venerdì 21 maggio 2010

L'ora dell'incontro (Giampiero Rigosi)


Ho fatto una gran fatica a leggere questo libro. L'ora dell'incontro edito da Einaudi Stile Libero. Non perché la storia non scorresse… Anzi, devo dire che nella prima parte i capitoli piuttosto corti hanno reso proprio scorrevole la lettura. Ho fatto fatica perché mi ha fatto male. Mi ha fatto soffrire immedesimarmi in ciò che leggevo. Merito dell’autore, evidentemente, che è riuscito a rendere descrizioni di stati d’animo palpabili. Colpa di quanto raccontato, probabilmente: cancro.

Un libro che andrebbe letto con superficialità per non restare toccati dalla sofferenza che traspare dalle pagine, una dopo l’altra. E dalla vita dei vari personaggi che ho avuto l’impressione fossero tutti legati da un filo sottile ed invisibile: la sofferenza. Diversa per ognuno, immotivata per qualcuno, immaginata da altri, palpabile, reale ed inevitabile per altri ancora. Fatto sta che leggere questo libro mi ha messo addosso un’angoscia che proprio non mi aspettavo tanto più se penso che in biblioteca ero alla ricerca di un genere completamente diverso. Mi ha attirato la copertina, quel rosso, quell’arancio… quella sagoma di donna senza un volto, in attesa, sola e silente… come davanti ad un destino che deve ancora compiersi ma di cui già conosce i tratti.
17.50 euro il prezzo di copertina ma io l’ho preso in prestito nella biblioteca del mio comune. 446 pagine per una storia suddivisa in tre parti. Un libro che l’autore ha dedicato alla memoria della madre e a suo padre… Un autore per me sconosciuto – Giampiero Rigosi – che non avevo mai sentito nominare prima di avere tra le mani questo libro.

Clara è la protagonista. Una donna rimasta sola con suo figlio dopo la separazione con il marito. Si occupa, finché può, di sua madre malata e viene a conoscenza, quasi per caso, di una vicenda che la segnerà in modo indelebile. Una sua cara amica, morta di cancro, nell’ultimo periodo della sua vita aveva avuto una storia d’amore con il suo oncologo. Un medico che non è affatto nuovo a situazioni di questo tipo visto che, scopre Clara, la sua amica non era stata l’unica malata terminale ad aver avuto una storia con lui. Una vicenda alla quale Clara vuole dare un perché. Cerca una spiegazione in modo ossessivo. Inspiegabilmente ossessivo. Tanto ossessivo da entrarle nelle carni, tanto da indurla a fingersi malata pur di capire.

L’ora dell’incontro. Un titolo che mi sembra corretto poter riferire all’incontro per il quale Clara tanto si prepara… ma anche all’incontro tra le storie dei personaggi, storie che si intersecano anche inaspettatamente in alcuni frangenti. Storie che si sovrappongono senza ma sovrastarsi l’un l’alta. Non viene narrata una storia più importante di altre. Una sofferenza più profonda di altre.
La storia si snoda attorno alla vita di Clara. Clara incarna il prototipo di donna-figlia-madre- lavoratrice. Separata da suo marito, ha un bimbo da accudire ed anche una madre malata. Lei che ha sempre avuto un carattere così strano… Lei che si ritrova sola più che mai. Sola nella sua folle idea di dare una risposta ad un perché che, infondo, non la tocca poi così da vicino. Lei che arriva a simulare una malattia terribile come il cancro pur di arrivare al suo scopo. Un personaggio che mi ha fatto arrabbiare con una storia che ha dell’assurdo. Una storia che mi ha innervosita. Come si può solo lontanamente immaginare di simulare un cancro ad uno stadio terminale provocandosi quell’aspetto malaticci, perdere peso, apparire stanco, avere anche l’aspetto di un malato terminale? Come si può avere così poco rispetto per la malattia, per la sofferenza di chi ci combatte davvero, per fare una cosa del genere? Eppure lei è convinta di fare la cosa giusta. Convinta com’è di poter in qualche modo avere un minimo di consolazione dalla risposta che potrà arrivare. Fingersi malata per arrivare a quell’oncologo che ha sedotto, corrisposto, donne in fin di vita. Che ha alleviato le loro sofferenze con la forza dell’amore, non solo con i farmaci di rito, che ha amato la loro sofferenza al punto di accettarle al suo fianco così com’erano, provate dalla malattia allo stadio terminale. Avvicinarlo, cercare di entrare in sintonia con lui con le stesse “armi” della sua amica per cercare di dare un perché ad una vicenda tanto strana e stridente… Quando tutti tendono a prendere le distanze da una donna deformata dalla sofferenza, ridotta a pelle e ossa nello stadio finale della malattia, lui, l’oncologo, instaura con lei un rapporto fatto d’amore vero.

