sabato 31 marzo 2018

Un ristretto in tazza grande (F. M. Rivalta)

Federico Maria Rivalta nel suo libro, primo della serie di Riccardo Ranieri, Un ristretto in tazza grande, mi ha fatto sorridere e mi ha condotta lungo i tortuosi percorsi che hanno portato a risolvere un mistero piuttosto intricato.
Tempo fa avevo letto il suggerimento di Paola per un vecchio Venerdì del libro ed avevo preso un appunto... ora sono riuscita a leggere il libro che all'epoca consigliava. Devo dire che confermo il suo giudizio positivo. Non è un capolavoro, diciamolo, ma è un libro piacevole, ben scritto, con un buon intreccio, ironia e simpatia.

Ranieri è un giornalista che frequenta gli ambienti del Golf Club Frassanelle. 
La tranquilla routine del club, tra le colline del Parco dei Colli Euganei, nei pressi di Padova, viene turbata da una serie di morti che vederanno invischiato, suo malgrado, proprio Ranieri.

E' lui il primo a rinvenire il cadavere del primo uomo assassinato e da quel momenti si susseguono una serie di eventi che lo vedranno con i piedi sempre più affondati nel magma di un caso che, da una parte, vorrebbe seguire in qualità di giornalista improvvisamente promosso alla cronaca ma che, dall'altra, è costretto a seguire in quanto venutosi a trovare più volte nel posto sbagliato, nel momento sbagliato. Qualcuno ha anche cercato di ucciderlo e, sulle prime, non riesce proprio a capire cosa possa avere lui a che fare con quelle morti. Pian piano i nodi della storia iniziano ad allentarsi e Ranieri si troverà a portare avanti delle indagini a modo suo.

E' un giallo che mi ha fatto sorridere, Ranieri viene a trovarsi in situazioni esilaranti ed affronta ciò che gli accade con ironia. Nel leggere alcuni dialoghi mi sono proprio divertita, ho provato ad immaginare determinate scene ed è stato uno spasso. Tutto ciò non penalizza il mistero di fondo: ci sono delle morti tra loro collegate, c'è un assassino da stanare, ci sono dei suicidi, delle circostanze molto particolari che rappresentano dei tasselli di un grande puzzle che va via via componendosi.

Il protagonista mi è simpatico. E' un gran pasticcione, disordinato, capace di sbagliare aeroporto e riuscire comunque a prendere il suo aereo nonostante i pantaloni che gli scendono per via di un bottone saltato nel togliere la cintura che faceva suonare tutti gli allarmi. 
Non sono riuscita ad immaginarlo visto che la descrizione fisica non è così dettagliata ma il tipo mi piace. Mi auguro che con il prossimi volumi della serie possa avere qualche elemento in più, dal punto di vista descrittivo, per farmi un'idea più precisa su di lui, soprattutto dal punto di vista fisico.

E poi è un collega, ammetto di averlo guardato con occhio non troppo critico! Ho immaginato come mi sarei comportata io se mi fossi trovata al suo posto. Per una volta si è trovato dall'altra parte della barricata ed è divertente questo suo doppio ruolo.
Non manca una donna che gli fa girare la testa e che, essendo colei che porta avanti l'indagine, ha anche un ruolo di potere. Fa un tantino la preziosa, è sempre tanto occupata ma... la situazione si fa via via interessante.

Il finale? Non posso svelare nulla in merito perchè toglierei il gusto della lettura ma posso dire che si tratta di un giallo scritto in modo scorrevole, con un protagonista che piace (almeno a me) e che diverte. Ci sono gli ingredienti giusti per apprezzare la lettura e, perchè no, andare alla ricerca delle puntate successive visto che si tratta del primo di una serie.

Con questa lettura partecipo alla Visual Challenge in quanto in copertina è visibile una tazza, parola utile per questo mese.
 

venerdì 30 marzo 2018

Orfani bianchi (A. Manzini)

Mia cara, nella disperazione non c’è una scala di valori, se fai scegliere a chi soffre. Magari oggettivamente tu puoi dire che un ricco che perde alla Borsa è meno disperato di un bimbo nel Darfur… ma il ricco, dentro di sé, è disperato, ed è capace anche di togliersi la vita. La disperazione la puoi giudicare solo se non ti coinvolge. Altrimenti è uguale per tutti.

