Bel formato, bella copertina, titolo accattivante ma storia
non all'altezza delle aspettative. Mi spiace dirlo ma La principessa che
credeva nelle favole. Come liberarsi del proprio principe azzurro non mi è
piaciuto.
Non mi è piaciuto perché mi aspettavo una storia ironica -
questo mi aveva fatto pensare il sottotitolo, in particolare - e, comunque, una
storia più originale di quella che mi sono trovata a leggere.
Pieno zeppo di luoghi comuni, stracarico di passi che possono
essere proposti come citazioni sull'accettazione di se stessi, sul volersi
bene, su come non ci si deve sforzare di essere ciò che gli altri vorrebbero
che fossimo, ho fatto fatica ad arrivare alla fine perché si è abbattuto su di
me un senso di noia che ho combattuto a fatica.
Non si tratta di un romanzo ma una favola che prende una
direzione diversa da quella che, solitamente, ha come protagoniste principesse
bionde e con gli occhi grandi.
Victoria è una principessa con tutti i canoni che
ogni principessa che si rispetta deve presentare.
E' oppressa da una ferrea educazione principesca, ha delle
precise regole di comportamento da rispettare, non può dare sfogo ai suoi
intimi pensieri e alle sue intime aspirazioni perché disdicevoli per una
giovane del suo rango. Padre severo, madre premurosa ma attentissima
all'etichetta, la principessa convive con una figura particolare. Si chiama Vicky
ed è una bambina che solo lei vede e che viene considerata la causa di tutti i
comportamenti sconvenienti che la principessa mostra nel regno.
E' una sorta di doppia personalità che mal si equilibra con
la principessa perfettina che tutti vorrebbero che Victoria fosse. E
onestamente questa Vicky fa un sacco di confusione!!!
A Victoria hanno sempre raccontato che arriverà un principe
azzurro su un cavallo bianco e, anche se non a cavallo, il principe e azzurro
arriva davvero tanto da sposarla. Bellissimo matrimonio regale e nuova vita per
la principessa che, ben presto, si trova a fare i conti con la realtà. Il principe
azzurro non è tanto azzurro, è piuttosto opaco come personalità, scuro
come umore. Caratteristiche, queste, che emergono con il passare del tempo e
che feriscono la principessa nel profondo.
Sopporta finché può ma alla fine Victoria se ne va, abbandonando
suo marito.
Da questo momento intraprende un viaggio che la porterà a
conoscere personaggi fantastici, in ambienti altrettanto fantastici per
arrivare a comprendere - dopo una serie di vicissitudini - che per
trovare la vera felicità deve prima trovare se stessa ed apprezzarsi per quello
che è.
Il principe viene abbandonato e non si sa più niente di lui.
Alla fine mi sarei aspettata di sapere qualche cosa sulla sua sorte invece
niente. Victoria impara la lezione e la storia finisce lì.
Tante frasi d'effetto vengono usate per far aprire gli occhi
alla principessa ma alla fine il complesso risulta noioso, poco
coinvolgente.
Il personaggio che ho trovato più simpatico è il mago.
Saggio (é la fonte di cotanta saggezza), intelligente, profondo ma... è una maga. Viene chiamato mago ma è una
vecchietta che si esprime - com'è ovvio che sia - al femminile. Ma allora, dico
io, perché non la chiamiamo maga? Usiamo centinaia di frasi ad effetto per far
acquistare alla principessa fiducia poi una figura femminile importante nel
racconto - che potrebbe essere un bell'esempio di quanto anche una donna
possa essere importante ed avere un ruolo fondamentale - la chiamiamo al
maschile? Ogni tanto viene chiamata vecchietta ma resta sempre e
comunque un mago.
Nella bandella ineterna si legge:
Marcia Grad, con il suo piccolo best-seller ha aiutato migliaia di donne a liberarsi di rapporti non autentici
Ma dai... Non esageriamo!
La sofferenza rende il cuore più grande, consentendogli di fare spazio all'amore.Oppure
La perfezione, così come la bellezza, è negli occhi di colui che guarda.
Ed ancora, una volta imparata la lezione:
Un tempo avevi bisogno di amare per sentirti bene. Adesso puoi scegliere di amare perchè ti senti bene!
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