Scrivere la storia della propria famiglia vuol dire indagare nelle vite di coloro che si sono susseguiti nel tempo nel ceppo familiare ma che, probabilmente, sono anche stati lontani per via di vicende mai raccontate, sentimenti mai espressi, rancori mai sopiti, affetti espressi solo in superficie, segreti nascosti con cura. Vuol dire chiedere ai propri familiare di aprire il cuore prima che il cassetto dei ricordi ma vuol dire anche accettare il rischio che possa emergere qualche cosa di imprevedibile, sia in senso positivo che negativo.
Marco lo scopre pian piano, rivolgendosi a sua madre e ai suoi zii, in primis, affinché gli consegnino dei ricordi che potrebbero essere utili per tirare le fila della storia della famiglia Grimaldi. Pezzi di vita che toccherà a lui, Marco, interpretare in modo oggettivo ed incastrare l’uno con l’altro per trarne una visione d’insieme. Sarà possibile fare ciò?
Possiamo davvero dire di conoscere le persone che abbiamo accanto?
Anche se Marco non se lo chiede si rende conto, raccogliendo i pensieri dei suoi congiunti, che ognuno è stato abile a nascondere un aspetto di sé poco chiaro agli altri così come ognuno serba rancori, sentimenti non sempre positivi, nei confronti di chi, comunque, è legato da stretti rapporti di sangue. È la ruggine ad emergere prima di qualsiasi altro sentimento. È la ruggine a rendere aspre situazioni apparentemente diverse…
L’autore scegliere lo stile
epistolare per raccontare, secondo i vari punti di vista, episodi di vita che hanno segnato la famiglia. Marco chiede delle note scritte ai suoi interlocutori e riporta ciò che gli arriva, un giorno dopo l’altro, da sua madre Anita, dai suoi zii, da suo cugino.
In diversi punti mi sono trovata davanti ad uno stile molto ricercato, con parole desuete, termini importanti e, soprattutto all’inizio, ho pensato che ciò avrebbe rallentato la lettura. Non è stato così perché il modo di esprimersi è personale per ognuno ed anche l’uso dei termini, la costruzione delle frasi aiuta a delineare la personalità di chi parla, uno scritto dopo l’altro.
Ciò che mi ha colpita maggiormente nel libro di Battista (letto in collaborazione con Thrillernord) è stato l’aspetto poliedrico che emerge di uno stesso racconto, come – se ben ci si pensa – è ovvio che sia. Una stessa vicenda viene narrata secondo punti di vista differenti ed ognuno tende a sottolineare un aspetto diverso della stessa questione.
Difficile, difficilissimo il lavoro di Marco, mi sono detta. Quello che si trova tra le mani sono pezzi di vita, pezzi di una storia che vengono ritenuti più o meno importanti da ognuno dei suoi interlocutori e che vanno a scavare soprattutto nel passato più lontano fornendo, però, una visione alquanto parziale delle vicende che potrebbero essere raccolte tra le pagine di una “storia familiare”.
Molto originale l’idea. Stile non omogeneo ma giusto così perché le persone che parlano sono diverse, ognuna con una sua personalità che emerge pian piano non solo per via dei racconti degli altri ma soprattutto tra le righe dei propri scritti.
Marco? In alcuni punti mi è sembrato un po’ acido nel rivolgersi ai suoi parenti ma credo che l’autore lo abbia immaginato così affinché facesse da pungolo agli altri.
Non mancano riferimenti storici, alla politica, alle scelte che hanno segnato la vita – o, almeno, una fase della vita – di alcuni suoi parenti in
particolare; non manca il racconto di tradimenti, di altarini
miseramente scoperti, di ferite profonde che ancora sanguinano anche se
apparentemente rimarginate.
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La casa di Roma
Pierluigi Battista
La Nave di Teseo
304 pagine
19.00 euro copertina flessibile - 9.99 Kindle
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