Storie di povertà e disperazione. 

Sono quelle che si intrecciano in Orfani bianchi, libro di Antonio Manzini che ho conosciuto tempo fa per storie decisamente diverse da questa.
Da una parte c'è la protagoniste, Mirta, una donna moldava che ha lasciato in patria suo figlio assieme alla sua anziana madre, in un mondo fatto di miseria e sofferenza. 
E' per lui che ha deciso di stabilirsi in Italia, cercare un lavoro e risparmiare quanto le basterà per ricongiungersi con il suo amato figliolo.
Dall'altra c'è donna Eleonora, l'anziana signora che, dopo altre esperienze simili, Mirta si trova ad accudire: una donna ridotta ad un automa, su una sedia a rotelle in una casa che trasuda ricchezza in ogni angolo ma che, a quanto pare, non ha rappresentato uno scudo efficace contro la sofferenza. 

Sono due storie di povertà e disperazione, dicevo all'inizio. 
La povertà di Mirta è quella da cui è scappata, lasciando suo figlio che è l'unico scopo della sua vita. La sua disperazione arriva dall’affanno per poter racimolare i soldi necessari per poter vivere, per mandare qualcosa a chi le resta, per poter portare suo figlio in Italia. E' disperata nel momento in cui perde il lavoro di badante per una signora che verrà portata in una casa di cura, è stanca e abbattuta dopo turni estenuanti di pulizie assieme ad altre donne in situazioni simili alla sua ed è disperata quando suo figlio resta solo ed è costretta ad lasciarlo in un internat, una struttura che ospita per il 90% orfani di genitori viventi ma impossibilitati a tenerli. E’ dilaniata nelle carni di madre, si sente indegna di quel nome ma non trova altra strada da percorrere per garantire a suo figlio un tetto sopra la testa, pasti caldi ed un ambiente salubre.
Quando le viene offerta l'opportunità di guadagnare bene come badante presso una ricca famiglia vede la svolta. Pochi mesi, solo pochi mesi, poi sarà tutto finito. Se lo ripete continuamente, ne è convinta.

Dall'altra parte c'è la povertà di una donna che è rimasta sola nella sua famiglia: suo figlio nemmeno la saluta quando parte per un viaggio con la moglie e il figlio (nipote di lei), la nuora le cerca badanti affidabili a cui lasciarla ma nessun gesto d'affetto trapela nei suoi confronti. Non è povero dentro, forse, chi vive così? E c'è la sua, di disperazione, quella di una donna benestante, dinamica, spiritosa che all'improvviso si ritrova ad essere lo spettro di se stessa e che è costretta ad abbandonarsi a mani sconosciute anche per i servizi più intimi e personali.

Poi c'è Ilie. Un ragazzino silenzioso, lontano dalla mamma, con un padre che non ha mai conosciuto ed una nonna anziana che viene improvvisamente a mancare. Per lui si spalancano le porte di una struttura che nessuno vorrebbe mai frequentare, nonostante le rassicurazioni della direttrice che tenta di tranquillizzare una donna che non riesce a darsi pace nel momento in cui mette piede in quel posto da cui intende portare via suo figlio prima possibile.
Si esprime a monosillabi, quel ragazzino. Non risponde ai messaggi della mamma, alle sue telefonate. E' un piccolo fantasma di se stesso che subisce la situazione come tanti altri bambini.
Quella di Mirta è una storia che si può facilmente leggere negli occhi di tante donne che ci passano accanto quotidianamente. Donne che lasciano tutto fisicamente ma che portano tutti gli affetti nel cuore nel momento in cui se ne vanno per poter dare una speranza di vita migliore. 
Mi ha colpita, ed è molto realistica come cosa, quel voler fare di tutta l'erba un fascio: moldavo, russo, albanese... poco importa... soprattutto se si pensa a persone disoneste così, per sentire comune. 
Mirta subisce anche questo. Quel luogo comune che vuole che siano tutti ladri in partenza. 

