Era da un po' che non leggevo Follett e la prima, primissima cosa che mi viene da dire in merito a questo libro è che non mi aspettavo di trovare passaggi piuttosto infuocati dal punto di vista erotico. Niente di esagerato, sia chiaro, ma proprio non mi aspettavo certe descrizioni che l'autore offre in un contesto in cui, comunque, stanno più che bene.
tutto.
Anche ad ingannare.
Anche ad uccidere, se necessario.
Si contendono il possesso e lo sfruttamento di diverse miniere scozzesi, unica via d'uscita dalla situazione incresciosa in cui si trovano. Sono gli uomini che decidono il da farsi, è impensabile che ci sia una donna a prendere decisioni, a fare scelte, ad alzare o abbattere muri. Eppure, sono le figure femminili, secondo il mio parere, le più forti.
Lo è la figura di Lizzie, giovane aristocratica che crede fermamente negli ideali della libertà, del rispetto, della dignità.
Lo è la signora Jamisson, personaggio secondario nell'ambito dell'intero racconto ma con un ruolo determinante che emergerà solo negli ultimi capitoli ma che ne trasmette tutta la forza e la capacità di tirare le fila di situazioni apparentemente lasciate in mano agli uomini.
Lizzie entrerà a far parte della famiglia Jamisson ma alla base del suo matrimonio ci sarà l'inganno. Un inganno che si troverà a subire consapevolmente, viste le circostanze, ma che non le impedirà di lottare per l'affermazione di ciò in cui crede: la libertà. Libertà di amare, prima di tutto, ma anche libertà di scegliere, libertà di non subire le scelte altrui.
Il personaggio maschile forte, il protagonista - McAsh - è, invece, un minatore del quale credo di essermi un tantino innamorata, in senso letterario intendo. Non ci sta a fare la vita che altri hanno scelto per lui, non ci sta a subire, a vivere da schiavo, ad essere considerato proprietà altrui. Farà di tutto per rivendicare il suo diritto - e non solo suo - di vivere libero in un ambiente e in una società in cui appare prematuro parlare di questo... parlare di libertà!
Il passaggio che mi è rimasto scolpito nella mente - giusto per rendere l'idea - è quello in cui gli aristocratici parlano dei minatori dicendo che "...non soffrono come noi, non sentono il dolore allo stesso modo in cui lo sentiamo noi". Frase pronunciata davanti alla morte di una ragazza a seguito di un crollo in una miniera e riferita a suo fratello. Una frase che rende perfettamente l'idea di come venissero considerate le vite dei minatori, all'epoca. Degli schiavi... Inimmaginabile per me. Ma comune all'epoca, quando uomini e donne venivano venduti alla stregua di animali e, spesso, trattati pure peggio.
Un'altra storia, questa, che mi ha ricordato quanto io sia fortunata ad essere nata nell'epoca in cui sono nata e nel posto in cui sono nata.
Follett traccia i contorni di un'epoca fatta di grandi cambiamenti, di nuove scoperte e di tanta voglia di liberà da più fronti: ho molto apprezzato i riferimenti storici e le descrizioni degli ambienti, precise e meticolose, così come la struttura complessiva del romanzo.
Finale che mi auguravo.Lettura corposa ma scorrevole con tanti personaggi che richiedono, ognuno, la dovuta attenzione.
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Un luogo chiamato libertà
Ken Follett
Mondadori Editore
pag. 464
Euro 7.75 copertina flessibile