Nel romanzo di Giulia Ciarapica Chi dà luce rischia il buio ho trovato, ancor di più che nel precedente volume, la mia terra. Quella fatta dell’odore della pelle, delle voci degli operai nelle fabbriche, quella che si è ritagliata un posto nella produzione di calzature non senza sacrifici. Ho ritrovato i personaggi che avevo amato nel primo volume e, ancor più stavolta, ho sofferto con loro. Ho amato con loro. Ho pianto con loro ma ho anche rialzato la testa con loro, con coraggio. Come i marchigiani – terra di persone testarde, tenaci e determinate – sono abituati a fare.
L’autrice torna a proporre, seppur romanzata, la storia dei suoi nonni – Valentino e Giuliana – che è, a ben guardare, la storia di un territorio che mi piace considerare il protagonista assoluto del racconto.
Un territorio che soffre, come avviene un po’ ovunque (siamo alla fine degli anni sessanta, inizi degli anni settanta) per un futuro che cerca di farsi largo con forza anche in periferia, in quella Casette d’Ete che è molto lontana dalle grandi città ma che, come nelle grandi città, inizia a soffrire le conseguenze dei cambiamenti in atto. Primo tra tutti quello relativo al mondo del lavoro con le proteste dei lavoratori che prendono in contropiede i titolari delle aziende e che segnano un’epoca. Ma anche cambiamenti sociali all’interno delle famiglie dove le donne, le più giovani, non si accontentano più della vita di provincia ed iniziano a ribellarsi agli stereotipi che vanno loro sempre più stretti.
In questo secondo volume l’autrice permette ai suoi personaggi di esporsi, di manifestare le proprie debolezze e fragilità più di quanto non abbia fatto in precedenza. Ammetto di essermi persa in qualche passaggio, in qualche dialogo (ma non certo per l’uso del dialetto che comprendo alla perfezione essendo il mio) ma probabilmente è stato un mio limite dovuto alla voglia di arrivare al più presto alla fine per conoscere l’epilogo di determinate vicende.
È un romanzo di presenze ed assenze, di allontanamenti e avvicinamenti, di gioie e dolori, successi ed insuccessi. È la vita. Ed è, come accennavo all’inizio, la mia terra che si propone con forza e con orgoglio. L’uso del dialetto nei dialoghi – non tutti ma nei più significativi – secondo il mio parere è molto efficace e perfettamente comprensibile. Non sarebbe stato lo stesso romanzo se fosse mancato.
“E famme ‘bboccà, Robè, per piacere. Devo ‘ttaccà la macchina…”.
“Quindi non ce semo capiti? Do’ vai? No ‘bbocca gnisciù, ogghi. Mettete qua”.
Come dialogo tra due dipendenti che affrontano con spirito diverso
uno sciopero, uno dei primi organizzati a Casette d’Ete, è molto più
efficace così che in italiano perfetto. Non sarebbero reali quei
personaggi se non parlassero così, soprattutto nei momenti di maggior
tensione. Non saremmo reali, noi marchigiani, se non ci esprimessimo
così.
***
Chi dà luce rischia il buio
Giulia Ciarapica
Rizzoli editore
384 pagine
19.00 euro copertina flessibile - 10.99 Kindle
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