mercoledì 9 giugno 2010

Paura di volare (Erica Jong)

E’ stato scritto nel 1973 ed io ero ancora in fasce. Lei, invece, l’autrice – Erica Jong - era alle prese con la pubblicazione del suo primo, scandaloso romanzo. Un romanzo che venne tacciato di pornografia, all’epoca, e che ebbe uno straordinario successo, tale da fargli da apripista per la sua carriera di scrittrice. Una carriera che era iniziata un paio d’anni prima con la pubblicazione di un libro di poesie.

Paura di volare è il romanzo dello scandalo. Il romanzo in cui è una donna a scrivere quasi come se, invece, la penna fosse maschile. Usando un linguaggio diretto e scandaloso all’epoca. Nel pieno del femminismo degli anni ’70 l’autrice dà voce agli appetiti sessuali di una donna – Isadora Wing – la protagonista del suo racconto come meno si conviene ad una donna!
Un racconto che in parte è autobiografico ma non si capisce bene dove finisca la realtà per dare spazio all’invenzione letteraria.

Un romanzo che ho cercato – l’ho preso in prestito in biblioteca in una edizione piuttosto vecchia, del 1979 – e che avevo immaginato un bel po’ diverso da ciò che, invece, mi sono trovata tra le mani.
E che non mi è piaciuto. Mi è sembrato noioso, ripetitivo, volgare. Nulla di pornografico, secondo me (lettrice del 2010…) ma parecchio di forzato, come se si volesse cercare lo scandalo ad ogni costo, con l’uso dei termini. Termini che a volte sono stati inseriti a sproposito, anche quando non servivano.

Un accenno alla storia.
Isadora Wing è una donna che incarna le contraddizioni di un’epoca. Una donna insoddisfatta. Insoddisfatta del suo io, del suo matrimonio, del suo passato, delle sue origini (continua a ripetere, anche qui a sproposito ed in modo noioso e ripetitivo, il fatto di essere ebrea), del suo presente. E dal futuro incerto. Una donna a cui il ruolo di moglie e lavapiatti di famiglia va stretto. Non lo vuole, non lo ha mai cercato e mai sarà il suo ruolo nella sua vita terrena. La sua vita si racconta in poche parole: una famiglia da cui scappare, la passione per la scrittura, un primo matrimonio fallito, un secondo matrimonio nel quale sta stretta e la continua, una incontrollabile paura di volare. Eppure la sua paura non le impedisce di spostarsi in aereo così come la sua insoddisfazione coniugale non le impedisce di continuare a portare avanti una vita che la soffoca e la opprime. Fino a che non arriverà ad una svolta (o quella che lei crede essere tale). Incontrerà un uomo che romperà il silente equilibrio in cui si è trincerata e sarà una passione incontrollabile a portarla a scegliere di compiere una pazzia: seguirlo in un viaggio fatto di tende ai margini della strada, birra a fiumi e sesso a volontà.
Il sesso. E’ il suo chiodo fisso. Ha sempre fatto fatica a tenere a bada le sue pulsioni sessuali pur avendo cercato di essere una moglie fedele.
Sente il bisogno di un trasporto fisico diverso da quello - ormai freddo e meccaniso - che vive in casa, lo cerca, lo desidera, lo sogna. Sogna di incontrare uno sconosciuto con cui consumare momenti di sesso sfrenato. Punto. Nessun coinvolgimento, nessuna domanda, nessuna parola. Un sogno, il suo, che rischierà anche di avverarsi. Un sogno che, nella pratica, prenderà le sembianze di una serie di uomini sconosciuti e sempre più numerosi tra un matrimonio e l’altro e che, durante il suo insoddisfacente matrimonio con il dottor Wing, avrà le sembianze di Adrian. Il suo corpo, la sua passione, il suo modo di fare l’amore con lei.
E’ una donna che, da sempre, ha vissuto accerchiata da psicanalisti, con molti dei quali è stata in analisi fin da ragazzina: continuamente in analisi, ha finito per sposare un analista e per andare a letto con un analista diventato suo amante.
Quella con Adrian non sarà l’occasione di un momento. Sarà l’incontro anelato da tempo: vede in lui quella libertà che le manca da sempre. Si sente libera con lui, libera di andarsene in giro per il mondo senza problemi e senza programmi. O almeno è quello che crede.
Una storia che mi ha lasciata un bel po’ perplessa. L’autrice narra vicende con dovizia di particolari sotto certi punti di vista ma nel narrare la storia di fondo si perde spesso in racconti di tempi passati, narrazione di ricordi e vicende vissute che staccano troppo l’attenzione dalla storia di fondo. Almeno a me a fatto questo effetto.