Sono entrambe storie tristi. Mi ha toccato il cuore Mirta ma anche Eleonora. Il suo essere scortese, scostante, aggressiva, dispettosa non è forse il frutto della disperazione che attanaglia chi si trova in situazioni simili? Mirta subisce tutto ciò, viene definita serva, schiava, schifosa... subisce la cattiveria di quella donna che sembra così fragile e indifesa ma che si mostra del tutto diversa, quando vuole. Ma posso comprendere il suo stato d'animo così come quella richiesta estrema che arriva a fare alla serva, schiava, schifosa che però la accudisce, la tiene pulita, la cura e la fa mangiare con regolarità mentre i suoi cari sono altrove…
Manzini racconta con semplicità queste due storie, senza troppi fronzoli. E credo che sia proprio questo il pregio di questo libro: sono storie importanti, tragiche, intense che non necessitano di artifizi di nessun tipo per arrivare al lettore.

Con questa lettura, che non credo dimenticherò facilmente, partecipo alla Challenge From Reader to Reader 2.0.

mercoledì 28 marzo 2018

La vita perfetta (R. Knight)

Tutti nascondono un segreto, dice il sottotitolo del libro La vita perfetta. Ma quando questo segreto viene alla luce, con violenza, dopo anni, le conseguenze di quanto è stato possono essere letali.
Lo sa bene Catherine Ravenscroft che credeva che il suo segreto fosse oramai sepolto. 
E' una donna in carriera, fa un lavoro che le piace e le ha anche permesso di vincere un premio, vive una vita felice con un marito innamorato ed un figlio oramai autonomo. 

Una vita perfetta, la sua.

Fino a che non le viene recapitato un libro tra le righe del quale si ritrova descritta con dovizia di particolari. Il nome della protagonista è diverso e non sa chi abbia scritto quella storia ma sa bene che qualcuno lo ha fatto di proposito, per far tornare a galla quel segreto che con tanta attenzione ha tenuto celato agli occhi ed ai cuori delle persone che ha avuto accanto nella vita. Cerca di non pensarci ma oramai è come se avesse un martello pneumatico che picchia in continuazione, piano piano ma in modo costante, nella sua mente. Tanto da creare delle crepe che la portano sull'orlo dell'isteria.

Quel segreto è legato ad una persona che da venti anni giace cadavere in una tomba e che qualcuno sta tentando di riesumare (in senso figurato... non si parla di zombie!!) dando corpo a quel segreto che è stato sepolto con lui.

Devo dire che all'inizio mi è sembrato tutto un po' troppo confuso. La narrazione si snoda dando voce a Catherine, che trema al pensiero di veder scoperto un segreto non meglio identificato, e ad un signore anziano rimasto solo dopo la morte della moglie e che viene a conoscenza di una verità sconvolgente circa la morte di suo figlio, avvenuta 20 anni prima. Ed è anche un racconto su due piani temporati (oggi e l'epoca in cui quei fatti so sono svolti, venti anni prima) che però traggono in inganno il lettore. Non dico altro. 
Non si riesce a capire bene se siano tutti e due squilibrati, chi sia la vittima e chi il colpevole ammesso che di colpevoli, in vita, ce ne siano. Eh sì, perché l'anziano signore non è testimone in prima persona di ciò che tenta di riportare alla luce e si fida ciecamente di ciò che si ritrova tra le mani, senza farsi troppe domande. Lei, dall'altra parte, seppur minacciata da vicino e sull'orlo del baratro, decide di continuare a tacere per il bene di tutti.
Per il bene di tutti?
Io, davvero, non sono riuscita a comprendere il suo silenzio. Non quello di allora ma quello di oggi. Davanti ad una minaccia così vicina, così reale, non sono riuscita a comprendere il suo comportamento. Appare complevole al 100% e non fa niente per dare la sua versione dei fatti.
Non mi sono fatta una bella idea di lei, lo ammetto.  

Poi, però, decide di svegliarsi e di smettere di subire quando oramai, però, le conseguenze di quanto è venuto alla luce hanno tracciato dei solchi profondi nelle persone che l'amano.

