Mia cara, nella disperazione non c’è una scala di valori, se fai scegliere a chi soffre. Magari oggettivamente tu puoi dire che un ricco che perde alla Borsa è meno disperato di un bimbo nel Darfur… ma il ricco, dentro di sé, è disperato, ed è capace anche di togliersi la vita. La disperazione la puoi giudicare solo se non ti coinvolge. Altrimenti è uguale per tutti.
Storie di povertà e disperazione.
Sono quelle che si intrecciano in Orfani bianchi,
libro di Antonio
Manzini che ho conosciuto tempo fa per storie decisamente diverse da
questa.
Da una parte c'è la protagoniste, Mirta, una donna
moldava che ha lasciato in patria suo figlio assieme alla sua anziana madre, in
un mondo fatto di miseria e sofferenza.
E' per lui che ha deciso di stabilirsi in Italia, cercare un
lavoro e risparmiare quanto le basterà per ricongiungersi con il suo amato
figliolo.
Dall'altra c'è donna Eleonora, l'anziana signora che,
dopo altre esperienze simili, Mirta si trova ad accudire: una donna ridotta ad
un automa, su una sedia a rotelle in una casa che trasuda ricchezza in ogni
angolo ma che, a quanto pare, non ha rappresentato uno scudo efficace contro la
sofferenza.
Sono due storie di povertà e disperazione, dicevo
all'inizio.
La povertà di Mirta è quella da cui è scappata, lasciando
suo figlio che è l'unico scopo della sua vita. La sua disperazione arriva dall’affanno
per poter racimolare i soldi necessari per poter vivere, per mandare qualcosa a
chi le resta, per poter portare suo figlio in Italia. E' disperata nel momento
in cui perde il lavoro di badante per una signora che verrà portata in una casa
di cura, è stanca e abbattuta dopo turni estenuanti di pulizie assieme ad altre
donne in situazioni simili alla sua ed è disperata quando suo figlio resta solo
ed è costretta ad lasciarlo in un internat, una struttura che ospita per il 90%
orfani di genitori viventi ma impossibilitati a tenerli. E’ dilaniata nelle
carni di madre, si sente indegna di quel nome ma non trova altra strada da
percorrere per garantire a suo figlio un tetto sopra la testa, pasti caldi ed un
ambiente salubre.
Quando le viene offerta l'opportunità di guadagnare bene
come badante presso una ricca famiglia vede la svolta. Pochi mesi, solo pochi
mesi, poi sarà tutto finito. Se lo ripete continuamente, ne è convinta.
Dall'altra parte c'è la povertà di una donna che è rimasta
sola nella sua famiglia: suo figlio nemmeno la saluta quando parte per un
viaggio con la moglie e il figlio (nipote di lei), la nuora le cerca badanti
affidabili a cui lasciarla ma nessun gesto d'affetto trapela nei suoi
confronti. Non è povero dentro, forse, chi vive così? E c'è la sua, di
disperazione, quella di una donna benestante, dinamica, spiritosa che
all'improvviso si ritrova ad essere lo spettro di se stessa e che è costretta
ad abbandonarsi a mani sconosciute anche per i servizi più intimi e personali.
Poi c'è Ilie. Un ragazzino silenzioso, lontano dalla mamma,
con un padre che non ha mai conosciuto ed una nonna anziana che viene
improvvisamente a mancare. Per lui si spalancano le porte di una struttura che
nessuno vorrebbe mai frequentare, nonostante le rassicurazioni della direttrice
che tenta di tranquillizzare una donna che non riesce a darsi pace nel momento
in cui mette piede in quel posto da cui intende portare via suo figlio prima
possibile.
Si esprime a monosillabi, quel ragazzino. Non risponde ai
messaggi della mamma, alle sue telefonate. E' un piccolo fantasma di se stesso
che subisce la situazione come tanti altri bambini.
Quella di Mirta è una storia che si può facilmente leggere
negli occhi di tante donne che ci passano accanto quotidianamente. Donne che
lasciano tutto fisicamente ma che portano tutti gli affetti nel cuore nel
momento in cui se ne vanno per poter dare una speranza di vita migliore.
Mi ha colpita, ed è molto realistica come cosa, quel voler
fare di tutta l'erba un fascio: moldavo, russo, albanese... poco importa...
soprattutto se si pensa a persone disoneste così, per sentire comune.
Mirta subisce anche questo. Quel luogo comune che vuole che
siano tutti ladri in partenza.
Sono entrambe storie tristi. Mi ha toccato il cuore Mirta ma
anche Eleonora. Il suo essere scortese, scostante, aggressiva, dispettosa non è
forse il frutto della disperazione che attanaglia chi si trova in situazioni
simili? Mirta subisce tutto ciò, viene definita serva, schiava, schifosa...
subisce la cattiveria di quella donna che sembra così fragile e indifesa ma che
si mostra del tutto diversa, quando vuole. Ma posso comprendere il suo stato
d'animo così come quella richiesta estrema che arriva a fare alla serva,
schiava, schifosa che però la accudisce, la tiene pulita, la cura e la fa
mangiare con regolarità mentre i suoi cari sono altrove…
Manzini racconta con semplicità queste due storie, senza
troppi fronzoli. E credo che sia proprio questo il pregio di questo libro: sono
storie importanti, tragiche, intense che non necessitano di artifizi di nessun
tipo per arrivare al lettore.
Con questa lettura, che non credo dimenticherò facilmente, partecipo alla Challenge From Reader to Reader 2.0.
io lo avevo trovato un po' troppo angosciante: ad un certo punto mi sono chiesta che cosa potesse ancora capitare a quella poveretta di Mirta!
RispondiEliminaIn effetti l'autore ha un po' romanzato ma... onestamente credo che situazioni similia siano piuttosto attuali.
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