domenica 29 marzo 2020

La villa del mercante di cioccolato (M. Nikolai)

Judith Rothmann è una giovane donna a cui vanno stretti i precetti del suo tempo. E' figlia del proprietario di una fabbrica di cioccolato ed è affascinata dalla vita dall'azienda. Mentre suo padre la vede poco adatta per i conti o le invenzioni a base di cioccolato, lei mira a ritagliarsi un posto accanto a suo padre per vedersi davvero realizzata come donna lavoratrice. Ma lui ha in mente qualche cosa di diverso per sua figlia: stretto nella morsa dei debiti (rigorosamente tenuti segreti) combina un matrimonio di favore per Judith ed il figlio del suo banchiere del quale lei viene tenuta rigorosamente all'oscuro fino al momento dell'annuncio ufficiale, davanti all'alta società dell'epoca.
In una Stoccarda degli inizi del '900, dove l'industrializzazione è arrivata in ritardo rispetto ad altre città dell'impero, il progresso fa grandi passi e porta in fretta la società verso l'affermazione di grandi aziende, alcune delle quali arrivate fino a noi come quella di Robert Bosch, citato nella storia.
Judith non ci sta e non si rassegna alle scelte che suo padre ha fatto per lei. Ha le idee ben chiare in mente e, nonostante qualche incidente di percorso, ha ben chiari i suoi obiettivi.

L'ambientazione del romanzo, dal punto di vista storico, è molto verosimile con la descrizioni di zone lussuose, ville dei sogni, grandi magazzini, fabbriche in espansione con un gran movimento di capitali. Molti sono i riferimenti a situazioni realmente esistite a quell'epoca per le quali l'autrice dimostra di aver effettuato una precisa ricerca storica. 

Anche i riferimenti a grandi e facoltose famiglie, pur trattandosi di dinastie inventate, rispecchiano la struttura della società dell'epoca a Stoccarda.
 
Onestamente, però, trovo che la storia d'amore prevarichi di gran lunga l'aspetto che qualifica questo romanzo come "storico". O, per lo meno, trovo che sia un romanzo storico che si distanzia dai canoni tradizionali di questo genere letterario: è come se l'autrice riuscisse a far passare i riferimenti storici con delicatezza e quasi in modo discreto rispetto alla potenza dei personaggi.
Che, va detto, dominano su tutto.
Victor Rheinberger, in particolare, berlinese d'origine, ex detenuto in cerca di un futuro in una nuova città, secondo il mio parere è il pilastro della storia. Ancor più di Judith.
E' un uomo carismatico, intelligente, di gran cuore, dalle grandi doti sia sul fronte delle conoscenze tecniche e manuali che dal punto di vista gestionale. Credo che sia un ottimo rappresentante dell'uomo che, a quell'epoca, potesse incarnare il cambiamento. Dalle idee chiare, diretto nei metodi, lungimirante, senza per questo sacrificare un ottimo senso pratico ed un buon cuore: figura positiva che ho apprezzato più di tutti.

Molto efficaci le descrizioni degli ambienti e le abitudini dell'epoca nelle varie zone citate. Perchè se è vero come è vero che Judith si trova nella fredda Stoccarda, è anche vero che sua madre ha lasciato tutto e tutti per trasferirsi nel sanatorio Hartungern (realmente esistito) a Riva del Garda dove si respira un'aria decisamente differente. Qui, a quell'epoca, i grandi intellettuali dell'Europa centrale vivevano fuori dagli schemi rigorosi e dall'idea dei morale tipica del loro tempo... Tutta un'altra storia, pur essendo lo stesso periodo storico. 
Ecco, la figura della madre di Judith mi è sembrata anch'essa molto interessante ma poco approfondita. Avrei gradito conoscerla più a fondo e sapere, soprattutto, come va a finire la sua permanenza in Italia viste soprattutto le situazioni, dal punto di vista amoroso, che la investono.

Romanzo gradevole, scorrevole e che ho letto con piacere. Fatti salvi alcuni errori di battuta nei primi capitoli - poche cose... ma pur sempre presenti - la narrazione scivola via in modo coinvolgente senza l'eccessiva pesantezza dei romanzi storici e senza scadere troppo nello scontato di una mera storiella rosa.
***
La vitta del merante di cioccolato
Maria Nikolai
Newton Compton Editori
505 pagine
9.90 euro - 0.99 formato Kindle

giovedì 26 marzo 2020

Carlo è uscito da solo (E. G. Napolillo)

Non si può non amare Carlo. Non si può non soffrire con lui e per lui. Non si può non sorridere davanti alle sue piccole conquiste quotidiane.

Carlo è un uomo di trentantrè anni che trova conforto nei numeri. I numeri non lo tradiscono mai, gli fanno compagnia, lo aiutano a trovare la giusta concentrazione, lo distolgono da altri pensieri.
Carlo vive con i suoi genitori ed ha una sorella minore che sta per sposarsi: lui non ama la gente, non ama la confusione, il contatto fisico con gli altri. Non ama gli altri.

Fa fatica anche a salutare qualcuno con una stretta di mano. Fa fatica a salutare qualcuno in generale. La sua vita si consuma, da anni, tra le pareti della sua camera con la musica classica e la matematica a fargli compagnia. Non cerca altro, non ha bisogno di altro.  

