Non è l'Andrea Vitali che conosco. O meglio, l'Andrea Vitali che ho imparato a conoscere leggendo alcuni (non moltissimi, a dire il vero) suoi libri. Quello che ho incontrato leggendo Dopo lunga e penosa malattia è un Vitali diverso.
E' sempre Bellano il luogo in cui si svolgono i fatti ma stavolta il racconto è diverso. I personaggi sono meno scanzonati del solito, le chiacchiere di paese sono quasi completamente assenti e la sensazione che si prova per tutto il racconto è di una perenne tristezza legata ad una serie di eventi.
La storia si svolge in un arco temporale piuttosto breve: dal 4 al 12 novembre di un anno indefinito.
Il protagonista è un dottore, Carlo Lonati, che viene allertato per un malore (il 4 di novembre) di un amico con cui si è perso di vista da un po': si tratta del notaio Luciano Galimberti che, al suo arrivo, è però passato a miglior vita. Infarto. Galimberti soffriva di cuore proprio come il dottor Lonati e le due figure sono parallele tra loro per un sacco di motivi.
Per i trascorsi, per il malessere provocato dalla malattia ma non per la sorte. Galimberti è andato, Lonati no! Non ancora, almeno...
Pur avendo scritto e sottoscritto sul certificato di morte che si è trattato di un infarto, Lonati non è convinto del tutto. Emergono, pian piano, una serie di elementi che alimentano in lui il seme del dubbio fino a farlo crescere a dismisura, fino a convincerlo ad indagare. Cerca di avvicinare la famiglia, fa domande, inizia anche a mentire a sua moglie per via di quelle indagini che si è messo in testa di portare avanti e gli eventi iniziano a sfuggirgli di mano proprio quando crede di essere arrivano ad una svolta.
Galimberti è morto d'infarto o si tratta, come sembra al suo amico dottore, di un omicidio? Per mano di chi? E perchè?
Interrogativi che lo turbano e che si sommano ai sintomi sempre più frequenti di quell'attacco di cuore che è sempre in agguato.
Questa volta Vitali è più ermetico del solito. Le descrizioni sono immediate, tracciate con linee chiare e precise ma senza fronzoli così come è la stessa narrazione. Non c'è niente di superfluo, nessun tentativo di allungare il brodo per un mistero che si propone e si snoda in poco più di 160 pagine.
Vitali lascia spazio al lettore, questa è l'impressione che ho avuto, e non gli serve tutto in un piatto d'argento. Anzi, gli serve solo l'essenziale lasciando alla deduzione del lettore parte del lavoro da fare.
Il personaggio che più mi ha colpita è quello di Elsa, moglie del dottor Lonati. Una donna silenziosa, preoccupata per la salute del marito, paziente e remissiva. L'ho immaginata magra, dal colorito pallido e dai capelli raccolti in una crocchia. Non per via di descrizioni fornite dall'autore, no. Ma così ho immaginato che possa essere quella donna che aspetta a casa il marito senza fare domande, che sente chiaramente la sua sofferenza e non lo opprime, non lo assilla pur sapendo, pur sentendo che c'è qualche cosa che non va.
E' un libro scorrevole, che si legge in fretta, con capitoli corti e descrizioni essenziali. Per un Vitali diverso, non eccezionale ma gradevole.
Il finale riserva qualche sorpresa e, onestamente, questa cosa mi ha piacevolmente colpita. Avevo immaginato altro.
Il finale riserva qualche sorpresa e, onestamente, questa cosa mi ha piacevolmente colpita. Avevo immaginato altro.
Con questa lettura partecipo alla Challenge La ruota delle letture.
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