mercoledì 20 gennaio 2021

Tutto il bene che si può (R. Curtis)

 

Come può, una donna di 72 anni, sopravvivere all’interno di un’intricata foresta nel Montana dopo essere scampata – unica superstite – ad un incidente aereo (viaggiava su un aereo da turismo) che è costato la vita al pilota e a suo marito?

Sola, debole, infreddolita. Cloris, questo il suo nome, se la cava e lo sappiamo già all’inizio del libro visto che è lei che apre il racconto della sua avventura, da una casa di riposo in cui – a distanza di anni dall’accaduto – si trova. Sappiamo che sopravvive, dunque. Non sappiamo, però, come. Solo durante la lettura ci si renderà conto di quanto tempo sia vissuta allo stato brado, da quella fatidica domenica di agosto in cui il piccolo aereo è precipitato fino ad autunno inoltrato. Ed è più di quanto si possa immaginare.

Cloris non vuole mollare. Oppure sì?

Vuole tornare a casa a tutti i costi. O preferisce restare all’interno di quella foresta visto che, a ben guardare, non c’è più niente e nessuno ad aspettarla nella sua vita di sempre?

E’ sola. Oppure non del tutto?

L’autore del libro Tutto il bene che si può (che ho letto in collaborazione con Thrillernord) alterna il racconto di Cloris, che rende il lettore partecipe delle sue disavventure e delle sue scelte mentre cerca di salvarsi la pelle ma anche del suo passato, al punto di vista di chi, invece, quella donna scomparsa vuole trovarla a tutti i costi.

La seconda protagonista, parallela a Cloris, è Debra Lewis: ranger del Corpo Forestale degli Stati Uniti d’America che non ha nessuna intenzione di mollare ed è convinta che quella donna sia viva. Intende trovarla. Costi quel che costi.

Onestamente ho avuto l’impressione che i due punti di vista fossero scritti da due penne diverse. Alla forza, al coraggio ed anche all’incoscienza di Cloris (che in alcuni frangenti sembra un po’ troppo resistente per essere verosimile, però) si alterna un comportamento quasi sconclusionato e duro di una ranger che beve merlot (è scritto con lettera minuscola, sempre) a fiumi e che si pone in modo quasi violento, decisamente sopra le righe.

Nel dare conto della testardaggine di Debs – questo il suo diminutivo – l’autore sembra lasciar perdere ogni freno inibitore per prodigarsi nella descrizione di dettagli a volte anche disgustosi che sarebbero magari ammissibili nelle descrizioni della vita nella foresta di Cloris ma non nel modo di fare di un ranger.

Onestamente alcuni passaggi mi hanno dato fastidio, alcune descrizioni eccessive e del tutto inutili. Devo invece riconoscere che, a differenza di altri, ogni volta che i personaggi si sono trovati ad imprecare, per un motivo o per l’altro, l’autore ha mostrato rispetto (glielo devo) per il lettore lasciando intendere senza essere esplicito. Questo l’ho apprezzato.

Nominare il merlot ogni tre pagine mi è sembrato esagerato soprattutto tenendo conto del fatto che nella prima parte del libro questo consumo smodato non è affatto trasmesso come un problema. Solo verso la fine si parla di dipendenza e lo si configura come un problema. Non si può certo far passare una persona che tiene vino nel thermos e ne trangugia quantità esagerate ad ogni ora, anche con il caffè, come se fosse normale.

Debs non è sola a cercare Cloris ma è come se lo fosse visto che è l’unica a credere, veramente, che possa avercela fatta. Ma come si può pensare una cosa del genere per una donna di quell’età, in un ambiente così ostile, in un periodo dell’anno che dal caldo porta verso l’inverno? Qualcosa o qualcuno sarà arrivato in suo soccorso?

Lo stile narrativo è molto particolare: non viene usata nessuna punteggiatura per distinguere i dialoghi dal resto, dai pensieri, dalle osservazioni, dalla narrazione. Se nella parte che riguarda Cloris non è poi un gran problema visto che di dialoghi ce ne sono davvero pochi, nell’altra parte invece il lettore è messo alla prova. Molto. Anche a questo, come allo stile particolare, ho fatto fatica ad adattarmi…

Il finale è ciò che mi è piaciuto più di tutto in assoluto. Non me lo aspettavo proprio e mi ha davvero colpito.

Per il resto posso consigliare questo libro a chi ama sperimentare stili inusuali, a chi non va troppo per il sottile durante la lettura ed è disposto a chiudere un occhio anche davanti a delle frasi che lasciano un po’ a desiderare, a volte.

Ai perfezionisti no, non lo consiglio. Troverebbero solo difetti e questo credo sminuirebbe le intenzioni dell’autore che ha voluto, così l’ho interpretato io, consegnare due storie senza troppi filtri, anche a costo
di essere impopolare.
***
Tutto il bene che si può
Rye Curtis
Bompiani editore
320 pagine
18.00 euro copertina flessibile - 11.90 kindle

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