giovedì 3 settembre 2015

Non deve accadare (A. Holt)

Un finale come quello che mi sono trovata davanti agli occhi non me l’aspettavo proprio. Sulle prime mi è rimasto un po’ di amaro in bocca ma, ripensandoci bene, non è proprio così.
Vik e Stubø  tornano con una nuova indagine. Vengono proposti dei richiami al libro precedente, quello che ha aperto la serie, ma la storia si regge alla perfezione anche se non si partiti dall’inizio della storia dei due, dell’investigatore e della profiler.
Li avevamo lasciati collaboratori e li ritroviamo spostati con prole. In effetti sul finale del libro si era lasciato intendere un certo reciproco interesse tra i due, si era accennato ad una potenziale storia d’amore che ora è sbocciata appieno.
Stavolta viene fornito qualche dettagli in più sui personaggi. E l’ho apprezzato perché mi hanno aiutata a fare un quadro più preciso dei protagonisti.
Vik ha qualche scheletro nell’armadio che, però, resta tale anche al termine di questa storia. Probabilmente qualche sviluppo lo si avrà, da questo punto di vista, nel libro successivo (ho letto la trama e mi è parso di capire qualche cosa del genere). Ha una specie di segreto, legato ad una sua relazione precedente, di cui non vuole parlare ma che pesa su tutta la storia. E’ una mamma molto inquieta, sente su di se la responsabilità moltiplicata per due, per le sue figlie, ma la sente in modo amplificato. E’ una donna fragile almeno nella parte iniziale del libro. Fragile ma capace di tirare fuori le unghie.
Stubø invece si è svelato più di quanto non avesse fatto in precedenza. Ha quasi 50 anni, lavora in polizia da quando ne aveva 22, è finito nella Kripos (la polizia criminale) dopo diverse esperienze: dopo aver pattugliato le strade come poliziotto in divisa, dopo aver arrestato vagabondi e ubriachi, dopo aver guidato una squadra cinofila ed aver trascorso alcuni anni (a disagio) nella sezione antitruffe. Un uomo di grande esperienza, dunque. Intuitivo (questo era emerso già nel precedente libro) ma consapevole di non riuscire a fare tutto da solo.
Anche stavolta ha bisogno di una donna, della sua donna, per cercare di capire cosa sta accadendo in città: scenografici omicidi stanno turbando l’esistenza di molti, le vittime sono personaggi a loro modo famosi e non si riesce a trovare nulla che possa permettere di avere anche un piccolo sospetto…
Non mi sento proprio di dare altre indicazioni sulla storia perché qualsiasi cosa direi toglierebbe il gusto della lettura. Posso dire che questa volta Vik vuole proprio tenersene fuori (anche nell’altro libro, quando si trattava di bambini scomparsi) ma neanche questa volta riesce a tenere fede al suo proposito pur avendo una neonata ed una bambina difficile a cui badare. Lei non riesce proprio a starne fuori, questa volta più che mai. Perché sente che qualche cosa, nei casi che ha per le mani grazie a suo marito (è lui che porta a casa i fascicoli del caso per avere l’aiuto di sua moglie in modo ufficioso) la riguarda da vicino. Molto da vicino. Questa sensazione pervade per tutta la prima parte della storia fino a diventare una certezza.
La protagonista femminile, così come avvenuto in precedenza, non ha un ruolo secondario. Tutt’altro. Sono le sue deduzioni che permettono di fare un po’ di luce su uno scenario buio come la notte. Infondo, a ben guardare, chi scrive il libro è una donna e sa il fatto suo grazie ad una vasta esperienza lavorativa e umana al suo attivo, una conoscenza diretta dei meccanismi investigativi e legali appresi non per sentito dire ma per essere stata Procuratore e persino Ministro della Giustizia. Un’autrice donna che assegna ad una protagonista donna un ruolo importante: una specie di riscatto nei confronti dei tanti, tantissimi ispettori, commissari, poliziotti, investigatori che dilagano nel genere giallo.

Ritmo sostenuto, narrazione precisa e ricca di particolari, nessun eccesso sulle scene del crimine.
Concludo chiedendomi e chiedendovi: il bene ha sempre la meglio sul male? I buoni vincono sempre? Nella vita sicuramente no... nei romanzi?

Ps. un piccolo appunto in merito alla copertina. 
Quella dell'edizione italiana secondo me non rende bene rispetto al contenuto del libro.  Fa pensare che anche stavolta le vittime siano delle bambine (guardando la copertina si vedono piedi di una bambina). E non è così.
Soprattutto per chi ha letto Quello che ti meriti la sensazione che passa nel guardare la copertina è che si abbia ancora a che fare con dei bambini.
Ci sono due bambine nella storia, è vero... ma hanno un ruolo ben diverso da quello che si può pensare a prima vista.
Trovo molto più in linea con la storia (anche se non posso dire che sia una copertina particolarmente bella) quella della versione originale... 
Chi lo ha letto capisce al volo perchè. 
Chi non lo ha letto ha un motivo in più per farlo... e togliersi la curiosità!

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