L’autore racconta la sua storia su due piani temporali: l’oggi, che lo vede impegnato a trovare una nuova dimensione, scrollandosi di dosso quel vestito da “vecchio Carlo” che troppo a lungo ha indossato, e la sua infanzia. Un’infanzia dolorosa, fatta di silenzi, di violenza, di incomprensioni, di verità mai svelate.
Il Carlo di oggi porta dentro una sofferenza ereditata dal passato e che ancora allunga su di lui i suoi tentacoli. Un passato fatto di solitudine, di bullismo a scuola ma anche di silenzi, profondi e pesanti silenzi in casa, con un padre troppo impegnato con il lavoro ed una madre che cerca di barcamenarsi tra lavoro e figli… due genitori che non riescono a vedere, che non si accorgono della profonda sofferenza di quel ragazzino così taciturno che risponde al nome di Carlo.

L’autore è abile, abilissimo nel trasmettere emozioni. Ho sofferto profondamente con Carlo ed ho visto davanti ai miei occhi i tanti volti di ragazzini della sua età che quotidianamente (ce ne sono tanti, purtroppo, di casi) subiscono violenza fisica e psicologica da parte del bullo di turno. Ho sofferto con quella madre e quel padre nel momento in cui si sono resi conto di essere stati sordi e ciechi davanti a tanta sofferenza. 

Uno strappo al cuore...
Ho sofferto con quella ragazzina, la sorella di Carlo, che all’improvviso si è trovata ad essere quasi trasparente agli occhi dei suoi genitori impegnati a recuperare il terreno perso con quel ragazzino. Ho sofferto anche con i genitori di quei bulli… sì, perché spesso sono situazioni incontrollabili, di cui papà e mamma vengono a conoscenza per ultimi e si trovano a scusarsi per gli errori del proprio figlio, della propria figlia.
Ho anche sorriso con Carlo quando inizia a scoprire il mondo che lo circonda e cerca una nuova dimensione. Si scopre uomo coraggioso, fragile ma coraggioso. Carlo non si arrende e conquista il suo futuro pezzetto per pezzetto, con pazienza e con tenacia. Prima di tutto, però, Carlo conquista il lettore e lo ripaga della sofferenza che gli trasmette.

Non è solo, Carlo. E la sua storia – dolorosa, lo ripeto – è come una ferita che fa fatica a rimarginarsi, che lascia segni profondi ma che non impedisce a quel ragazzino, oggi diventato uomo, di arrivare alla felicità.

Gran bel libro. Avevo conosciuto, ed apprezzato, l’autore con “Le tartarughe tornano sempre” e Carlo - che ho avuto occasione di conoscere grazie alla collaborazione in essere con Thrillernod - è stata una positiva conferma. 
***
Carlo è uscito da solo
Enzo Gianmaria Napolillo
Feltrinelli
248 pagine
15.00 euro copertina flessibile 9.90 e-book

mercoledì 25 marzo 2020

Alaska (B. Novak)

Avevo in lista d'attesa da un bel po' la lettura di Alaska ed ho avuto occasione di recuperarla in modo utile per un paio di challenge di lettura a cui partecipo.
E' un genere che mi piace e non ho fatto fatica a concludere la lettura in brevissimo tempo anche se, lo ammetto, con un po' di inquietudine notturna soprattutto quando ero ad una trentina di pagine dalla fine e non avevo la forza di concludere la lettura perchè gli occhi reclamavano riposo!

La dottoessa Evelyn Talbot è una psichiatra  che ha deciso di mettere in campo dedizione, intelligenza e generosità nel portare avanti un progetto che in pochi hanno condiviso e accolto con favore: la realizzazione di una struttura detentiva, nella piccola cittadina di Hilltop, che ospita i peggiori criminali del paese per essere studiati dal punto di vista comportamentale e psicologico.
La scelta di Evelyn è stata dettata principalmente dalla sua esperienza personale: all'età di 16 anni è stata rapita, violentata, seviziata e quasi uccisa da quello che era il suo fidanzatino di allora, rivelatosi capace di uccidere anche tre sue amiche e comporre i loro cadaveri in pose oscene. Un'esperienza che ha segnato per sempre Evelyn nel corpo, nel cuore e nell'anima. Da qui ha maturato la volontà di conoscere i meccanismi psicologici che si attivano nei detenuti per poter essere in qualche modo d'aiuto ad altre potenziali vittime.

Non è un lavoro facile, il suo. 
Eppure ogni giorno incontra i peggiori assassini in interrogatori protetti, ascolta le loro invettive, incrocia i loro sguardi. Sa di trovarsi in una struttura sicura per cui svolge il suo lavoro serenamente (per quanto il contatto con gente di questo tipo possa permettere) in modo professionale e con estrema dedizione.

Nel momento in cui la piccola cittadina che ospita la struttura - Hilltop, in Alaska - si trova a fare i conti con il ritrovamento dei resti di un cadavere di donna e di una seconda vittima a distanza di qualche giorno, la situazione inizia a complicarsi soprattutto perchè Evelyn viene coinvolta personalmente...

