavorare finchè non saranno in grado di risollevarsi e affrontare la loro esistenza, trovandole un senso. (...) Emma (ndr. il suo medico) non mi aveva restituito la mia vecchia identità. Aveva protetto la mia capacità di forgiarne una nuova.
Come dice sua moglie Lucy nell'epilogo con cui ha concluso il libro di suo marito, provvedendo poi alla pubblicazione postuma, scrivere Quando il respiro si fa aria ha dato l'occasione a quell'uomo coraggioso di insegnarci ad affrontare la morte con integrità.
Affidandosi alle proprie forze e al sostegno della famiglia e della comunità, Paul affrontò ogni fase della malattia con grazia. Non con spavalderia, né con l'incauta convinzione che avrebbe superato o sconfitto il cancro, ma con un'autenticità che gli consentì di piangere la perdita del futuro che aveva programmato e di forgiarne uno nuovo.
Ricordo di aver comprato questo libro per mia madre, che ama leggere storie vere. Non le ho mai chiesto se le sia piaciuto oppure no e lei non mi ha mai detto nulla in merito. Credo di capire il perchè. Posta la sofferenza, che, comunque, è alla base del racconto (seppur carico di speranza e di coraggio), credo che l'uso di termini medici piuttosto desueti nel linguaggio comune le abbiano reso la lettura difficile. Nonostante ciò, l'iniziale difficoltà di comprendere tecnicismi medici passa in secondo piano davanti alla profondità della testimonianza che viene resa.

Lettura non semplice, visti i temi trattati, ma un punto di vista sulla vita e sulla morte che aiuta a riflettere. E a cambiare prospettiva.

Questo libro mi permette di partecipare alla quarta tappa della Challenge Le Lgs sfidano i lettori, per l'obiettivo n. 5: libro con uno dei quattro elementi nel titolo.

domenica 11 settembre 2016

Perfino le stelle devono separarsi (C. Frugoni)

E' un viaggio nei ricordi quello che fa Chiara Frugoni nel libro Perfino le stelle devono separarsi, un libretto con poca trama, così lo definisce l'autrice.

In effetti si tratta di una biografia per redigere la quale l'autrice attinge alla storia della sua famiglia, arrivano fino a quella di suo padre e di sua madre. Un tuffo nel passato raccontato con l'emozione che è propria di chi racconta di persone che ha amato, di situazioni che sono rimaste nel cuore.

Ammetto di aver preso in prestito il libro senza sapere nulla dell'autrice. Solo dopo, nelle more della lettura, ho cercato delle informazioni su di lei ed ho scoperto che si tratta di una storica italiana, specialista del Medioevo e della Storia della Chiesa. Che ignorante che sono!

Dal libro, però, poco traspare della Chiara Frugoni di cui ho letto in rete. Sono altri i protagonisti. Sono coloro che l'hanno preceduta, i suoi avi e le loro storie. 
Spiccano le personalità di nonna Teresa e dello zio dottore, tanto per citare qualche esempio, colui che quasi mai viene chiamato per nome ma attorno al quale ruotano parecchi racconti.
E, su tutto, Solto: una piccola cittadina bergamasca dove l'autrice ha trascorso parecchie estati, a casa dei nonni.

Il racconto è arricchito da foto storiche che completano le minuziose descrizioni. Parecchie, ne ho trovate parecchie di descrizioni soprattutto in merito ai luoghi. Come ho trovato molto affetto nel parlare delle varie situazioni narrate. Dalla storia dei nonni fino al suo primo amore. Un lungo arco di tempo che l'autrice ha voluto fissare per i posteri, affinchè restasse memoria delle sue radici.
 
In alcuni passaggi mi è sembrato di sentire racconti a me familiari, soprattutto in relazione ai nonni, al loro ruolo, alle loro abitudini. Ed anche la mia, di memoria, ha fatto un tuffo nel passato non tanto in relazione a quanto letto quanto per via del prepotente pensiero dei miei nonni, oramai scomparsi, che è sempre vivo in me.
 
Il libro non mi ha appassionata in modo particolare, devo ammetterlo, probabilmente per via del fatto che non amo le biografie. Però va detto che è scritto molto bene e che il lettore è aiutato anche da un elenco (in rigoroso ordine alfabetico) dei personaggi di cui l'autrice parla.
Con questa lettura partecipo alla terza tappa della Challenge Le Lgs sfidano i lettori, per l'obiettivo n. 1: libro scritto da un'autrice.

domenica 28 agosto 2016

Bibbi esci dall'acqua (B. De Rossi)

Barbara De Rossi si racconta. E lo fa in un libro - Bibbi esci dall'acqua - che ho comprato tempo fa su richiesta di mia madre.
L'attrice racconta alcune vicende che hanno segnato la sua vita, legate in particolare ad amori sbagliati. Il suo racconto si interseca con quello di un'altra donna, incontrata per caso su un treno e diventata una sua amica e confidente, che porta sulle sue spalle quel peso che solo un amore sbagliato, un amore violento può lasciare. Ma si interseca anche con storie di altre donne, quelle che la De Rossi ha raccontato nella trasmissione Amore Criminale e che le hanno lasciato dentro dei segni profondi.

Un plauso alle intenzioni: far capire alle donne che un amore violento non può essere amore, che i maltrattamenti sono maltrattamenti e non vanno d'accordo con una storia d'amore tra un uomo e una donna; far capire alle tante, troppe donne che preferiscono tacere, che è solo dando voce al loro dolore che possono venire fuori da storie che tutto sono meno che storie d'amore. Una testimonianza forte, quella delle De Rossi, che però non entra nel merito di quanto le è accaduto con il suo amore sbagliato, accennano a lui - a quell'incantatore di serpenti - in più punti ma senza raccontare poi molto di quanto è accaduto realmente. In quanto personaggio pubblico le cronache hanno parlato a lungo di quella storia ma da lettrice avrei letto volentieri la sua versione, quella della donna e non del personaggio dello spettacolo. Rispetto, comunque, la sua scelta anche se credo che al racconto sia mancato qualcosa.