Lo stile di scrittura è uno stile schietto, diretto, quasi urlato. Uno stile che poco si addice ad una donna e che per questo tanto scalpore ha fatto all’epoca.
Personalmente trovo che sia una narrazione troppo dispersiva e ripetitiva ma, soprattutto, un forzatura lessicale continua. Quella ossessiva voglia di inserire termini volgari, di sottolineare situazioni con frasi ad effetto ma che, alla fine, appesantiscono solo la narrazione, quella fretta nel voler dare scandalo a tutti i costi non rende affatto la narrazione piacevole. Tutt’altro.
Nel leggere una riga dopo l’altra, una pagina dopo l’altra, non solo non sono riuscita a trovare nulla di erotico o vagamente sensuale, ma la sensazione che ho avuto è stata quasi quella di “nausea” per un atteggiamento esageratamente estremizzato.
La descrizione che l’autrice fa di Isadora come di una donna insaziabile, dall’appetito sessuale incommensurabile mi ha reso, invece che l’idea di una donna sensuale e conscia della propria sessualità, quella di una eccessiva volgarità anche nei momenti più delicati ed intensi.
E poi trovo esagerato, davvero esagerato, quel modo di raccontare esperienze sessuali casuali, con tutti gli uomini che le capitavano a tiro – in un certo periodo della sua vita – come se fosse una calamita vivente capace di catturare una serie infinita di uomini pronti ad un rapporto sessuale con lei (ovviamente denominato in modo volgare, mai “rapporto intimo” o “rapporto sessuale”).

Credo che lo stile utilizzato sia il frutto di una profonda voglia di ribellarsi ad uno status che per troppi anni è stato quello secondo il quale l’uomo comanda, l’uomo fa godere la donna ed è il suo unico strumento di piacere, la donna deve assecondare l’uomo in tutto e per tutto.
Erica Jong declina il discorso al femminile. E’ una donna che usa gli uomini per i suoi appetiti sessuali, è una donna che decide di darsi alla fuga con un amante abbandonando di punto in bianco un marito che, poi….

Non svelo il finale… Mi limito a dire che mi ha irritato leggere di un marito quasi accondiscendente davanti al tradimento della moglie sotto al suo naso come se la cosa non lo toccasse. Mi ha irritato quel modo di fare così ribelle che, a ben guardare, altro non era se non un modo per dimostrare di valere qualche cosa a se stessa prima che agli altri. Mi ha irritato il finale. Un finale marcatamente femminista che non mi ha reso per niente la storia più piacevole di quanto non siano state le narrazioni precedenti. Ho avuto l’impressione che si trattasse di una sorta di finale aperto, come se l’autrice non avesse voluto permette a Isadora di assumersi le sue responsabilità e di pagare il conto delle sue azioni. Il finale resta sospeso così come la storia narrata resta in sospeso tra i vari ricordi che l’autrice infila a destra e a manca.
Mi ha anche irritato, dal punto di vista stilistico, l’uso di continui interrogativi che la protagonista si poneva in continuazione. Interrogativi che abbondano in ogni parte del libro, in ogni capitolo. Spesso interrogativi senza risposta buttati là, ho avuto l’impressione, come se si volesse far capire che in un modo o nell’altro la protagonista si poneva in modo critico davanti agli accadimenti. Ma non è un metodo efficace, secondo me. Anzi, piuttosto noioso e ripetitivo.
Noia che raggiunge i massimi livelli quando l’autrice si lascia ad elenchi tanto lunghi quanto pesanti. Probabilmente non è facile avere un’idea di ciò che intendo per “noioso”…

Magari faccio un esempio. Nel parlare del suo primo – pazzo – marito, Isadora lo descrive come segue.
"Non conosceva soltanto la storia medievale e quella romana, i filosofi del Rinascimento e i primi padri della Chiesa, le investiture e le deposizioni, Riccardo Cuor di Leone e Rollo, Duca di Normandia, Abelardo e Alcuino, Alessandro Magno e Alfredo il Grande, Burckhardt e Beowulf, Averroé e Avignone, la poesia goliardica e la riforma gregoriana, Enrico il Leone ed Eraclito, la natura dell’eresia e le opere di Thomas Hobbes, Giuliano l’Apostata e Jacopone da Todi, il Nibelungenlied e la storia del nominalismo, ma sapeva tutto su vendemmie e ristoranti, conosceva i nomi dei tutti gli alberi che crescevano a Central Park, il sesso dei ginko di Morningside Drive, i nomi degli uccelli, i nomi dei fiori, le date di nascita dei figli di Shakespeare ...” ed ancora così per righe e righe! Una noia mortale, tanto che spesso ho avuto la tentazione di saltare intere pagine di elenchi di questo tipo.
E poi la descrizione dei suoi impulsi sessuali… Più che l’uso di termini volgari ad hoc non ho trovato. Evito esempi per un certo contegno ma, vi assicuro, non l’ho trovata affatto una lettura interessante.
Il profilo del secondo marito, Bennet (il primo finì in manicomio per evidenti squilibri mentali) è come se fosse tracciato a carboncino, tanto per accennarne la fisionomia senza dargli, però, troppo spessore.
Così come l’amante di lei, Adrian che passa dall'essere l'ideale di uomo miracolosamente comparso davanti a lei all'essere il bastardo di turno (per via di ciò che farà).
Un modo come un altro per ribaltare la situazione dopo anni di storie raccontate da penne maschili stavolta è stata una “penna rosa” a portare scompiglio.

Credo che lo scandalo ed il relativo successo siano tutti qui. Una donna che si “permette” di scrivere certe cose in modo tanto sfrontato.
Immagino che si sia capito che a me questo libro è piaciuto poco. Le 422 pagine che ho letto mi hanno lasciato addosso solo amarezza per una figura femminile che non mi è piaciuta e per una storia che, nel complesso, non mi sembra molto efficace.

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