Non è male come storia e, nonostante lo smarrimento iniziale, non sono mancati i colpi di scena. Avrei gradito un finale un po' più curato rispetto a quello proposto ma, in una situazione così strana come quella che è venuta a crearsi, ci può stare. 

Emergono personalità disturbate nel profondo e quello che mi è piaciuto meno sono dei cambi di posizione improvvisi rispetto ai quali non posso dire di più per non togliere il gusto della lettura. Oggi colpevole domani vittima, così, con uno schiocco di dita!
Mi è sembrato tutto un po' troppo affrettato tanto da pensare: se era tutto così facile ma perchè non ci si è chiariti prima di fare tutto quel gran casino? Poi la risposta me la sono data da sola: perchè non ci sarebbe stata una grossa storia da scrivere, in quel caso!

Con questa lettura, che promuovo ma non a pienissimi voti, partecipo alla Visual Challenge in quanto lettura bonus per questo mese
 
ed alla Challenge Diche colore sei? in quanto rientrante nello spicchio giallo, obiettivo 2 autore/ice straniero/a. 

lunedì 26 marzo 2018

L'amore semplicemente (A. Golinelli)


Devastante. Questo è l’aggettivo che mi è venuto in mente appena ho letto l’ultima parola dell’ultima pagina del libro L’amore semplicemente, di Alessandro Golinelli.

Devastante, come solo la guerra può essere.

Devastante come la consapevolezza che, pur trattandosi di un romanzo, non si discosta poi così tanto dalla realtà. E non mi riferisco, di certo, alla storia d'amore ma al contesto storico, alla realtà di quell'epoca.


Siamo nel 1944 ed Anna, un’adolescente come tante, abita a poca distanza dai campi di prigionia di  Mauthausen. In un giorno come tanti incontra, lungo il suo cammino, un ragazzo che la rapisce fin dal primo sguardo. E’ un giovane soldato russo, di poco più grande di lei, prigioniero del campo e finito a lavorare in una fattoria della zona. Non possono parlarsi e nemmeno guardarsi ma i loro occhi si incrociano e basta uno sguardo per comunicare tutto ciò che mille parole non potrebbero mai fare. Lui si chiama Il'ja ma lei non lo sa. Sono due giovani che si cercano disperatamente ma che sono separati dalla violenza di una guerra che non guarda in faccia a nessuno. Riescono ad incontrarsi diverse volte ma senza mai poter comunicare se non con l’intensità dei loro occhi, un piccolissimo gesto, un ciao detto sottovoce.


Eppure, questo basta per dare speranza a quel giovane che cerca di evocare il volto di Anna ogni volta che sta per cedere sotto la violenza delle SS, sotto i morsi della fame, dietro la paura che lo attanaglia ogni giorno di più.

Eppure, questo basta per riscaldare il cuore di quella giovane che sa bene quale sia la sorte dei prigionieri ma che vuole credere fino alla fine che per lui ci sia una speranza di salvezza.

La storia viene narrata dal punto di vista di lei e di lui. Due realtà che si incrociano, emozioni che si sovrappongono. A fare da sfondo l’ispirazione arrivata da una vicenda storica raccontata sui libri di storia: la fuga di seicento prigionieri dell’Armata Rossa che hanno tentato il tutto per tutto pur di sottrarsi al campo di sterminio di Mauthausen e alle continue violenze – fisiche e psicologiche – a loro riservate. Era il 2 di febbraio del 1945 ed è quello il giorno in cui Il'ja sogna un futuro diverso, un futuro fatto di libertà e lontano da una guerra alla quale è arrivato senza poter fare nulla per evitare l’arruolamento e convinto di poterne restare, tutto sommato, ai margini. Proprio come tanti altri giovani suoi compagni. 

La storia dei due ragazzi è tenera e tragica, profonda e toccante. Il simbolo di un’epoca in cui i ragazzini hanno visto con i loro occhi la morte sia come spettatori che, purtroppo, come protagonisti: tanti vennero costretti ad assistere alle esecuzioni pubbliche, da un lato, e tanti l’hanno vissuta sulla loro pelle in quanto arruolati nonostante la giovane, giovanissima età.

