Ve la ricordate la collana 1000 lire dei tascabili economici Newton? Ai più giovani non lo chiedo affatto, non potrebbero. Io me la ricordo bene così come ricordo che comprai, all'epoca, diversi titoli che poi sono rimasti in un angolo senza che nessuno si curasse di loro. A distanza di tanto tempo nel sistemare tra gli scaffali ne ho ritrovati alcuni e, con una tazza di tisana fumante in mano, ho voluto togliermi una curiosità e leggerne uno.
L'inquisito, di Giorgio Saviane, pubblicato nel 1994.
É un libro che non arriva alle cento pagine, a dire il vero, e non è nemmeno di semplice lettura. Non per lo stile di scrittura (ne ho letti di più complicati pur essendo più moderni) ma per il tipo di narrazione scelta, legata al messaggio che l'autore mi è parso volesse trasmettere.
Il protagonista, voce narrante, è un uomo accusato ingiustamente e sul punto di subire un processo per un crimine mai commesso. L'intera storia si snoda su due piani: quello reale, concreto, che vede l'uomo alle prese con delle accuse ben precise e una denuncia scritta nero su bianco e quello psicologico, ben più complicato, a ben guardare. Eh sì, perché il fatto di essere sottoposto ad un processo, per di più essendo innocente, provoca una sofferenza tale al protagonista da renderlo delirante.
Una denuncia è stata sporta per cui gli ingranaggi della giustizia si sono messi in moto. Allo stesso tempo, la sfera psicologica dell'uomo finisce in un vortice di sogni, immaginazione, incertezze, la ricerca di qualche punto fermo.
Ne emerge un racconto che somma il reale all'immaginario che, lo ammetto, ho fatto fatica a seguire come se io stessa fossi finita in un vortice di figure, di forme e di colori che tentava di risucchiarmi.
L'assoluzione, nel momento in cui arriverà e se arriverà, non toglierà nulla alla sofferenza provocata dal sorgere e dallo svilupparsi della procedura così come nulla toglierà alla sofferenza di tutti coloro che, all'inquisito, stanno attorno: un'assoluzione, qualora arrivasse, cancellerebbe forse la disperazione in cui i familiari sono caduti al momento del nascere delle accuse? Restituirebbe i giorni sereni persi nei meandri di un dubbio che è stato alimentato di giorno in giorno dall'impianto accusatorio?
L'informazione di garanzia non si porta forse dietro nell'immaginario collettivo una diffidenza che difficilmente potrà cadere, in caso di esito positivo? Il dubbio che viene alimentato sull'integerrimità del protagonista non è forse già una condanna?
E quando l'inquisito arriva a dire "...vorrei essere colpevole per respirare" non dice forse qualche cosa di comprensibile? Ecco, al di là della difficoltà di lettura, della confusione che arriva dall'alternarsi tra il reale e l'immaginario, è su questo che il romanzo invita a riflettere. E non è poi una materia sorpassata, tutt'altro. Se pensiamo ai tanti casi di errore giudiziario che hanno tenuto sotto scacco per anni persone innocenti, portandone alcune nella tomba, appare tutto tristemente attuale.
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L'inquisito
Giorgio Saviane
Tascabili Economici Newton
pag. 84
1000 lire
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