Stefano è l’ex marito di Clara. L’ha lasciata così, da un giorno all’altro. Non si amavano più. E la cosa più giusto – malgrado loro figlio fosse piccolo – era stata quella di andarsene a vivere da solo. Contatti tranquilli, rapporti apparentemente sereni nell’andare a trovare Jacopo. Ma nulla più. Tanto che non è riuscito a capire cosa stesse accadendo a quella donna che era stata la sua donna e che gli aveva dato un figlio. Un dimagrimento spaventoso, atteggiamento sfuggente, un aspetto davvero preoccupante. E lui non si è reso conto di nulla… Quando prende consapevolezza di ciò che ha in mente la sua ex moglie gli casca il mondo addosso. Stretto nella morsa dei sensi di colpa…
Jacopo è un bambino come tanti altri. Soffre per la mancanza di suo padre ma non lo fa pesare alla mamma, nemmeno quando lei è isterica, irritabile, strana… Nessuno riesce a capire come mai abbia una marcata avversione per la carne, a tavola, malgrado nessuno sia vegetariano… Scoppia di gioia ogni volta che suo padre va a prenderlo. Così come quando arriva suo zio Paolo. Trovo che sia un personaggio molto forte, seppur giovnissimo di età e descritto quasi in modo marginale nella storia. Lui che si trova ad avere a che fare con una mamma "strana", che deperisce di giorno in giorno... lui che viene lasciato con una baby sittere con la febbre alta perchè la mamma deve mettere in atto il suo intento... lui che impara in fretta a cavarsela da solo, seppur bambino.
Paolo è il fratello di Clara. Una personalità ribelle, un artista che ama fare sesso con ragazzine sconosciute dopo un concerto (nel quale l’artista sul palcoscenico è lui). Alcol e droga sono all’ordine del giorno, piccoli divertimenti che si sommano alla carnale necessità di conoscere intimamente le donne che gli capitano a tiro. Senza grosse pretese che non siano legittime per un artista: di solito modelle anoressiche, seno piatto, niente forme e giovanissime. Viste una volta, portate a letto una sera e poi niente più. Quando è con Clara, però, torna ad essere il fratellino di sempre. Amato ed odiato allo stesso tempo da una Clara protettiva ma anche un po’ invidiosa per il suo modo di essere sempre a briglie sciolte. Con il beneplacito di tutti, perché lui era l’artista. Gli manca Clara. Gli manca Jacopo. Gli manca quella normalità che solo una famiglia e l’amore di persone care possono dare. Un personaggio “a briglie sciolte”, un tipo controcorrente che però, nel momento in cui Clara gli svela il suo piano non reagisce come lei vorrebbe. Anzi, reagisce nel modo esatto contrario.
Giuliana è la collega di lavoro nonché amica di Clara. Una delle poche con le quali scambia qualche parole ma che, a sua insaputa, è la donna del suo ex marito. Vuole bene a Clara tanto da ritenere di doverla proteggere dalla verità. Stesso discorso che fa Stefano, che tiene nascosta la sua relazione con Giuliana per proteggere Clara. La donna fragile. La donna abbandonata. Quella donna che cercherà in se una forza tale da sfidare il mondo intero con la sua folle idea. Senza che nessuno se ne accorga.
Antonia è la madre di Clara. Una signora anziana, malata, che viene accudita da Clara nella casa dell’anziana donna fino a che l’incombenza non diventerà troppo grande per lei, tanto da indurla a portarla in una clinica. La sofferenza che si legge tra le righe che riguardano Antonia è palpabile e mi ha stretto il cuore. Il pensiero che una madre, una bella donna, di buona famiglia, orgogliosa dei suoi figli possa, in vecchiaia, soffrire tanto… Possa perdere la cognizione del tempo e dello spazio, possa comportarsi come un bambino innocente… Possa morire un giorno dopo l’altro pur restando in vita. Il tutto con una dignità unica. Una sofferenza leggere quelle pagine. Lo è stato per me ma credo che lo possa essere per quanti hanno avuto oppure hanno una persona anziana sofferente in casa. L’autore riesce a trasmettere ciò che non si riesce mai a capire in persone così… Cosa possano provare, cosa vorrebbero dire ma non possono… Un’angoscia crescente, pagina dopo pagina.
Ancor più angosciante la storia delle due donne che, da un giorno all’altro, si trovano a fare i conti con un terribile cancro. Laura e Teresa. Il loro calvario tra l’illusione di una guarigione e la cruda realtà di una morte ormai imminente. Le terapie, le sofferenze fisiche, il decadimento del loro corpo, del loro spirito di donne… e poi lui.
Il dottor Palmieri. Il personaggio chiave della storia. Lui che infonde fiducia e non si limita a curare. E’ lui l’uomo che Clara vuole incontrare con delle cartelle cliniche false sotto il braccio. E’ lui che vuole scrutare, conoscere, per capire il perché di un comportamento che l’ha portato ad amare donne sofferenti. E ad amarle davvero. Accettando la loro sofferenza ed amandole con passione nonostante ciò.