Fare di tutto per arrivare alla verità è d'obbligo per la psichiatra, soprattutto perchè teme che il pazzo che le infierì violenza anni prima, ancora a piede libero, possa essere arrivato a lei. E soprattutto perchè pian piano quello che avrebbe voluto evitare sembra concretizzarsi sempre più: un qualche coinovolgimeto della struttura detentiva nelle vicende che sono legate a doppio filo alle morti delle due donne.

Dubbi, piste, ipotesi... la situazione è tutt'altro che tranquilla.

Anche sul fronte personale Evelyn vede scombussolato quell'equilibro che era riuscita a costruirsi con tanta fatica. Un equilibro fatto di solitudine, di rapporti interpersonali pari a zero se non fosse per il lavoro. Quando nella sua vita irrompe il giovane sergente Amarok, anche sul lato personale è in vista un vero e proprio terremoto.

Il libro è scritto in modo efficace con una buona caratterizzazione dei personaggi (che non sono tantissimi per cui non si fa fatica ad abbinare un ruolo ad ogni nome che compare) ed una dettagliata descrizione di ambienti e situazioni. 
Il personaggio che ho apprezzato più di tutti è il giovane Amarok. Ha sette anni meno di Evelyn ed è tealmente perfetto da sembrare finto. Le attenzioni che riserva alla protagonista sembrano a tratti artificiose, tali da far pensare che possa esserci sotto qualche cosa.
Le vicende legate ai due omicidi vanno di pari passo con la situazione personale di Evelyn e devo dire che, onestamente, non avrei insistito così tanto sulle descrizioni del disagio della psichiatra dal punto di vista sessuale. E' chiaro che quello che le è successo le è rimasto addosso come un fardello troppo pesante per potersene liberare ma avrei preferito minori dettagli circa la sua vita privata e più attenzione alla questione legata alle due morti.

La struttura del libro, dal punto di vista dei due misteriosi omicidi, è buona. Il racconto ben imbastito, l'autrice tiene alta la tensione ma ho trovato il finale un po' troppo frettoloso rispetto alle premesse. Forse è questa la pecca principale di una storia che, comunque, mi ha catturata.
Si tratta del primo libro di una serie, e l'epilogo è molto chiaro da questo punto di vista, anche se la vicenda è autoconclusiva. 
 ***
Alaska
Brenda Novak
Giunti Editore
468 pagine
9.90 euro

domenica 22 marzo 2020

Troppo lontano per andarci e tornare (S. Di Lauro)


Copertina molto bella, romantica, intrigante per un libro molto particolare.

I libri della casa editrice Exòrma mi piacciono già esteticamente, per il formato e per le copertine sempre capaci di catturare l’attenzione del lettore ancor prima della storia.
Quando, poi, anche la storia stupisce e catalizza, allora l’alchimia è completa.

Questo è il caso di Troppo lontano per andarci e tornare, di Stefano Di Lauro. L’autore propone, con una penna ricercata e caratterizzata da una particolare sensibilità per i dettagli, le evoluzioni del mondo del circo. 

Il piccolo circo Au Diable Vauvert – nome che vuole evocare mondi lontani – si sta spostando all’interno del piroscafo mercantile Holy Steam partito dal porto di Le Havre verso Buenos Aires. Sarà un lungo viaggio, ma non di certo monotono. Il racconto passa da momenti trascorsi, che hanno segnato la storia del circo, alla realtà di oggi, al viaggio vero e proprio. 

E’ una storia molto originale che è la somma di tante vite, tante esperienze, tante voci diverse e tanti luoghi che passano davanti agli occhi del lettore come affreschi dipinti con colori vivaci.
Sono personaggi speciali, quasi magici quelli che danno vita ad una storia capace di catturare il lettore in modo poetico, cullandolo quasi. Nounours, Orlano (al secolo Méliès), Louise detta Lou, Mardea la gigantessa, Chouchou lo scimpanzé invitano il lettore ad entrare nella loro vita e gli offrono il loro modo di essere speciali per una lettura più profonda delle mere apparenze.

E’ proprio il loro “essere speciali”, secondo il mio parere, la forza di questa storia. Una storia già di per se’ magica perché ambientata nel mondo del circo che, comunque, evoca emozioni straordinarie, lascia a bocca aperta, strappa consensi… ma la forza, secondo il mio parere, arriva dalla capacità di ogni personaggio di fare della propria diversità il proprio punto di forza. 

E’ l’alternarsi di quella magia che arriva dai personaggi con descrizioni più realistiche degli ambienti e delle situazioni che crea quel giusto equilibrio che serve per catturare un lettore che, però, non abbia fretta. Ecco, questa è la sensazione che ho provato nel leggere questo libro: trovo che non sia adatto a chi abbia fretta di arrivare alla fine, a chi non voglia concedersi del tempo per assaporare le parole, le frasi prima che il racconto. Se dovessi fare un paragone direi che si tratta di una lettura che va gustata come un the caldo. Senza fretta perché altrimenti il rischio è quello di scottarsi, ma con calma ed assaporandone fino alla fine il gusto, per vedersi riscaldato il cuore e l’anima.
Mi sono lasciata andare, poi, verso il senso dell’ignoto: cosa ci sarà alla fine del viaggio? Come proseguirà la storia personale di ognuno? Ci saranno altri viaggi? 

