Non posso negare, però, che nella prima parte ho fatto fatica ad entrare in sintonia con i personaggi e la lettura è andata avanti piano piano. Mi sono trovata tra le mani una narrazione che - per me - tendeva ad incepparsi per poi diventare, però, più fluida, scorrevole ed emozionante.
Le emozioni arrivano proprio da quei personaggi che inizialmente consideravo un po' difficili. Tra una frase e l'altra mi sono resa conto che avrei dovuto leggere con cura quella storia, che avrei dovuto comprendere a fondo quei personaggi, soprattutto il loro passato, per poter comprendere appieno il valore di quanto raccontato.
Così è stato: non una lettura frettolosa ma qualche cosa da gustare con cura, lentamente, senza avere fretta di arrivare ad un finale che - a dirla tutta - avrei voluto allontanare il più possibile.
A narrare la storia in prima persona è Adelaide: madre di Gioele, un ragazzo di 18 anni, sta vivendo un momento di crisi con il marito che sente sempre più distante. Per affrontare questo momento di difficoltà torna alle sue origini, alle origini della sua famiglia, in Val Germanasca dove si parla ancora il patois, il dialetto provenzale parlato in Valle d’Aosta di cui non conoscevo l'esistenza. Questo mi ha un pochino frenata, all'inizio, contribuendo a rendere tutto più difficile. Poi ci ho preso confidenza ed è stato come se si sciogliessero dei nodi che mi hanno permesso di procedere spedita.
Adelaide fa un tuffo nel passato tornando a ripercorrere quei sentieri, a respirare l'aria di quei boschi: lì dove è cresciuta con sua Memè e le sue amiche, le zie Lena, Nanà e Irma. Ora di questa allegra compagnia resta solo Nanà, sorella di Lena, ormai anziana. Una figura dolce, intensa quella di Nanà, che mi ha fatto pensare inevitabilmente a mia nonna. E come avrei potuto non sciogliermi davanti a quell'immagine di mani nodose, davanti a quella schiena curva, a quegli occhiali che dalla punta del naso tendevano a scivolare via? Come avrei potuto non emozionarmi davanti al viaggio indietro nel tempo che fa Adelaide assieme a Nanà e a suo amico Levì ricoverato in una clinica dalla quale sembra destinato a non uscire più. Vivo, almeno, visto che è quasi centenario, si è chiuso in un ostinato mutismo e peggiora di giorno in giorno.
Questi i punti fermi di una storia che va assaporata come se si gustasse una primizia. Una storia d'amore - perché cos'è quello che lega i personaggi se non un profondo amore? Così quello che lega i personaggi con quella terra? - presente e passata così come forte è l'amore per una terra che culla i suoi figli, i pochi rimasti.
Ho sofferto con Levì per quell'amore così intenso, mai vissuto appieno ma ancora vivo più che mai.
Ho sofferto con Nanà che, sempre pronta a dispensare consigli, sa bene quanto il tempo non faccia sconti a nessuno: fa di tutto per riportare Levì tra le sue montagne, tra le calde mura di casa, lontano da quella clinica che non potrà mai essere accogliente come l'abbraccio di un amico. Una storia strugente, delicata e potente allo stesso tempo.
Sono i personaggi più anziani quelli che mi sono rimasti impressi nel cuore e nella mente. Più della stessa protagonista. Complice il ricordo di mia nonna, lo so bene. Ma merito anche dell'autrice che li ha saputi rendere alla perfezione.
Ringrazio chi, davanti alle mie prime difficoltà, mi ha invitata a non mollare e a guardare con fiducia allo scorrere delle pagine: è la stessa cosa che raccomanderei io, a posteriori, a chi avesse le mie stesse titubanze.
Bello. Emozionante. Intenso. L'esordio di una penna che, me lo auguro, avrà ancora tanto da raccontare e tante emozioni da dispensare.***
L’equilibrio delle lucciole
Valeria Tron
Salani Editore
pag. 400
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