Io mi sono trovata a trattenere il pianto alla fine del libro. Poi non ce l’ho fatta a fermare le lacrime. Ho ripensato ai racconti di guerra di mio nonno, mi è sembrato di vedere quelle membra scheletriche, di sentire i passi pesanti delle SS sulla terra arida, le grida di disperazione di chi veniva trascinato al freddo, nudo, senza forze per poi essere barbaramente assassinato. Ho pianto per la purezza di un amore che mi ha fatto battere il cuore e che ha lasciato anche in me, fino alla fine, la stessa speranza che nutriva Anna. 

Ho pianto per la storia che ognuno di noi si porta impressa sulla pelle anche se le due guerre mondiali sono ormai tanto lontane. 


Devastante. Sì, torno a dirlo. E’ stata una lettura devastante, molto più di altri libri che ho letto sul tema dei campi di sterminio, di questa stessa epoca. E non lo dico in senso dispregiativo per il romanzo, assolutamente. L’autore è stato capace di trasmettere con potenza le sensazioni dei protagonisti e lo ha fatto con una scrittura asciutta ed efficace. E' riuscito a trasmettere la tragicità di quegli eventi senza romanzare troppo.

Libro molto bello nella sua tragicità. 
E' una storia che non dimenticherò. così come non dimenticherò quello scambio di sguardi tra quei due ragazzi che mi hanno riscaldato il cuore ma che mi hanno anche fatto piangere. 

Con questa lettura partecipo alla Challenge From Reader to Reader 2.0.


 E' un libro breve ma intenso. Secondo me merita.

domenica 25 marzo 2018

Quattro tazze di tempesta (F. Brunini)

Quattro amiche si ritrovano per festeggiare il 40° compleanno di una di loro, Viola. La raggiungono nella grande casa nel sud della Francia dove vive, da sola, con la sua cagnetta. Un luogo in cui si è rifugiata qualche giorno dopo un triste episodio che le ha cambiato la vita: la morte di suo marito a seguito di un incidente stradale.  

Questo è il canovaccio attorno al quale si snoda la storia che Federica Brunini ha imbastito e proposto nel libro Quattro tazze di tempesta
A ben guardare si tratta di una storia che si svolge in pochi giorni, carica però di contenuti emotivi ed è questo che più mi è piaciuto.

E' la storia di una vacanza voluta per festeggiare ma che ha pronti, dietro l'angolo, parecchi scheletri nell'armadio per ognuna. Perché Chantal, Mavi, Alberta e la stessa Viola, la festeggiata, di scheletri nell'armadio ne hanno, come tutti d'altronde, e se ne stanno lì in bilico pronti ad uscire fuori e ad allungare le loro ombre sulle loro esistenze senza troppo preavviso. 

Ognuna ha portato con sé la proprie fragilità, le proprie insicurezze, le proprie difficoltà. Quelle che non si riescono a nascondere dietro un sorriso o che non riescono ad affogare nella piscina di una Spa. Purtroppo non si nascondono malgrado il tentativo di ognuna di farlo al meglio visto che l’intento è solo quello di festeggiare, stare bene e far star bene Viola. Sono contente di ritrovarsi, di ritrovare la neo quarantenne per il suo compleanno. Hanno organizzato una festa indimenticabile con tante soprese. Sarà davvero una festa indimenticabile ma non per quello che ognuna di loro aveva immaginato (o, meglio, non solo per quello) piuttosto per via di sorprese inaspettate e, sicuramente, non programmate. 

Devo ammettere che fino a metà libro mi sono un tantino trascinata tra le pagine con personaggi che stentavano a decollare nonostante le descrizioni, anche minuziose, messe su carta dall’autrice. Poi, pian piano, le cose sono cambiate per poi accelerare fino ad un finale che lascia anche spazio per un seguito. Chissà che l'autrice non ci abbia pensato? 

Chantal manifesta il suo tormento per un'età che passa inclemente lasciandole addosso i segni di una vita vissuta a metà. 
Mavi si sente sempre più stretta nel suo ruolo di madre e moglie, perdendo sempre di più tempo e spazio per sé. 
Alberta mostra un lato sconosciuto alle sue amiche e da poco noto anche a sé stessa. 
E Viola? Lei ha un grande peso sulle spalle, un segreto di cui non si è mai liberata, un senso di colpa che la divora di giorno in giorno. 