Lettura particolare che consiglio con gli accorgimenti detti sopra e per la quale raccomando cura per il volume perché è proprio bello anche esteticamente, e merita il massimo rispetto.

Ho fatto un po' di fatica a scrivere questi miei pensieri (non riesco a scendere maggiormente nei dettagli perchè la trama va letta, tutta... assaporata, non anticipata a trozzi e bocconi) soprattutto per il timore di non rendere giustizia al libro. 
Spero di aver trasmesso le sensazioni positive che questa storia ha trasmesso a me.
***
Troppo lontano per andarci e tornare
Stefano Di Lauro
Exòrma 
342 pagine
16.50 euro

sabato 21 marzo 2020

I delitti di Monteverde. La prima indagine di Gerarda Greco (A. Colgada)

Grazie alla collaborazione con Thrillernord ho avuto occasione di leggere I delitti di Monteverde: un libro che avrei voluto leggere in poco tempo - perchè lo si può leggere in poco tempo - ma che in questi giorni di residenza obbligata in casa ho tirato per le lunghe per via della situazione che, tra una cosa e l'altra (lavoro incluso), non mi ha permesso di godermi con serenità le mie letture.

Gerarda Greco è una protagonista molto singolare. Non è un’investigatrice, non è un commissario ma ha un acume ed una capacità di fissare i dettagli che la accomunano sia alla prima che alla seconda figura. Non ama i rapporti umani, Gerarda. E quando è arrivato il momento di starsene per conto suo, chiudere i ponti con il lavoro in casa editrice (dove si è sempre occupata di libri gialli come editor), vivere serenamente nell’appartamento che ha ereditato in un tranquillo condomio… bhè, ecco che le carte si scompigliano.

Gerarda scopre di vivere in un condominio che proprio tranquillo non è e di essere attorniata da un manipolo di vicini alquanto pittoreschi. E quando si imbatte non in uno ma in due morti misteriose, una delle quali risalente ad anni prima, comprende subito che dovrà rinviare a data da destinarsi la sua tranquilla vita da pensionata.

Ciò che più mi ha colpito nel racconto è stato il fatto che non si corre dietro alle indagini come avviene in altri gialli, carichi di tensione e di colpi di scena. Qui il lettore, a me almeno è capitato così, si sente immerso nella vita di un condominio che sembra uguale a tanti altri, con vicini particolari, dalle abitudini particolari, con chi non si fa i fatti propri, con chi si abbraccia sul pianerottolo… E si fa anche quattro risate nel trovare una certa somiglianza con il suo, di vicino, quello strano, o con quella vecchietta dall’aria sospettosa che sta al piano terra.

E poi l’ironia. Gerarda è un personaggio ironico e pungente. Le descrizioni che offre al lettore nel parlare dei suoi vicini sono davvero divertenti e catalizzano l’attenzione. Ho apprezzato molto questo aspetto,  che permette alla storia di uscire dai canoni del giallo tradizionale puntando sulla personalità della protagonista e dando una dimensione particolare a tutti gli altri personaggi, non solo ai fini delle due morti rispetto alle quali si sta indagando.
Perché se è vero come è vero che su quella più recente si sono mosse le forze dell’ordine, con il commissario Laguardia che affida a Gerarda il compito di essere i suoi occhi e le sue orecchie sul posto, è anche vero che l’acume di Gerarda la porta a tornare sulle tracce di un vecchio omicidio mai risolto e finito nel dimenticatoio, del quale le forze dell’ordine non si occupano più da tempo.
E a tal proposito fare qualche domanda in giro, così, giusto per saziare la sua curiosità, a chi può far male?
A nessuno, giusto?
Però magari possono emergere dettagli all’epoca dimenticati… 

E’ un giallo che consiglio a tutti, anche ai più giovani o a chi volesse avvicinarsi a questo genere senza essere catapultato immediatamente in meccanismi contorti o ragionamenti criptici. La storia di Gerarda e delle sue indagini è molto lineare, semplice ma allo stesso tempo intrigante e sottile. Con qualche sorpresa che arriva senza preavviso, in modo naturale ma non per questo meno eclatante.
***
I delitti di Monteverde. La prima indagine di Gerarda Gredo 
Adele Colgada
Giunti Editore
228 pagine
16.00 euro copertina flessibile - 9.90 ebook

venerdì 20 marzo 2020

I codici del labirinto (K. Mosse)

Ci ho messo un bel po' di tempo a leggere il libro I codici del labirinto. Più del previsto.
Probabilmente io periodo non aiuta e la concentrazione non è stata il massimo ma devo dire che è stata una lettura interessante e capace di incuriosirmi.

Si tratta di una storia molto ricca.
Ricca, ricchissima di personaggi (e, lo ammetto, qualcuno ho fatto fatica a memorizzarlo).
Ricca di riferimenti a vicende storiche.
Ricca di dettagli.
Ricca di morti... che non mancano proprio in un periodo in cui era in corso la guerra per estirpare il catarismo dai territori della Linguadoca.

