Paul Kalanithi racconta, con intensità, la sua vita. La sua vita di brillante promettente neurochirurgo che è abituato ad avere a che fare ogni giorno con la vita e la morte. Degli altri.
Fino a che la morte non bussa alla sua porta, fino a che la sua ombra non arriva ad offuscare il suo oggi e a mettere in discussione il suo domani.
Paul, nel libro Quando il respiro si fa aria, racconta la sua vita, le sue aspirazioni, la sua felicità ma anche la sua discesa verso gli inferi, la sua sofferenza, la sua malattia, il suo cammino verso la fine.
E lo fa con delicatezza ma con estrema lucidità consegnando nelle mani di sua moglie un'opera incompiuta. Ed è facile capire perchè.
Ha tutta la vita davanti, un futuro promettente e tante cose da fare come medico, come uomo, come marito e, perchè no, come padre. Ma questo non basta per impedire al cancro di cambiare i suoi piani.
Paul si pone degli interrogativi sul senso della vita già prima della sua malattia. Nel suo essere medico si pone degli interrogativi importanti:
Avevo ancora molto da apprendere nell'esercizio della medicina, ma la conoscenza da sola sarebbe bastata, quando c'erano in gioco la vita e la morte? Senz'altro l'intelletto non era sufficiente; serviva anche una chiarezza morale. Dovevo credere che in un modo o nell'altro avrei raggiunto non solo la conoscenza ma anche la saggezza.
Cercando le risposte a questi interrogativi Paul matura la convinzione che non basta essere dei medici e considerare i pazienti dei pazienti. I pazienti sono prima di tutto persone.
Immerso in tragedie e fallimenti, temevo di aver perso di vista la straordinaria importanza dei rapporti umani, non tra i pazienti e le loro famiglie ma tra medico e paziente. L'eccellenza tecnica non bastava.
Da medico Paul si pone l'obiettivo di comprendere l'uomo prima che di curare il paziente, accompagnandolo nel percorso che lo porta - in un modo o nell'altro - verso il suo futuro.
Poi, improvvisa, la malattia.
Ecco che il dottore si trova a vestire i panni del paziente. Ecco che il dottore guarda alla vita e alla morte da un punto di vista differente.
Non è un augurio a stare male, il suo, assolutamente. E' piuttosto una constatazione. Nel momento in cui si trova a fare i conti con la sua malattia, Paul arriva a prendere una decisione importante. Una decisione che lo segnerà da quel momento in avanti.I medici hanno un'idea molto vaga di cosa significhi essere malati, ma non possono saperlo davvero finchè non lo vivono di persona.
Quella mattina presi una decisione: mi sarei imposto di tornare al mio lavoro in sala operatoria. Perchè? Perchè potevo. Perchè quello ero io. Perchè avrei dovuto imparare a vivere in un modo diverso, guardando alla morte come a una solenne visitatrice itinerante, senza dimenticare che sì, stavo morendo, ma finchè non fossi morto davvero avrei continuato a vivere.
Decide di reagire e di accettare la morte e, nel periodo della malattia, analizza ancor più profondamente il senso dell'essere medico.
Il compito del medico non è respingere la morte o riconsegnare i pazienti alla loro vecchia vita, ma prendere tra le braccia i pazienti e i loro familiari, le cui vite si sono disintegrate, e lavorare finchè non saranno in grado di risollevarsi e affrontare la loro esistenza, trovandole un senso. (...) Emma (ndr. il suo medico) non mi aveva restituito la mia vecchia identità. Aveva protetto la mia capacità di forgiarne una nuova.
Come dice sua moglie Lucy nell'epilogo con cui ha concluso il libro di suo marito, provvedendo poi alla pubblicazione postuma, scrivere Quando il respiro si fa aria ha dato l'occasione a quell'uomo coraggioso di insegnarci ad affrontare la morte con integrità.
Affidandosi alle proprie forze e al sostegno della famiglia e della comunità, Paul affrontò ogni fase della malattia con grazia. Non con spavalderia, né con l'incauta convinzione che avrebbe superato o sconfitto il cancro, ma con un'autenticità che gli consentì di piangere la perdita del futuro che aveva programmato e di forgiarne uno nuovo.Ricordo di aver comprato questo libro per mia madre, che ama leggere storie vere. Non le ho mai chiesto se le sia piaciuto oppure no e lei non mi ha mai detto nulla in merito. Credo di capire il perchè. Posta la sofferenza, che, comunque, è alla base del racconto (seppur carico di speranza e di coraggio), credo che l'uso di termini medici piuttosto desueti nel linguaggio comune le abbiano reso la lettura difficile. Nonostante ciò, l'iniziale difficoltà di comprendere tecnicismi medici passa in secondo piano davanti alla profondità della testimonianza che viene resa.
Lettura non semplice, visti i temi trattati, ma un punto di vista sulla vita e sulla morte che aiuta a riflettere. E a cambiare prospettiva.
Questo libro mi permette di partecipare alla quarta tappa della Challenge Le Lgs sfidano i lettori, per l'obiettivo n. 5: libro con uno dei quattro elementi nel titolo.
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