Questi i personaggi principali.

Quanto allo stile di scrittura spero che l’autore non me ne voglia ma l’ho odiato cordialmente in più punti. Frasi lasciate a metà… punteggiatura scorretta... Non so dire se sia stata una scelta stilistica o veri e propri errori. Spero che sia stata la prima ipotesi. Lo spero per lui.
Qualche esempio? Frasi lasciate sospese e che magari potrebbero pure starci, ma con dei puntini di sospensione… Non lasciate cadere così senza senso. Ok, il lettore riesce a capire. Ma questo modo di scrivere a me non piace. Un esempio? Apro una pagina a caso.
Un dialogo a caso.

- Ti ho tolto la parola, eh?
- Be’, insomma, ammetterai che. Voglio dire, cavolo. Dei referti falsi -. Scuote la testa. – Certo che sei un bel tipo.
Un modo di scrivere che non mi piace. Si capisce lo stupore di uno dei due interlocutori ma qualche puntino di sospensione ci stava bene… Non mi sembra corretto scrivere in questo modo. Così come i punti dopo i trattini dell’inciso. Non mi sembra che si usi in questo modo la punteggiatura.
Forse una scelta stilistica per enfatizzare il dialogo diretto ma a me sembra che la lettura ci perda, non ci guadagni affatto. Questa cosa mi ha proprio disturbata.
Sono molto combattuta nel decidere se consigliare questo libro oppure no. Se avessi saputo, io non l'avrei letto.

Lo consiglio ma con la consapevolezza della sofferenza che leggere di certi argomenti può provocare. Ed anche del fatto che le intenzioni della protagonista possano innervosire, se non disturbare, chi avesse avuto o avesse davvero a che fare con una malattia di questo tipo.
E il finale... può piacere ma anche lasciare un po' d'amaro in bocca, dipende da ciò che ci si aspetta e da come ci si pone rispetto alla storia.
Lo consiglio con un "ni" tenendo conto di quelle pecche stilistiche che a me hanno innervosito... Lo consiglio perchè, comunque, una storia che sa emozionare - angoscia, tristezza sono pur sempre emozioni - merita di essere letta... Ma vi ho messi in guardia!

***

L'ora dell'incontro

Giampiero Rigosi

Einaudi Stile Libero

pag. 446

17.50 euro


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