Siamo in Francia e le vicende vengono proposte su due piani temporali.
Da una parte c'è Alice che scopre, durante uno scavo archeologico al quale partecipa come volontaria, due scheletri in una grotta. Da quel momento prende vita, per lei, un'avventura che mai avrebbe potuto immaginare, sulle tracce di storie d'altri tempi, misteri e profezie.
Dall'altra che Alaïs, vive otto secoli prima di Alice e riceve dal padre uno dei tre manoscritti che compongono i Codici del Labirinto, fondamento della dottrina catara che lui stesso aveva riportato dalla Terra Santa dopo la prima crociata.
Entrambe avranno una missione da portare a termine. Entrambe dovranno prendere delle decisioni importanti. Entrambe vivranno situazioni di pericolo. Entrame saranno messe sulla strada dei misteri del Graal.

Non scendo nei dettagli della trama perchè sarebbe troppo complicato.
Mi preme sottolineare alcuni aspetti. 
Innanzitutto la dovizia  di particolari e le tante, tantissime informazioni che l'autrice offre al lettore per avere un quadro il più possibile completo dell'epoca (mi riferisco a quella in cui viveva Alaïs) con tutti i misteri, le convinzioni, le violenze dell'epoca. Descrizioni che sono frutto, secondo il mio parere, di una particolare conoscenza di luoghi e fatti.
E poi l'attenzione ai dettagli nella narrazione. Sono tanti, tantissimi gli intrighi che vengono messi in piedi e che, nelle more del racconto, debbono per forza ricomporsi in modo equilibrato. Non credo che sia stato semplice scrivere un libro così.

Poi le figure femminili: secondo il mio parere, nonostante il ruolo degli uomini innegabilmente di primo piano, soprattutto otto secoli fa, le donne hanno un ruolo importante in questa storia. Donne caparbie, coraggiose, intelligenti, pronte a difendere con le unghie e con i denti coloro che amano e ciò per cui sono state chiamate a scendere in campo. Sono donne che immagino di una bellezza che va di pari passo con la loro forza di carattere: questo mi hanno fatto pensare le descrizioni. 
Sono donne che lasciano il segno pur riconoscendo il ruolo maschile e rispettandolo (più o meno...). 
Accanto a loro ci sono parecchi personaggi carismatici che catturano.

Un'unica osservazione: alcune situazioni sono molto fantasiose e chi considera questo libro come un romanzo storico sicuramente storcerà il naso. Io l'ho preso come un romanzo punto e basta e mi fa bene così. Ho volato con la fantasia avanti e indietro nel tempo, ho sofferto con Alice ed Alaïs, ho sorriso con loro, ho atteso con ansia gli sviluppi di determinate situazioni. E la lettura mi ha coinvolta anche se in alcuni momenti non le ho dedicato la concentrazione che avrei voluto.
Lo archivio come un bel libro e non mi importa le storie di codici, di labirinti, chiavi e tutto il resto sono parecchio sfruttate. Questa storia mi è piaciuta, Alaïs in particolare mi è piaciuta e sono contenta di aver riscoperto questa lettura che mi aspettava tra i libri da leggere, in casa, da un bel po'.

Una nota: nelle ultime pagine del libro è inserito un glossario dei principali termini occitanici che compaiono durante il racconto. Se solo me ne fossi accorta prima forse la lettura sarebbe stata più agevole ma non ho l'abitudine di andare a sbirciare le ultime pagine per non cadere nella tentazione di leggere il finale.
Io vi ho avvertiti: per le tante parole che si fa fatica a capire, potete dare un'occhiata alla fine del libro!
***
I codici del labirinto
Kate Mosse
PIEMME PickWick 
664 pagine
9.90 euro copertina flessibile

sabato 7 marzo 2020

Sono Francesco (A.Pellai e B. Tamborini)

Francesco è un ragazzo a cui non manca nulla. Suo padre ha dei progetti per lui, una carta di credito da mettergli a disposizione, tante idee in mente per farlo diventare il bastone della sua vecchiaia non tanto dal punto di vista personale quanto lavorativo.

Ma Francesco è un ragazzo inquieto. Non riesce a comprendere quale sia, con esattezza, la sua strada e si trova in un periodo della sua vita in cui riesce ad intravedere a fatica un equilibrio che gli porti serenità e lo faccia sentire realizzato. Ha tanti amici, è affabile, ha successo con la gente, ci sa fare. Lo sa bene anche suo padre che, probabilmente in forza del suo carattere e del suo modo di fare, già lo vede impegnato in azienda a tenere contatti con i fornitori.

Ad un certo punto della sua vita, però, Francesco si rende conto che qualche cosa gli manca.
Arriva, pur non volendo, lo scontro con suo padre.