Protagonista assoluta del libro è l'amicizia. Quella che consola, che rallegra, che riempie il cuore ma che può anche far soffrire.  
Ma protagonista è anche il coraggio. E’ il coraggio di guardarsi dentro e fare delle scelte, quelle che si tende a relegare in un angolino per paura del nuovo, del diverso, dell’ignoto o per la comodità di situazioni oramai consolidate che, anche se non soddisfano appieno, se non altro non riservano sorprese.
La paura è una scelta. E io scelgo ogni giorno di non averne.
 Il personaggio che mi è piaciuto di più è Mavi (Maria Vittoria). Nel vederla affogare i propri pensieri nel cibo, nel sentire le sue riflessioni di mamma che adora suo figlio e di moglie legata profondamente al suo uomo ho anche avvertito il suo disagio per aver perso sé stessa in questo ruolo che, pur piacendole, le va un po' stretto. Ebbene, mi ha fatto tanta tenerezza e mi ha fatto pensare ad una condizione comune a molte mamme. 
Chantal è quella che mi ha maggiormente innervosita con le sue continue paranoie sull’età, sul fatto di essere oramai nell’autunno della vita e non aver ancora trovato un posto, un senso alla sua esistenza. Sarà che ho superato anche io i quaranta? Non so, in alcuni momenti avrei voluto prenderla a schiaffi e dirle di iniziare a godersi la vita senza farsi troppe domande!

Ho apprezzato la scrittura della Brunini: fluida, leggera ma non per questo banale. 

Ho anche apprezzato il formato del libro che mi ha permesso di infilarlo in borsa senza problemi e sfruttare ogni momento libero (anche l’attesa al palasport, mentre figlia grande era in riscaldamento prima di entrare in campo!) per arrivare a scoprire apparentemente come andasse a finire la festa di Viola ma, nella realtà, per capire quale  direzione avrebbero preso le strade percorse dalle quattro amiche.

In coda al libro segnalo la presenza di consigli per la preparazione di un tè adatto per ogni occasione. Non l’ho detto prima ma Viola ha un negozio di tè che arrivano da tutto il mondo ed i suoi clienti l’adorano per il suo buon gusto e per la sua capacità di dare ad ognuno la miscela giusta per le emozioni del momento. 

Con questa lettura partecipo alla Challenge From Reader to Reader 2.0.
Partecipo anche alla Challenge Tutti a Hogwarts con le 3 ciambelle nell'ambito della macro-categoria I doni della morte per l'obiettivo Libro con un numero nel titolo.
 

venerdì 23 marzo 2018

Niente è come te (S. Rattaro) - Venerdì del libro

Quanti ce ne sono, in giro per il mondo, di genitori che sono costretti a stare lontano dai loro figli per volontà di quella persona con cui quei figli li hanno concepiti e che, a suo tempo, aveva promesso amore eterno, in salute e malattia, finchè morte non ci separi eccetera eccetera?
 
Tanti.

Alcuni diventano casi noti ed arrivano alla cronaca, vanno in tv, parlano sui giornali. Altri - molti di più - combattono in silenzio spesso senza riuscire a trovare le armi giuste per far valere i loro diritti.

Questo è il tema che viene toccato da Sara Rattaro nel libro Niente é come te e, come racconta lei stessa nelle note finali, si tratta di una storia vera che non è stato semplice narrare. Come non è semplice leggere da parte del lettore che avverte il dolore, la sofferenza, l'impotenza che attanagliano coloro che sono, loro malgrado, i protagonisti.

Margherita è la bambina contesa: strappata al padre italiano da una madre straniera che, di punto in bianco, decide di tornare nel suo paese e di darle un nuovo padre senza venire incontro al padre vero se non in sporadiche occasioni. Ovviamente, per il resto del tempo, lui viene descritto come un uomo incapace di fare il padre e, soprattutto, come un padre che non ha voluto sua figlia.  Una descrizione che, uscita dalla bocca della mamma e arrivata continuamente alle orecchie di una bambina, viene data come acquisita da quelle piccole orecchie e da quel cuoricino smarrito. 

