I soldati nazisti rubavano gli ebrei alle loro case e li portavano via. Alcuni mentre dormivano, altri mentre mangiavano, studiavano, giocavano, suonavano... Dicevano loro che sarebbero stati via a lungo ma che avrebbero fatto ritorno a casa. Per ingannarli facevano preparare una borsa per il viaggio, ma se qualcuno chiedeva dove erano diretti, i tedeschi non rispondevano.Come fai a preparare una valigia se non sai dove stai andando? Non puoi sapere ciò che ti occorrerà. Allora, per non sbagliare, gli ebrei mettevano un po' di tutto nella borsa (...) gli oggetti cari, le cose di tutti i i giorni. Quelle stesse che avrebbero rimesso in valigia anche nel viaggio di ritorno, verso casa.Dopo un po' di tempo, però, avevano iniziato a capire che sarebbe stato difficile, perchè nessuno era mai tornato indietro da quel viaggio.
Oggi sappiamo cosa accadeva a quelle persone: nessuna meta che non fosse la morte li aspettava. In quelle valigie rimanevano i sogni, le speranze, le aspettative di intere famiglie che si erano macchiate dell'unica colpa di essere ebree. Colpa.
Questo era, una colpa!
E venivano marchiati a vita per questo, in modo da poter essere riconosciuti, distinti, emarginati, eliminati.
Loro morivano. Le borse e le valigie su cui erano stati fatti scrivere i loro nomi venivano gettate dentro un grande magazzino.Oggi quelle valigie sono nel blocco 5, dietro un vetro. E si possono leggere i nomi, i cognomi, gli indirizzi scritti dagli uomini, dalle donne e dai bambini passati di lì. Così nessuno potrà mai dire che quelle persone non sono esistite. Nessuno potrà mai cancellare Auschwitz.
Nel libro di Daniela Palumbo Le valigie di Auschwitz si raccontano storie di famiglie, di bambini che improvvisamente vedono cambiare la loro vita così, da un giorno all'altro. Divieti, severità, imposizioni, violenza sembrano piovere dall'alto come una doccia gelata che non li lascia però bagnati ma li uccide. Qualcuno subito, in fretta, qualcun altro lentamente, ma li uccide.
L'autrice racconta storie come se ne potrebbero raccontare tante altre di quel periodo: sono per lo più bambini i protagonisti, coloro che hanno fatto più fatica a comprendere ciò che stava accadendo attorno a loro, coloro che hanno subito scelte incomprensibili e che hanno visto interrompersi rapporti personali - con amici, vicini di casa anche con gli stessi genitori - in modo improvviso e violento.
Ciò che ho maggiormente apprezzato in questo libro è la scelta di fondo fatta dall'autrice: quella di raccontare come è cambiata la vita di Carlo, Hannah e Jacob, Emeline, Dawid da un momento all'altro fino a quando sono stati costretti a fare la loro valigia, senza però raccontare il dopo che viene lasciato intendere. Il lettore viene così invitato a mettere in moto la fantasia. In alcuni casi non si ha un lieto fine, in altri invece...
Quelli di cui si parla sono bambini come tanti: con i loro sogni nel cassetto, i loro sentimenti che stanno sbocciando, amicizie nate da anni e improvvisamente messe alla prova. Sono bambini che amano la loro famiglia e non comprendono ciò che, da un momento all'altro, viene loro detto. Sono bambini e bambine che hanno il diritto di divertirsi: un diritto che improvvisamente viene loro negato, così come viene loro negato il diritto ad un'istruzione in una scuola assieme a tutti gli altri.
Perchè loro sono diversi.
Tutti i protagonisti mi hanno commossa con la loro storia, con la loro ingenuità ma, allo stesso tempo, con la loro capacità di crescere velocemente alla luce di quanto accade loro accanto. Impossibile non commuoversi davanti a certe situazioni che, questo lo si sa benissimo, anche se nei libri vengono romanzate sono però realmente accadute.
Le valigie di Auschwitz è un libro per ragazzi che propone ai lettori, in punta di penna, storie per non dimenticare.
Con questa lettura partecipo alla Challenge The
Hunting Word Challenge. La parola utile per la gara è VALIGIA che compare nel titolo così come è raffigurata in copertina.
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