Arriva, sempre in virtù di uno scontro anche se di altro tipo, l’incontro con una nuova figura che assumerà un ruolo importante nella sua vita: un prete, Don G., che sembra mandato da qualcuno per aiutarlo.
Non basterà Don G., non basterà Chiara – anch’essa una giovane benestante a cui vanno strette le vesti di ragazza dell’alta società come vorrebbero i suoi – e non basterà nemmeno l’affetto di sua madre ad aiutare Francesco a comprendere qual è la sua vera strada.
Il ragazzo dovrà comprendere da solo quale possa essere il percorso giusto, quello che lo possa rendere davvero felice, che gli alleggerisca l’anima e che lo riempia fino all’orlo. Ecco, questa è l’immagine che gli autori mi hanno trasmesso: quella di un ragazzo che ho assimilato ad un bel bicchiere di cristallo ma pieno poco più della metà. Questo è il Francesco che si mostra all’inizio del libro. Pian piano quel bicchiere di cristallo perde in parte il suo bagliore e si scheggia, anche, ma alla fine è pieno fino all’orlo di un liquido dorato che riluce e illumina di una luce nuova tutti coloro che gli stanno attorno.
In Francesco ha visto la fragilità di tanti giovani che fanno fatica a dare voce alla propria insoddisfazione, alla propria inquietudine. Ho visto un giovane che ha dovuto fare i conti con i suoi sbagli, con le proprie delusioni ma che non si è lasciato abbattere.

Il protagonista mi è rimasto nel cuore non solo per i suoi modi all’inizio stravaganti e che, pian piano, pur restando stravaganti virano verso quella sicurezza che la consapevolezza si porta appresso. Mi è rimasto nel cuore perché Francesco è coraggioso. Non solo nella scelta di vita che fa, radicalmente diversa da quella che suo padre avrebbe voluto per lui, ma anche perché ha il coraggio di affrontare il suo percorso di maturazione e a testa alta ed ha il coraggio di piangere.

E’ un’immagine molto bella quella di un Francesco in lacrime che non teme di mostrare la sua fragilità, che non teme di chiedere aiuto e che non teme di mostrare il suo lato sensibile. Quello che nessuno penserebbe che potesse avere quel mattacchione, abituato a stare sempre al centro dell’attenzione e ad avere successo con tutti.
E’ una storia, quella di Francesco, ambientata in tempi moderni ma che richiama quella di un Francesco vissuto parecchio tempo prima, che si è spogliato di tutto per andare incontro ai poveri e che ha avuto degli amici, dei compagni di avventura che – in un modo o nell’altro – fanno capolino accanto al Francesco di oggi.

Un personaggio che non si dimentica è anche il padre di Francesco. Un uomo tutto d’un pezzo che non accetta le scelte di suo figlio, che si arrende davanti ad una volontà diversa dalla propria tanto da chiudere completamente le porte, senza dare una possibilità a quel ragazzo che, pure, cerca la sua approvazione (anche se da alcuni suoi comportamenti non sembra).
Suo padre gli manca.
E’ un uomo che soffre, suo padre. Soffre come – ne sono certa – soffrono molti padri davanti a scelte dei propri figli che non condividono e non mi sento di giudicarlo. E’ una figura che mi ha rattristata molto, questo sì, lo posso dire. Mi sono anche messa nei panni di quel ragazzo, in una situazione familiare come quella che è venuta a crearsi… ed ho sofferto.

Il libro - letto in collaborazione con Thrillernord - è scritto in modo fluido, scorrevole, semplice, ma non banale. Adatto a lettori giovani ma anche a lettori più maturi che vogliano attualizzare una storia di cui tutti noi abbiamo bisogno.

Ho molto apprezzato, come parte integrante del libro, la parte finale che propone la biografia di San Francesco d’Assisi. L’ho considerata parte integrante del libro perché, secondo il mio parere, aggiunge alla storia quelle sfumature che, in mancanza, potrebbero sfuggire e restare sullo sfondo.
***
Sono Francesco
Alberto Pellai e Barbara Tamborini
De Agostini Editore
352 pagine
14.90 copertina rigida - 6.99 kindle

venerdì 6 marzo 2020

Una vita apparentemente perfetta (M. Hunziker) - Venerdì del libro

Non amo le biografie, soprattutto dei personaggi dello spettacolo. Di solito compro libri di questo tipo per mia madre che, invece, si intrattiene volentieri con loro. 
Stavolta la storia personale di Michelle Hunziker, raccontata nel libro Una vita apparentemente perfetta, mi è stata utile però per una delle challenge di lettura a cui partecipo.

Michelle racconta cosa c'è stato in quell'animo apparentemente spensierato che il pubblico è abituato a conoscere in un certo periodo della sua vita. E lo fa paura di mostrarsi fragile - come effettivamente è stata - tanto fragile da cadere in una trappola che all'inizio, per lei, aveva le sembianze dell'amore.

Michelle racconta la sua esperienza con la setta guidata dal maestro che risponde al nome di Clelia ma non lesina dettagli anche in merito alla sua infanzia. Un'infanzia vissuta accanto ad un padre che amava bere, che si dimenticava la sua bambina su un marciapiede mentre era al bar... un padre capace di trasformarsi in un uomo amorevole nei suoi momenti di lucidità per poi cambiare, in preda ai fumi dell'alcol. Un'infanzia vissuta con una madre che è stata il generale di famiglia, donna rigida ed inflessibile. Un'infanzia fatta di prese in giro a scuola, di bullismo quotidiano. Un bagaglio di esperienze, questo, che Michelle si è portata dietro nel tempo e che ha pesato, moltissimo, nei suoi contatti con chi credeva che avrebbe potuto aiutarla, amarla, apprezzarla.