Nel momento in cui a quella mamma succede qualche cosa di terribile che non le permette più di occuparsi di Margherita, scattano dei meccanismi che fanno tornare in gioco quel padre che, di fatto, i panni del padre non se li sente più addosso da tempo da quando, molti anni prima, quella bambina ha smesso di stringere la sua manina attorno alla sua. E' una magra consolazione, per lui. L'unico modo di esercitare il proprio diritto di padre viene garantito nel momento in cui non è più in gioco la madre che lo aveva tagliato fuori... però guarda avanti, nonostante l'amarezza, perchè la felicità di riavere sua figlia è cento volte più grande della delusione.

Francesco è il padre di Margherita. Entrambi hanno sofferto, entrambi ancora soffrono anche dopo che si sono ritrovati. Lui soffre per una figlia che stenta a riconoscere, una figlia della quale ha perso i più bei momenti di crescita, per quell'adolescente che a malapena le parla e che fa fatica a riconoscerlo come padre soprattutto perchè è cresciuta con la certezza di essere stata da lui rifiutata.
Francesco ora ha un'altra donna accanto ma non ha voluto altri figli perchè sarebbe stato come tradire Margherita. Una scelta, questa, che se a lui è sembrata giusta e naturale ha, di fatto, sacrificato le legittime aspettative di Enrica, la sua nuova compagna, quella donna che ha rappresentato una spalla su cui piangere ma che ora è sull'orlo di un crollo emotivo.
La colpa non è certo di Margherita con la quale, tra l'altro, instaura fin da subito un bel rapporto. Il punto è un altro e la sofferenza arriva da lontano.

Margherita, da parte sua, è una ragazzina fragile. Soffre per la perdita di sua madre che non ha mai visto come un mostro ma come una donna amorevole e protettiva. E' un'adolescente sola, incapace di dominare le sue emozioni e pronta a farsi del male pur di dare tregua a quei lupi che le consumano l'anima. 

Questa lettura mi ha trasmesso una profonda tristezza, dall'inizio alla fine. Tristezza dovuta al pensiero di tante situazioni come quella di Francesco e Margherita - alcune delle quali, tra l'altro, sono citate tra un capitolo e l'altro - ma anche dovuta a quella fragilità che emerge da ognuno dei protagonisti. Ognuno a modo suo, è vero, ma le fragilità sono tante e si intrecciano l'un l'altra riuscendo a fatica a trovare reciprocamente ristoro. 
Mi ha trasmetto un'immensa tristezza il pensiero di quella bambina, di quanti pensieri possano aver affollato nel tempo la sua mente, di quanti interrogativi senza risposta (o, magari, con risposte non del tutto vere) le siano rimaste appiccicate addosso. 

Sorge spontanea una domanda, peraltro la stessa che si fa continuamente Francesco: cosa ne sarebbe stato di quel padre e quella figlia se il destino non avesse fatto una scelta così drastica, concretizzatasi con la morte prematura della madre? 

Il libro è ben scritto, l'autrice riesce a dar voce alla perfezione al tormento, alla paura, allo smarrimento, alle tante difficoltà che una situazione di questo tipo provoca su più fronti. 
Mi ha anche colpita l'immagine di un padre che si ritrova spesso a piangere. L'autrice dà conto di un uomo che piange spesso, cosa che solitamente nei libri, nelle storie (siano esse di fantasie che storie vere) non è così marcata. Un uomo fragile anche lui ma non per questo sminuito nella dignità.

Propongo questa lettura per il Venerdì del libro di oggi e partecipo alla Visual Challenge in quanto in copertina c'è una tazza, uno degli oggetti utili per questo mese.

Partecipo inoltre alla Challenge From Reader to Reader 2.0 ringraziando per il consiglio. Ora, però, cercherò una lettura un po' più spensierata ;-)

Da ultimo, ma non per importanza, partecipo alla Challenge Di che colore sei? in quanto titolo suggerito per lo spicchio verde.
 

mercoledì 21 marzo 2018

Sei il mio sole anche di notte (A. Harmon)

Sei il mio sole anche di notte è il secondo libro di Amy Armon che leggo e devo dire che mi ha emozionata tanto quanto, se non più, dell'altro. 

