venerdì 30 marzo 2018

Orfani bianchi (A. Manzini)

Mia cara, nella disperazione non c’è una scala di valori, se fai scegliere a chi soffre. Magari oggettivamente tu puoi dire che un ricco che perde alla Borsa è meno disperato di un bimbo nel Darfur… ma il ricco, dentro di sé, è disperato, ed è capace anche di togliersi la vita. La disperazione la puoi giudicare solo se non ti coinvolge. Altrimenti è uguale per tutti.

Storie di povertà e disperazione. 

Sono quelle che si intrecciano in Orfani bianchi, libro di Antonio Manzini che ho conosciuto tempo fa per storie decisamente diverse da questa.
Da una parte c'è la protagoniste, Mirta, una donna moldava che ha lasciato in patria suo figlio assieme alla sua anziana madre, in un mondo fatto di miseria e sofferenza. 
E' per lui che ha deciso di stabilirsi in Italia, cercare un lavoro e risparmiare quanto le basterà per ricongiungersi con il suo amato figliolo.
Dall'altra c'è donna Eleonora, l'anziana signora che, dopo altre esperienze simili, Mirta si trova ad accudire: una donna ridotta ad un automa, su una sedia a rotelle in una casa che trasuda ricchezza in ogni angolo ma che, a quanto pare, non ha rappresentato uno scudo efficace contro la sofferenza. 

Sono due storie di povertà e disperazione, dicevo all'inizio. 
La povertà di Mirta è quella da cui è scappata, lasciando suo figlio che è l'unico scopo della sua vita. La sua disperazione arriva dall’affanno per poter racimolare i soldi necessari per poter vivere, per mandare qualcosa a chi le resta, per poter portare suo figlio in Italia. E' disperata nel momento in cui perde il lavoro di badante per una signora che verrà portata in una casa di cura, è stanca e abbattuta dopo turni estenuanti di pulizie assieme ad altre donne in situazioni simili alla sua ed è disperata quando suo figlio resta solo ed è costretta ad lasciarlo in un internat, una struttura che ospita per il 90% orfani di genitori viventi ma impossibilitati a tenerli. E’ dilaniata nelle carni di madre, si sente indegna di quel nome ma non trova altra strada da percorrere per garantire a suo figlio un tetto sopra la testa, pasti caldi ed un ambiente salubre.
Quando le viene offerta l'opportunità di guadagnare bene come badante presso una ricca famiglia vede la svolta. Pochi mesi, solo pochi mesi, poi sarà tutto finito. Se lo ripete continuamente, ne è convinta.

Dall'altra parte c'è la povertà di una donna che è rimasta sola nella sua famiglia: suo figlio nemmeno la saluta quando parte per un viaggio con la moglie e il figlio (nipote di lei), la nuora le cerca badanti affidabili a cui lasciarla ma nessun gesto d'affetto trapela nei suoi confronti. Non è povero dentro, forse, chi vive così? E c'è la sua, di disperazione, quella di una donna benestante, dinamica, spiritosa che all'improvviso si ritrova ad essere lo spettro di se stessa e che è costretta ad abbandonarsi a mani sconosciute anche per i servizi più intimi e personali.

Poi c'è Ilie. Un ragazzino silenzioso, lontano dalla mamma, con un padre che non ha mai conosciuto ed una nonna anziana che viene improvvisamente a mancare. Per lui si spalancano le porte di una struttura che nessuno vorrebbe mai frequentare, nonostante le rassicurazioni della direttrice che tenta di tranquillizzare una donna che non riesce a darsi pace nel momento in cui mette piede in quel posto da cui intende portare via suo figlio prima possibile.
Si esprime a monosillabi, quel ragazzino. Non risponde ai messaggi della mamma, alle sue telefonate. E' un piccolo fantasma di se stesso che subisce la situazione come tanti altri bambini.
Quella di Mirta è una storia che si può facilmente leggere negli occhi di tante donne che ci passano accanto quotidianamente. Donne che lasciano tutto fisicamente ma che portano tutti gli affetti nel cuore nel momento in cui se ne vanno per poter dare una speranza di vita migliore. 
Mi ha colpita, ed è molto realistica come cosa, quel voler fare di tutta l'erba un fascio: moldavo, russo, albanese... poco importa... soprattutto se si pensa a persone disoneste così, per sentire comune. 
Mirta subisce anche questo. Quel luogo comune che vuole che siano tutti ladri in partenza. 

Sono entrambe storie tristi. Mi ha toccato il cuore Mirta ma anche Eleonora. Il suo essere scortese, scostante, aggressiva, dispettosa non è forse il frutto della disperazione che attanaglia chi si trova in situazioni simili? Mirta subisce tutto ciò, viene definita serva, schiava, schifosa... subisce la cattiveria di quella donna che sembra così fragile e indifesa ma che si mostra del tutto diversa, quando vuole. Ma posso comprendere il suo stato d'animo così come quella richiesta estrema che arriva a fare alla serva, schiava, schifosa che però la accudisce, la tiene pulita, la cura e la fa mangiare con regolarità mentre i suoi cari sono altrove…
Manzini racconta con semplicità queste due storie, senza troppi fronzoli. E credo che sia proprio questo il pregio di questo libro: sono storie importanti, tragiche, intense che non necessitano di artifizi di nessun tipo per arrivare al lettore.

Con questa lettura, che non credo dimenticherò facilmente, partecipo alla Challenge From Reader to Reader 2.0.

2 commenti:

  1. io lo avevo trovato un po' troppo angosciante: ad un certo punto mi sono chiesta che cosa potesse ancora capitare a quella poveretta di Mirta!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. In effetti l'autore ha un po' romanzato ma... onestamente credo che situazioni similia siano piuttosto attuali.

      Elimina