Non entro nel merito della sua esperienza - non credo che si possa dare un giudizio in merito a qualche cosa che non si conosce - ma mi limito a fare delle considerazioni sulla base di ciò che Michelle racconta.

Fin dall'inizio vede in Clelia una persona capace di dispensare amore. Non vede nessun secondo fine, non si rende conto di perdere, pian piano, la sua libertà nemmeno quando il maestro e i suoi adepti più fedeli le filtrano le telefonate, le controllano i movimenti, il lavoro...

 Michelle, con il senno di poi, definisce quella donna
una manipolatrice sopraffina, troppo intelligente per fondare il suo progetto su pure e semplici illazioni: per rendersi indispensabile utilizzava ciò che c'era, senza inventare niente. Non mi ha raccontato che avevo il malocchio, per fare un esempio: giorno dopo giorno, dopo giorno, è penetrata nelle piccole ferite della mia vita e le ha allargate a dismisura, infettandole.
Credo che questa frase renda bene l'idea dell'esperienza che Michelle ha vissuto.

Il racconto è ben scritto ma a tratti mi è sembrato ripetitivo. E poi, onestamente, in più passaggi Michelle fornisce delle spiegazioni su concetti legati al suo credo, a quello della setta di cui secondo il mio parere si poteva fare tranquillamente a meno.

Non sto a dire che Eros Ramazzotti (colui che spesso l'autrice chiama il padre di mia figlia) è il mio cantante preferito, che l'ho amato a 12 anni e tutt'ora lo apprezzo per cui un pochino il suo comportamento nei suoi confronti mi ha irritata... ma questo non ha niente a che fare con il mio giudizio sul libro.

Devo dire che una sola cosa mi ha disturbata - più della follia che quelle persone hanno messo in pratica, soggiogando completamente gli adepti - ed è un'affermazione che Michelle fa alla fine del libro quando diche che se sua madre o Eros si fossero avvicinati a lei e l'avessero stretta in un abbraccio, chiedendole di tornare senza giudicarla, allora le cose sarebbero potute andare diversamente. Da ciò che ho letto mi è parso di capire che abbiano tentato più volte, sua madre in particolare (più e più volte respinta da coloro che controllavano Michelle filtrandole addirittura le telefonata) di avere contatti con lei che, magari, potevano pure sfociare in un abbraccio ma che non sono stati messi in condizione di farlo... allora, chiamare in causa madre ed ex marito come se non avessero fatto niente per lei un po' mi ha disturbata.
Tutto qui.

Sono contenta che ne sia venuta fuori.
Mi spiace che abbia sofferto e spero che testimonianze come questa aiutino altra gente che possa essere finita nella ragnatela di una setta.
Lo segnalo per il Venerdì del libro per conoscere una problematica che, a quanto pare, accomuna molti anche se se ne parla poco.
***
Una vita apparentemente perfetta
Michelle Hunziker
Mondadori Editore
253 pagine
18.00 euro

mercoledì 4 marzo 2020

Per il mio bene (E. Stokholma)

Morwenn Moguerou è una bambina che vive in casa con suo fratello Gwendal e con un mostro: la loro madre. Una donna dal carattere instabile che picchia costantemente i suoi figli (mai insieme) e che all’esterno appare una persona come tante altre.
Per Morwenn e per suo fratello è “il mostro”.

Nel libro “Per il mio bene” (che ho avuto occasione di leggere nell'ambito della mia collaborazione con trhillernord) l’autrice – diventata un’amatissima dj e conduttrice radiofonica di successo – propone ai lettori la sua infanzia. Un’infanzia fatta di calci, pugni, schiaffi, docce fredde, e ancora calci, pugni, schiaffi, segni in ogni parte del corpo lasciati dalle mani di una madre che si sentiva dovere di fare tutto ciò, per il bene dei suoi figli.

Morwenn subisce in silenzio, non parla con nessuno della situazione che vive in casa, è accondiscendente e spesso conferma le accuse insensate di sua madre per la paura di subire di peggio ad ogni risposta che il mostro potesse considerare sbagliata. Abbandonati dal loro padre che è andato a vivere in Italia, i due bambini crescono in una costante paura di essere il prescelto per i trattamenti imposti da una madre che è incapace di guardare loro con amore.

Morwenn odia sua madre e prega affinchè muoia. Lo fa quotidianamente, sperando nell’intervento divino per poter essere liberata da quel fardello troppo pesante per lei e suo fratello. Ma quando capisce che Dio non può aiutarla in questo smette di credere in lui e di fare appello al suo intervento.
Continua a portare con se’ un odio profondo per quella donna che chiama mostro, anche quando lascerà definitivamente casa dopo diversi tentativi andati falliti. Ed anni dopo quell’odio cederà il passo ad una consapevolezza diversa, davanti ad una vita che chiede il conto ad una donna a sua volta lasciata sola con la sua pazzia.