La Harmon è tornata ad emozionarmi, a farmi commuovere, innervosire, esaltare, dispiacere... Sono tante le emozioni che mi ha regalato ma, prima di tutto, mi ha regalato Bailey
E' lui il dono più grande: il suo coraggio, il suo ottimismo, la sua consapevolezza, il suo altruismo, la sua capacità di amare. 

Ma andiamo con ordine. 

I due protagonisti principali sono Ambrose e Fern: bello, bellissimo ed atletico lui; un piccolo anatroccolo lei, con l'apparecchio ai denti, gli occhiali e le fattezze di una bambina che tardano a sbocciare in quelle di una donna. Lei ama lui ma lo vede così lontano ed irraggiungibile che serba gelosamente i suoi sentimenti. Lui è un lottatore adulato da tutta la scuola, abituato a vincere e non deludere mai.

Le premesse per una storia banale ci sono tutte, no? 
No. Per niente. Tutto si può dire meno che la storia sia banale. 

Il percorso narrativo subisce una deviazione netta nel momento in cui Ambrose decide di arruolarsi nell'esercito assieme a quattro suoi amici: qualche anno lontano da casa e poi si torna alla vita di sempre. Purtroppo non sarà così ed i segni degli eventi resteranno addosso ad Ambrose, nel fisico e nell'anima. Tornerà cambiato, sfigurato in viso ma, soprattutto, profondamente segnato da ciò che il destino gli ha riservato. Lo spettro della guerra ha allungato su di lui i suoi artigli più di quanto non avrebbe mai potuto immaginare e il suo essere in vita è, forse, un destino ancora peggiore di quello che è spettato a chi non è tornato. 

Al suo ritorno a casa Ambrose e Fern si ritrovano, si scoprono, si avvicinano come mai hanno fatto.
In questo contesto si inserisce la figura di Bailey: un bambino, prima, giovane uomo poi costretto su una sedie a rotelle da una distrofia muscolare che - lui lo sa bene - non è disposta a darli scampo.
Più che la storia d'amore tra i due protagonisti principali è Bailey ad avermi emozionata: è il cugino, coetaneo, di Fern. Sono accanto l'uno all'altra da sempre, hanno condiviso momenti belli e brutti, si sono sorretti a vicenda, ognuno a seconda delle proprie necessità. Conoscono l'uno i segreti dell'altra e sono entrambi consapevoli che ogni candelina che si aggiunge alla torta di compleanno di Bailey è una conquista formidabile. Nessuno sopravvive a lungo con la distrofia e lui lo sa. 

Bailey è un ragazzo forte pur nella sua debolezza fisica, è intelligente, spigliato, coraggioso, ironico, capace di sdrammatizzare sulla sua condizione più di quanto nessun altro sia capace di farlo. Non ha paura della morte ed è perfettamente consapevole che, di anno in anno, si avvicina ad essa ma lo fa con serenità. Questo non vuol dire che non abbia paura, che non abbia mai pianto davanti a questo dato di fatto. Ha pianto, lo ha fatto anche stretto in un fraterno abbraccio con Fern, ma lo ha fatto con estrema dignità e con coraggio.

E' un personaggio meraviglioso. Non mi sento di dire altro. Merita di essere incontrato e di rimanere nel cuore, proprio come accade a tutti coloro che, nella storia, lo conoscono e condividono con lui un importante percorso di vita.
Bailey gli ha insegnato ad amare, a vedere le cose in prospettiva, a vivere per il presente, a dire ti amo spesso e con convinzione. E a essere grato per ogni giorno.
Conoscendo Bailey si impara ad amare per ciò che si è davvero, ad andare oltre l'apparenza, oltre i limiti, oltre l'aspetto fisico. E' una lezione, questa, che si impara con delicatezza e senza forzature. Una lezione che non va dimenticata mai. 
Con questo bellissimo libro partecipo alla Visual Challenge in quanto in copertina c'è un ombrello, uno degli oggetti utili per questo mese.
Partecipo inoltre alla Challenge From Reader to Reader 2.0 che pian pianino volge verso la fine.