venerdì 15 settembre 2017

Le madri (B. Bennet) - Venerdì del libro


Sono loro, “Le madri”, la voce narrante del libro che ne porta il nome: un potente esordio della venticinquenne Brit Bennet che offre ai lettori una storia importante e bellissima, a mio parere.
Bellissima non perché rose e fiori, assolutamente. Anzi, l’ho trovata piuttosto triste…

Bellissima perché narrata con forza e con intensità anche – e, forse, soprattutto – nei passaggi più tragici. 
Tutto ruota attorno alla Upper Room Chapel, centro propulsore della comunità nera della California del Sud. Qui operano “Le madri”: donne che impiegano la loro giornata a fare del bene, a pregare e a mantenere viva e vivace la vita della comunità con il loro buon esempio ma anche grazie al loro modo di spettegolare che appare così naturale e quasi casuale da mettere paura. 

Per ognuno c’è un commento, non sempre benevolo.

Tanto più per Nadia Turner: una ragazzina ribelle che si porta addosso il peso della perdita prematura e tragica della madre e che vive con un padre distante, troppo distante per comprenderla ed esserle di conforto. Troppo distante per capire che sua figlia, diciassettenne, si trova a prendere una decisione che le segnerà per sempre la vita: nonostante il suo carattere forte e deciso, la scelta di non tenere il figlio che cresce dentro di se, suo e di Luke Sheppard figlio del pastore, le lascerà addosso segni più profondi di quanto lei stessa non potrebbe immaginare.

La storia inizia così: con un bambino mai nato, un abbandono, un amore finito e distanze da conquistare. Distanze da un padre che le sembra sempre più lontano, da un ragazzo che credeva l’amasse ma che l’ha lasciata al suo destino pur avendole messo in mano le banconote necessarie per pagare un intervento, distanze da un’amicizia che, seppur apparentemente forte e viva, è ostacolata da un segreto troppo grande, troppo importante per restare per sempre tale. Ma anche distanze da una comunità che, però, le manderà forte e chiaro il suo richiamo fino a che Nadia non ne diventa parte integrante. 

Ciò che più mi è rimasto in mente è quel senso di tristezza latente che ho provato leggendo questo bellissimo libro. Una storia triste ma profonda in cui “Le madri” non sono solo quelle della comunità nera ma sono anche tutte le altre che entrano ed escono dal racconto.

Nadia è una madre mancata, per sua scelta.
La sua amica Aubrey è una donna che cerca con le unghie e con i denti la maternità che ancora le manca, fino a che non avrà un fagottino rosa tra le braccia.
La madre di Nadia: nessuno sa perché ha deciso di farla finita così come nessuno sa quanto la sua assenza pesi per quella ragazzina che non riesce a darsi risposte capaci di farla rassegnare ad una così importante perdita. Una madre assente ma comunque presente nei pensieri di una giovane che cerca un posto nel mondo con le unghie e con i denti ma che, alla fine, nonostante la sua smania di conoscere posti nuovi, non andrà tanto lontano.
La madre di Luke: una donna potente, orgogliosa e protettiva nei confronti di un figlio che intende proteggere fino alla fine.

Un discorso a parte meritano, poi, i padri che vengono proposti come personaggi secondari ma che, a ben guardare, un ruolo secondario non ce l’hanno affatto.
Se solo ci fosse stato maggiore dialogo tra Nadia e suo padre forse le cose sarebbero andate diversamente così come se il pastore avesse affrontato in modo diverso “il problema”, soprattutto alla luce del fatto di avere un ruolo così importante all’interno di una comunità che, volenti o nolenti, si fonda sulla preghiera e su precetti che dovrebbero difendere la vita, ad ogni stadio.
Invece no. I padri restano in secondo piano dall’inizio alla fine ma la loro ombra è ben visibile lungo tutto il racconto.

Il libro cattura il lettore. Almeno con me è stato così. Complice un fine settimana piovoso, l’ho letteralmente divorato e lo consiglio senza riserve per questo Venerdì del libro ringraziando Laura “La Libridinosa” per avermelo suggerito per uno dei due obiettivi che mi sono stati assegnati in seno alla Challenge La ruota delle letture.

   
Quello di Nadia è un personaggio forte e debole al tempo stesso: forte nel suo modo di reagire davanti alle difficoltà, forte nel suo essere una ragazza nera ribelle, forte nel modo di proporre una scelta importante come se non ci fosse alcuna possibilità di replica ne’ di opposizione, forte nel lasciare tutto e tornare ad accudire suo padre in un momento di difficoltà. Ma Nadia ha anche i suoi punti di debolezza nel non riuscire a rinunciare ad un amore che non può darle quello che vorrebbe, nel non riuscire ad essere sincera come l’amicizia vera vorrebbe. Nadia è una ragazza, una donna molto bella ma anche segnata nel profondo da sue scelte che non restano confinate nel passato ma le conseguenze spuntano con insistenza dal  profondo della sua anima.

Molto efficace la descrizione dei meccanismi che regolano la comunità così come molto efficace è la narrazione affidata alle madri. Donne che fanno delle considerazioni a voce alta e che quasi si compiacciono delle disgrazie altrui e delle difficoltà di chi non potrebbe sopravvivere senza il loro aiuto e sostegno. Ma è davvero così? O, magari, è vero l’esatto contrario?

4 commenti:

  1. Ero sicurissima che questo libro ti avrebbe conquistata!

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    1. Eh sì! Grazie per il suggerimento. Davvero un bel libro.

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  2. Mmm, sembra un libro non banale e la tua descrizione è accattivante, tuttavia credo che dovrò aspettare a leggerlo:la mia lista è infinita!!!

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  3. Suggerimento impegnativo, l'ho messo in lista ma la lettura devo rimandarla a momenti in cui mi sento più forte psicologicamente.
    Grazie!

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