L’autrice racconta la sua storia in modo diretto e senza filtri. Non c’è alcuna volontà di romanzare quanto accadeva tra le quattro mura della loro casa di turno, nessuna voglia di muovere a compassione il lettore. No. Ho letto altro tra quelle righe. Ho letto la voglia di mostrare il proprio passato affinché non succeda più che un bambino o una bambina venga picchiato da colui o da colei che, invece, dovrebbe essere la fonte del suo amore più profondo. Nessuno dovrebbe picchiare un bambino, sia chiaro, tantomeno se un genitore che gli ha dato la vita.
In quel racconto a tratti ipnotico, psichedelico, che rischia di andare fuori controllo, che l’autrice propone ai lettori ho visto questo: la volontà di alzare il velo su una realtà che troppo spesso è all’ordine del giorno e che resta nell’ombra “…perché non sono affari miei”.

Mi sono anche fatta parecchie domande…
Come mai nessuno aiuta quei due bambini?
Nessuno che sente?
Nessuno che vede i segni su quei corpicini?

Magari vedono pure, sentono pure, ma tacciono. Ecco, è qui la missione di Ema Stokholma che si legge tra le righe: è ora di interessarsi agli altri e  dare voce a quello che non è certo un modo per impicciarsi dei fatti altrui ma  è la voglia di aiutare chi ha bisogno di essere aiutato, soprattutto quando si tratta di un bambino.

Il libro si legge in fretta. 
Non c’è da aspettarsi uno stile ricercato e sottile quanto, piuttosto, un racconto vero, istantaneo, schietto.
***
Per il mio bene
Ema Stokholma
Harpre Collins Italia
200 pagine
18.00 euro copertina flessibile - 8.99 Kindle

domenica 1 marzo 2020

Zanna Bianca (J. London)

Mi sono emozionata nel leggere - con la maturità di oggi - Zanna Bianca. Gran classico che Jack London ha lasciato ai posteri, non ricordo di averlo letto da bambina o da ragazzina ma di aver visto qualche pezzetto del film da esso tratto sì!
Dico qualche pezzetto, perchè ricordo bene di essermi sempre rifiutata di guardare le scene più violente, soprattutto quelle dei combattimenti tra cani.
 
Ma andiamo con ordine.

Zanna Bianca è un cucciolo nelle cui vene scorre sangue di lupo ma anche di cane. 
Ben presto il cucciolo si troverà a fare i conti con le leggi della natura, della sopravvivenza ma anche con le regole degli umani che, nell'America dell'epoca della corsa all'oro, imporranno un rigido regime di obbedienza e nessuna coccola, per niente contemplata. 
Non è per essere coccolati che i cani - o i lupi - sono venuti al mondo ma per essere obbedienti, fedeli e per difendere il loro padrone.

Zanna Bianca mostra fin da subito un'intelligenza superiore ed una forza, un'agilità, un'astuzia che lo rendono differente da tutti gli altri cani che lo circondano ma anche dai lupi in cui si imbatte. 

Ben presto si renderà conto che gli umani hanno delle rigide regole e sono degli dei, perchè hanno delle capacità superiori ad ogni specie animale da lui conosciuta. Zanna Bianca fa della fedeltà la sua prima regola ma per gli umani non è lo stesso: ben presto si vedrà ceduto dall'indiano che lo aveva adottato (e che per lui era il suo unico dio) ad un uomo privo di scupoli che riuscirà a tirar fuori ogni giorno di più la sua indole selvaggia e violenta fino a farlo diventare un campione nelle lotte tra cani. 

Ma la ruota non gira sempre nella direzione giusta e Zanna Bianca lo verificherà sulla sua pelle quando, nell'unico combattimento in cui si verrà a trovare in posizione di svantaggio, arriverà a due passi dalla morte.

Inizia qui una nuova vita.

Non dico altro sulla trama -  non ho spoilerato nulla visto che quanto detto è quanto proposto in ogni sinossi del libro che si legga in giro - ma vorrei spendere due parole sulle emozioni che questo libro mi ha trasmesso.

Innanzitutto affetto per quel cucciolo che viene forgiato dai trattamenti che riceve. Non conosce amore perchè non lo ha mai ricevuto. Conosce la fedeltà perchè è il valore che il suo istinto gli trasmette fin da piccino quando il suo riferimento è sua madre, prima, il suo dio indiano, poi... E poi tanta compassione per un cucciolotto cresciuto troppo in fretta e abituato a cavarsela da solo tirando fuori, sempre, il suo lato più selvaggio.

Ma ciò che maggiormente mi ha colpita è stata la sua intelligenza, la sua capacità di comprendere le situazioni, le persone, gli stati d'animo ed agire di conseguenza. Mi ha colpita il suo autocontrollo nella parte finale del libro, quello su cui nessuno avrebbe mai scommesso. Nessuno tranne il dio umano che più di tutti lo ha compreso ed amato.

Quella di Zanna Bianca è una bellissima storia, scritta in modo efficace e scorrevole, con uno stile capace di trasmettere emozioni. 

Il libro è arrivato a casa mia a Natale come dono per mia figlia: io mi sono permessa di prenderlo in prestito dalla sua personale libreria visto che è al momento impegnata con letture assegnate a scuola.
Spero che lo legga al più presto e si lasci emozionare come è capitato a me. 
***
Zanna Bianca
Jack London
Crescere Edizioni
203 pagine
7.90 euro