Da bambina mi sono sempre chiesta come si facessero i ponti e le gallerie.
Due curiosità che mi sono portata dietro a lungo e alle quali ho dato delle riposte differenti, a seconda del periodo storico in cui venissero realizzate le due costruzioni. Diversi i tempi, diverse le tecnologie, diversi i materiali.
Leggendo La donna di Brooklyn mi sono data delle risposte e mi sono immersa in un’epoca piena di sorprese così come tante sorprese ha riservato il personaggio principale, Emily: una donna e un sogno, quello di realizzare il più grande ponte che possa unire Manhattan con Brooklyn. Un sogno che condivide con suo marito, il capitano Whas Roebling.
In un’epoca in cui tanti sono i diritti preclusi alle donne (inimmaginabile che una donna possa seguire i lavori di un cantiere edile in mezzo a tanti uomini così come è inimmaginabile che una donna possa solo immaginare lontanamente di avere diritto al voto), Emily scompiglia le carte in una società che all’inizio fa fatica ad accettarla – con i suoi sogni, le sua ambizioni e le sue capacità – ma che alla fine non può che riconoscere il suo ruolo in un’impresa titanica e non solo.
Emily è una donna innamorata di un uomo e del suo sogno, ma ne coltiva anche di propri, di sogni. Vuole fare qualcosa per essere dalla parte delle donne, per veder loro riconosciuti diritti in quel momento storico preclusi e non si tira indietro davanti ad un impegno formale, in prima linea. Quando, però, il suo ruolo all’interno dell’impresa del marito la pone sotto i riflettori, Emily deve fare una scelta: difendere il sogno suo e di suo marito, lavorando per realizzarlo ma abbandonando i proprio o fare una scelta diversa. Emily, pur affrontando dei dubbi durante il suo cammino, fa la sua scelta senza chiudersi però tutte le porte davanti.
L’autore offre una storia romanzata ma ispirata a vicende vere, offre un periodo storico caratterizzato da ambiziosi progetti ma anche morti sul lavoro, un concetto alquanto rudimentale di sicurezza negli ambienti lavorativi così come nuovi orizzonti che si aprono per il mondo femminile. La costruzione del ponte e tutto ciò che vi concerne e le vicende legate alle rivendicazioni femminili si intrecciano senza mai sovrastare l'una sull'altra.
Emily è una donna forte che cerca la sua strada anche quando le circostanze non le fanno sconti. Deve combattere contro i pregiudizi, contro i limiti di una società che riserva alle donne un posto di contorno, contro usi sociali che le vanno sempre più stretti. Una personalità ben delineata, la sua. Un po' meno quella di suo marito che si porta dietro il retaggio di un guerra che lo ha segnato nel profondo e che lo rende oscuro, misterioso e più difficile da "leggere" in alcuni atteggiamenti.
L’aspetto che più mi ha fatto riflettere è quello legato alle malattie sul lavoro, alla sicurezza sul lavoro. Quello che mi ha dato l’impressione di rallentare la narrazione, invece, è stata la minuzia delle descrizioni di carattere tecnico circa la costruzione del ponte. In alcuni passaggi mi sono arrivate un po' a noia, devo ammetterlo. A ben guardare, però, abbiamo a che fare con la costruzione del ponte di Brooklyn… se non merita descrizioni approfondite lui, costruito peraltro in un periodo storico lontanissimo dalle tecnologie moderne, chi le meriterebbe, allora?
La storia che mi ha incuriosita sotto diversi punti di vista. Lettura piacevole anche se, come accennavo, rallentata nelle parti più tecniche.
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La donna di Brooklyn
Tracey Enerson Wood
Piemme editore
424 pagine
18.90 copertina rigida, 9.99 Kindle
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