E la mia non è curiosità fine a se stessa, assolutamente. Credo solo che il racconto di quella particolare esperienza avrebbe fatto capire ancora di più, ai lettori, come anche un'attrice di successo sia una donna come tutte le altre quando si tratta di sentimenti ed emozioni. 

Non mi ha convinto molto la struttura del libro: scritto in modo semplice e chiaro, si passa da un racconto in prima persona a dialoghi che interrompono la narrazione, per poi arrivare a parlare all'amica conosciuta in treno e tornare poi ad un racconto che avrei visto molto meglio se strutturato in altro modo. Personalmente avrei raccontato la storia di Barbara e della sua amica a due voci con una struttura diversa. Ovviamente io non sono una scrittrice e le mie osservazioni sono quelle di una lettrice.

Ammetto, poi, di aver iniziato la lettura senza troppo entusiasmo. Non vado matta per le biografie di personaggi dello spettacolo e ogni volta che mi sono capitate tra le mani la scelta è stata un po' forzata. Questa volta è stato il primo libro che ho trovato a disposizione in casa avendo terminato la lettura di quello che avevo portato con me per una breve vacanza, il primo che rispondesse alle caratteristiche che mi avrebbero permesso di partecipare alla terza tappa della Challenge Le Lgs sfidano i lettori, per l'obiettivo n. 2: un libro con una donna raffigurata in copertina.
E l'ho portato al mare con me per gli ultimi sprazzi di ferie, sob!!!
Ovviamente i contenuti del libro non mi hanno lasciata indifferente. Non si può restare indifferenti davanti al dolore che un rapporto insano provoca. Mi ha fatto pensare ad altri libri letti su questo stesso argomento e mi auguro che questa testimonianza possa servire davvero ad aiutare donne che al momento non hanno la forza di dire basta.

sabato 9 aprile 2016

Io ci credo (Al Bano)

Nella libreria di casa mia c'è una sezione che ospita libri che, di mia iniziativa, probabilmente non avrei mai acquistato. Sono libri che ho ereditato da mia nonna e che io, negli ultimi anni, avevo comprato per lei. La mia nonnina over 90 amava leggere e le letture che prediligeva erano quelle collegate alla fede e a storie vere. Così, mi sono ritrovata diversi libri che parlano di questi argomenti. 

Rimasta momentaneamente senza nulla da leggere (nulla che fosse adatto per la Challenge a cuo sto partecipando) in attesa dell'arrivo (che sentivo imminente) del libro sparpagliato, ho preso in mano quello scritto da Al Bano dal titolo Io ci credo. Perchè con la fede non mi sono arreso mai
Ho pensato che poteva essere una lettura scorrevole, da terminare in fretta in arrivo dell'altro libro ed ho iniziato a leggerlo.

Come ben si può pensare si tratta del racconto di momenti salienti della sua vita di ragazzo di campagna, di padre, di artista, di marito. 
Nelle more della lettura ho cercato di dimenticare chi fosse l'autore, il suo volto noto, il suo nome per tenere conto solamente dalla storia. Al Bano, non me ne voglia, non è un personaggio che mi ha mai attirata. Non avevo alcun interesse a conoscere i dettagli della sua vita per cui ho cercato di considerare il libro come la storia di una persona, illuminata dalla fede, ma non con quel volto e quel nome.

Così, posso dire di aver letto una storia narrata in modo semplice e non ricercato. Una storia di profonda fede ma anche di evoluzione personale di un ragazzo di campagna che parte con la sua valigia di cartone con all'interno un bel po' di sogni. Un ragazzo che diventa uomo e vede crescere la sua fama accompagnato dalla sua fede costante, radicata nella sua cultura, trasmessa dalla sua famiglia profondamente credente.
E' la storia di un uomo che ha avuto fortuna ed ha saputo mettere a frutto il suo talento: cantare.
Ma è anche la storia di un uomo messo a dura prova dalla vita. Di un uomo che si troverà a perdere quella profonda fede che lo aiutato a crescere spiritualmente e che lo ha assistito. 
L'autore non nasconde le sue fragilità e racconta anche come si è riavvicinato al suo credo. 

Le sue vicende personali ne fanno un peccatore. Così si definisce quando sostiene di non voler essere un esempio per nessuno ma di voler portare la sua testimonianza di fede e di speranza.

In alcuni punto devo ammettere che la narrazione è un po' ripetitiva. Alcuni concetti vengono proposti e riproposti in modo che, più che essere rafforzativo, mi è parso ridondante.

Resta comunque il fatto che si tratta di una testimonianza di fede senza filtri. Al Bano (che poi non ho mai capito come si scriva il suo nome... in alcuni passaggi del libro leggo Albano tutto attaccato, in altri Al Bano, copertina compresa!) dice la sua sulla droga, sull'educazione moderna dei figli e su altro ancora. Parla dei valori che gli sono stati trasmessi dalla famiglia, di quelli che ha cercato di trasmettere ai suoi figli, della tragedia legata alla scomparsa di sua figlia ma anche della difficoltà di dimostrarsi credente in un mondo, come quello dello spettacolo, che propone valori diversi da quelli spirituali. 

Questa lettura mi permette di partecipare alla Challenge Le Lgs sfidano i lettori.
Per la seconda tappa propongo questa lettura per il raggiungimento dell'obiettivo n. 2: un libro di un autore che abbia più di 60 anni.